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n. 4/2009 - © copyright

SALVATORE BIANCA

Separazione tra funzioni di indirizzo politico amministrativo
e attività gestionale nella legge delega "Brunetta".
Il nodo del conferimento degli incarichi dirigenziali.

SOMMARIO: 1. La legge delega per l’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e l’efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni. 2. Rafforzamento della distinzione tra funzioni di indirizzo e controllo spettanti agli organi di governo e le funzioni di gestione amministrativa spettanti agli organi burocratici. 3. La distinzione nella sua concreta attuazione. 4. Gli interventi della Corte costituzionale e delle Giurisdizioni superiori. 5. La giurisdizione in materia di conferimento e revoca di incarichi dirigenziali. 6.L’insufficienza delle norme sostanziali a garantire il rispetto dell’imparzialità nel conferimento degli incarichi senza la previsione di un adeguato regime di tutela giurisdizionale.

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1. La legge delega per l’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e l’efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni.

Con la legge 4 marzo 2009, n. 15 il Parlamento ha conferito al Governo un’ampia delega finalizzata all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni.

In particolare il Governo è stato delegato ad adottare, entro 9 mesi dalla data di entrata in vigore della legge (entro il 20 dicembre 2009) uno o più decreti legislativi: per modificare la disciplina della contrattazione collettiva nel settore pubblico; per modificare ed integrare la disciplina del sistema di valutazione delle strutture e dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche; per introdurre nell’organizzazione delle pubbliche amministrazioni strumenti di valorizzazione del merito e metodi di incentivazione della produttività e della qualità della prestazione lavorativa; per modificare la disciplina della dirigenza pubblica; per modificare la disciplina delle sanzioni disciplinari e della responsabilità dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche.

Il Governo è stato, inoltre delegato ad adottare, entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi eventuali disposizioni integrative e correttive, naturalmente sulla base delle esigenze che emergeranno dall’applicazione del nuovo sistema.

Da una rapida lettura delle norme si desume che l’impianto normativo attuale rimane sostanzialmente immutato salvo, secondo gli obiettivi del legislatore, migliorare l’efficienza e l’efficacia dell’azione amministrativa attraverso la valorizzazione del merito e conseguente riconoscimento di meccanismi premiali per i singoli dipendenti sulla base dei risultati conseguiti dalle relative strutture amministrative e la definizione di un sistema più rigoroso delle responsabilità.

Un elemento di novità è rappresentato dalla delega per la individuazione di sistemi di valutazione delle amministrazioni pubbliche diretti a rilevare, con il coinvolgimento degli utenti, la corrispondenza dei servizi e dei prodotti resi ad oggettivi standard di qualità, rilevati anche a livello internazionale.

Il processo di valutazione non riguarderà soltanto i pubblici dipendenti, ma anche le amministrazioni pubbliche nel loro complesso.

Ovviamente in quest’ultimo caso l’eventuale valutazione negativa dovrebbe avere conseguenze esclusivamente sul piano politico con la conferma elettorale o meno degli organi politici che hanno amministrato nel relativo periodo di riferimento.

2. Rafforzamento della distinzione tra funzioni di indirizzo e controllo spettanti agli organi di governo e le funzioni di gestione amministrativa spettanti agli organi burocratici.

Tralasciando l’analisi dell’intero testo si vogliono offrire delle modeste riflessioni in ordine al rapporto tra politica e gestione.

La legge delega all’art. 6 contiene principi e criteri in materia di dirigenza pubblica dettati "al fine di rafforzare il principio di distinzione tra le funzioni di indirizzo e controllo spettanti agli organi di governo e le funzioni di gestione amministrativa spettanti alla dirigenza, nel rispetto della giurisprudenza costituzionale in materia, regolando il rapporto tra organi di vertice e dirigenti titolari di incarichi apicali in modo da garantire la piena e coerente attuazione dell’indirizzo politico degli organi di governo in ambito amministrativo".

In particolare, sotto tale profilo, il Governo è delegato a:

"affermare la piena autonomia e responsabilità del dirigente, in qualità di soggetto che esercita i poteri del datore di lavoro pubblico, nella gestione delle risorse umane, ……

h) ridefinire i criteri di conferimento, mutamento o revoca degli incarichi dirigenziali, adeguando la relativa disciplina ai princìpi di trasparenza e pubblicità ed ai princìpi desumibili anche dalla giurisprudenza costituzionale e delle giurisdizioni superiori, escludendo la conferma dell’incarico dirigenziale ricoperto in caso di mancato raggiungimento dei risultati valutati sulla base dei criteri e degli obiettivi indicati al momento del conferimento dell’incarico, secondo i sistemi di valutazione adottati dall’amministrazione, e ridefinire, altresì, la disciplina relativa al conferimento degli incarichi ai soggetti estranei alla pubblica amministrazione e ai dirigenti non appartenenti ai ruoli, prevedendo comunque la riduzione, rispetto a quanto previsto dalla normativa vigente, delle quote percentuali di dotazione organica entro cui è possibile il conferimento degli incarichi medesimi".

In breve anche il rapporto intercorrente tra politica e gestione rimane immutato, salvo a rafforzane la separazione attraverso il riconoscimento di maggiore autonomia ai dirigenti nell’esercizio dei poteri datoriali e nella gestione delle risorse umane, nonché la modifica della disciplina del conferimento, mutamento o revoca degli incarichi dirigenziali con riferimento ai principi di trasparenza e pubblicità desumibili anche dalla giurisprudenza costituzionale e dalle giurisdizioni superiori.

Per la verità già oggi la distinzione tra indirizzo politico amministrativo da un lato e attività gestionale dall’altro è abbastanza netta.

Semmai si pone il problema di renderla effettiva liberando la gestione dalla pressione politica.

E’ sufficiente a tal fine riportare la normativa contenuta negli 4 e 14 comma 7 del Dlgs n. 165/2001 secondo cui:

"Gli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti. Ad essi spettano, in particolare:……

Ai dirigenti spetta l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell'attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati.

Il Ministro non può revocare, riformare, riservare o avocare a sé o altrimenti adottare provvedimenti o atti di competenza dei dirigenti. In caso di inerzia o ritardo il Ministro può fissare un termine perentorio entro il quale il dirigente deve adottare gli atti o i provvedimenti. Qualora l'inerzia permanga, o in caso di grave inosservanza delle direttive generali da parte del dirigente competente, che determinino pregiudizio per l'interesse pubblico, il Ministro può nominare, salvi i casi di urgenza previa contestazione, un commissario ad acta, dando comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri del relativo provvedimento".

La medesima disciplina è prevista anche per gli enti locali dall’articolo 107 commi 1 e 7 del Dlgs n. 267/2000 che recita:

"I poteri di indirizzo e di controllo politico –amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti, mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo."

"I dirigenti sono direttamente responsabili, in via esclusiva, in relazione agli obiettivi dell’ente, della correttezza amministrativa, dell’efficienza e dei risultati della gestione."

Sul piano formale e concettuale, quindi, la separazione tra indirizzo politico amministrativo riservato agli organi politici e attività gestionale di competenza degli organi burocratici è alquanto lineare, salvo in limitati casi stabilire gli esatti confini tra le due ipotesi.

Secondo la legge lo svolgimento di tutta l'attività gestionale e la determinazione delle scelte operative per attuare i programmi approvati dagli organi di governo e per raggiungere gli obiettivi in essi fissati dovrebbe avvenire in assoluta autonomia, senza alcuna influenza da parte degli organi politici chiamati a verificare il raggiungimento dei risultati sulla base degli indirizzi impartiti.

Ciò per la semplice ragione che l'attività gestionale deve essere svolta nel rispetto dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento e deve essere improntata ai principi legalità, trasparenza, efficacia ed efficienza, desumibili dalla legge n. 241/90 sul procedimento amministrativo.

La necessità di separare le due sfere di attribuzione è stata rimarcata anche nella disciplina degli uffici di supporto agli organi di direzione politica (uffici di gabinetto) che possono essere costituiti, ex art. 90 Dlgs n. 267/2000, alle dirette dipendenze del sindaco, del presidente della provincia, della giunta o degli assessori, per l'esercizio delle funzioni di indirizzo e di controllo loro attribuite dalla legge.

A maggiore garanzia della distinzione persino gli uffici di supporto non possono occuparsi di attività gestionale, essendo il loro ruolo esclusivamente strumentale per l’esercizio delle funzioni di indirizzo politico.

3. La distinzione nella sua concreta attuazione.

Orbene se sul piano dottrinale e giurisprudenziale i confini sembrano sufficientemente delineati sul piano concreto (è inutile nasconderlo) la separazione diviene di difficile attuazione specialmente nella gestione degli enti locali, dove una volta fissati gli obiettivi e le linee programmatiche assessori e consiglieri non avrebbero più bisogno di passare da Comuni e Province, dovendo verificare soltanto l’eventuale raggiungimento dei risultati, fra l’altro, attraverso i nuclei di valutazione.

Che nella realtà non è così non lo nasconde neppure il legislatore che con la legge delega "Brunetta" ha prescritto di rafforzare il principio di distinzione attraverso la ridefinizione della disciplina di conferimento, modifica e revoca degli incarichi dirigenziali alla luce della giurisprudenza costituzionale e delle giurisdizioni superiori che si è formata su tale materia.

La circostanza che la legge delega si sia posto il problema di rafforzare la distinzione attraverso la reiscrizione delle disciplina degli incarichi dirigenziali è sintomatica del fatto che l’attuale normativa si è rivelata inadeguata.

Difatti nella realtà è avvenuto che in applicazione dell’istituto dello spoils system gli incarichi dirigenziali sono stati conferiti sia agli interni che agli esterni anche non in possesso di qualifica dirigenziale senza la predeterminazione di criteri oggettivi, sulla base del solo rapporto fiduciario e per breve durata, esponendo gli incaricati a condizionamenti nell’esercizio delle loro esclusive competenze, essendo la conferma dell’incarico nel potere dello stesso organo che lo ha conferito, finendo per premiare il "vincolo di fedeltà", in luogo della responsabilità misurata sui risultati.

4. Gli interventi della Corte costituzionale e delle Giurisdizioni superiori.

Per arginare tale deprecabile ed illegittimo sistema la Corte costituzionale con due storiche sentenze (n. 103 e 104 del 2007) ha graniticamente sancito i seguenti principi:

- "La contrattualizzazione del rapporto di lavoro della dirigenza pubblica non implica che la P.A. abbia la possibilità di recedere liberamente dal rapporto stesso. Se così fosse, si verrebbe ad instaurare uno stretto legame fiduciario tra le parti, che non consentirebbe ai dirigenti generali di svolgere in modo autonomo e imparziale la propria attività gestoria; di qui la logica conseguenza per la quale anche il rapporto di ufficio, pur se caratterizzato dalla temporaneità dell’incarico, debba essere connotato da specifiche garanzie, le quali presuppongono che esso sia regolato in modo tale da assicurare la tendenziale continuità dell’azione amministrativa ed una chiara distinzione funzionale tra i compiti di indirizzo politico-amministrativo e quelli di gestione.

- La revoca delle funzioni legittimamente conferite ai dirigenti può essere conseguenza soltanto di una accertata responsabilità dirigenziale in presenza di determinati presupposti ed all’esito di un procedimento di garanzia puntualmente disciplinato.

- Il principio di imparzialità stabilito dall’art. 97 della Costituzione – unito quasi in endiadi con quelli della legalità e del buon andamento dell'azione amministrativa – costituisce un valore essenziale cui deve informarsi, in tutte le sue diverse articolazioni, l’organizzazione dei pubblici uffici; tale principio si riflette immediatamente in altre norme costituzionali, quali l’art. 51 (tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge) e l’art. 98 (i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione) della Costituzione, attraverso cui si mira a garantire l’amministrazione pubblica e i suoi dipendenti da influenze politiche o, comunque, di parte, in relazione al complesso delle fasi concernenti l'impiego pubblico (accesso all’ufficio e svolgimento della carriera).

- La selezione dei pubblici funzionari non ammette ingerenze di carattere politico, espressione di interessi non riconducibili a valori di carattere neutrale e distaccato, unica eccezione essendo costituita dall’esigenza che alcuni incarichi, quelli dei diretti collaboratori dell’organo politico, siano attribuiti a soggetti individuati intuitu personae, vale a dire con una modalità che mira a rafforzare la coesione tra l’organo politico regionale (che indica le linee generali dell’azione amministrativa e conferisce gli incarichi in esame) e gli organi di vertice dell’apparato burocratico (ai quali tali incarichi sono conferiti ed ai quali compete di attuare il programma indicato), per consentire il buon andamento dell’attività di direzione dell’ente (art. 97 Cost)".

La Suprema Corte ha, inoltre, stabilito che "l'art. 19, comma 1, d. lgs. n. 165 del 2001 obbliga l'amministrazione al rispetto dei criteri di massima ivi indicati e, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede (applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all'art. 97 cost.), «procedimentalizza» l'esercizio del potere di conferimento degli incarichi, obbligando a valutazioni anche comparative, all'adozione di adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e ad esternare le ragioni giustificatrici delle scelte. Di conseguenza, laddove l'amministrazione non abbia fornito, neppure in giudizio, nessun elemento circa i criteri seguiti e le motivazioni della scelta dei dirigenti ritenuti maggiormente idonei ai nuovi incarichi da conferire, è configurabile inadempimento contrattuale, suscettibile di produrre danno risarcibile" (Cassazione civile , sez. lav., 14 aprile 2008, n. 9814).

In somma sintesi sia la Corte Costituzionale che la Corte di Cassazione non hanno fatto altro che ribadire che l’attività della pubblica amministrazione deve osservare il rispetto del principio di imparzialità.

Quindi, al posto di richiamare i principi desumibili dalla giurisprudenza costituzionale e dalle giurisdizioni superiori al legislatore in sede di approvazione della legge delega sarebbe stato sufficiente dire che "gli incarichi dirigenziali debbono essere conferiti nel rispetto del principio di imparzialità e previa predeterminazione di criteri oggettivi di valutazione per la selezione degli aspiranti".

E’ davvero singolare (e su questo chiamo tutti i giuristi ad una riflessione) che l’imparzialità, sancita dall’art. 97 della Costituzione come principio di organizzazione dei pubblici uffici e quindi dell’attività della pubblica amministrazione, non sia espressamente richiamata dalla legge delega e neppure dalla legge sul procedimento amministrativo che si limita a richiamare il principio di legalità e i criteri di economicità, efficacia, pubblicità e trasparenza.

In luogo di dire chiaramente che gli organi politici non possono conferire incarichi fiduciari, salvo che per la costituzione degli uffici di gabinetto, la legge delega contiene un nebuloso richiamo ai princìpi di trasparenza e pubblicità ed ai princìpi desumibili anche dalla giurisprudenza costituzionale e delle giurisdizioni superiori.

I principi di trasparenza e pubblicità di per sé non garantiscono il rispetto della legalità, essendo la pubblicità un’articolazione del principio di trasparenza e risolvendosi quest’ultimo nel diritto di partecipazione al procedimento, di accesso agli atti, di conoscenza del responsabile del procedimento, etc, ovverosia in una serie di diritti che rendono semplicemente conoscibile l’attività amministrativa.

5. La giurisdizione in materia di conferimento e revoca di incarichi dirigenziali.

Prima della privatizzazione le controversie in materia di pubblico impiego appartenevano alla giurisdizione del giudice amministrativo.

Tale attribuzione era giustificata dalla difficoltà di distinguere, in relazione alla particolarità del rapporto (la pubblica amministrazione persegue fini pubblici soprattutto attraverso l’esercizio di un’attività d’imperio e il dipendente pubblico non è semplicemente un lavoratore subordinato di prestazioni materiali o intellettuali, ma esercita una funzione pubblica attraverso l’incardinamento nell’ufficio) tra posizioni di diritto soggettivo e posizioni di interesse legittimo al fine di individuare il giudice competente.

Il Giudice amministrativo poteva annullare gli atti della pubblica amministrazione, ed in presenza di un atto illegittimo ripristinava l’ordine giuridico violato con l’eliminazione dell’atto.

Con la privatizzazione del pubblico impiego la giurisdizione in materia di rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni è stata trasferita al giudice ordinario.

L’art. 63 TUPI stabilisce che sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, incluse le controversie concernenti l'assunzione al lavoro e quelle relative al conferimento e alla revoca di incarichi dirigenziali, mentre restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni.

Recita il secondo comma "Il Giudice adotta, nei confronti delle pubbliche amministrazioni, tutti i provvedimenti, di accertamento, costitutivi o di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati".

In ossequio ai principi desumibili dalla legge sull’abolizione del contenzioso amministrativo il legislatore non ha conferito al giudice ordinario il potere giurisdizionale di annullamento degli atti presupposti illegittimi in materia di rapporto di lavoro, ma semplicemente il potere di disapplicazione degli atti amministrativi illegittimi quando siano rilevanti ai fini della decisione.

Attualmente la giurisprudenza amministrativa e civile sembrano concordi nel ritenere che in tema di impiego pubblico privatizzato, ai sensi dell'art. 63 del d.lg. n. 165 del 2001, sono attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario tutte le controversie inerenti ad ogni fase del rapporto di lavoro, incluse le controversie concernenti l'assunzione al lavoro e il conferimento di incarichi dirigenziali, mentre la riserva in via residuale alla giurisdizione amministrativa, contenuta nel comma 4 del citato art. 63, concerne esclusivamente le procedure concorsuali, strumentali alla costituzione del rapporto con la pubblica amministrazione.

In breve, sulla base della copiosa giurisprudenza che si è formata sul punto, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario tutte le controversie relative a nomine dirette fiduciarie o a seguito di procedure comparative curriculari o ancora attraverso la predisposizione di un elenco di candidati anche esterni alla pubblica amministrazione riconosciuti semplicemente idonei per il conferimento di incarichi dirigenziali, ovverosia quelle fattispecie che non presentano i connotati di un vero e proprio concorso pubblico.

La giurisdizione è riservata al giudice amministrativo soltanto nelle procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti che prevedono l’emanazione di un bando, la previsione di prove di esami con attribuzione di punteggio e l’approvazione della graduatoria finale di merito.

6. L’insufficienza delle norme sostanziali a garantire il rispetto dell’imparzialità nel conferimento degli incarichi senza la previsione di un adeguato regime di tutela giurisdizionale.

Posto il superiore quadro normativo l’evoluzione giurisprudenziale del giudice ordinario in materia di conferimento di incarichi dirigenziali si caratterizza per una minore tutela dei diritti dei soggetti che si ritengono lesi dal conferimento di incarichi dirigenziali ritenuti illegittimi.

Giova precisare che secondo l’art. 19 del TUPI gli incarichi sono conferiti con apposito provvedimento, con il quale vengono individuati l'oggetto dell'incarico e gli obiettivi da conseguire, con riferimento alle priorità, ai piani e ai programmi definiti dall'organo di vertice nei propri atti di indirizzo e alle eventuali modifiche degli stessi che intervengano nel corso del rapporto, nonché la durata dell'incarico, che deve essere correlata agli obiettivi prefissati e che, comunque, non può essere inferiore a tre anni ed eccedere il termine di cinque anni.

Al provvedimento di conferimento dell'incarico accede un contratto individuale con cui è definito il corrispondente trattamento economico.

Secondo una consolidata giurisprudenza di legittimità e di merito a fronte del potere discrezionale dell’amministrazione di scelta del soggetto ritenuto meritevole, nessun diritto soggettivo alla nomina può vantare l’aspirante pretermesso.

"L'atto di conferimento dell'incarico può essere liberamente modificato o ritirato nell'esercizio di potere privato e non di autotutela decisoria amministrativa (senza, perciò, incontrare i limiti procedimentali e sostanziali di questa), potendo l'interessato contestare non il potere di modifica o di ritiro in sè, ma solo la legittimità della scelta operata nei suoi confronti (e non la mera illegittimità del conferimento dell'incarico ad altro aspirante), ovvero a dedurre la lesione dell'aspettativa quale fonte di danno" (tra le tante Cassazione 5659/04).

In via generale la giurisprudenza civile ha stabilito che "il controllo giudiziale si arresta dinanzi al merito delle scelte operate dal datore di lavoro, potendosi soltanto ammettersi una valutazione attraverso i parametri di ragionevolezza e di correttezza e/o del rispetto di eventuali disposizioni contrattuali e regolamentari senza che ciò, comunque, possa comportare la sostituzione del giudice al datore di lavoro nell’attribuzione dell’incarico- fermo restando che se la valutazione comparativa è carente, il giudice non potrà sostituirla con altra diversa e che, se l’assegnazione dovesse risultare incongrua, non potrà il giudice sostituirla con altra ritenuta congrua… Il dipendente al quale non venga conferito l’incarico –anche qualora le concrete modalità di esercizio del potere organizzativo da parte della pubblica amministrazione fossero, in ipotesi, espressione di attività finalizzate a ledere i canoni di correttezza che i diritti della personalità del dipendente medesimo- potrebbe vantare, in astratto, soltanto il diritto al risarcimento del danno, incidendo l’ampiezza della discrezionalità sulla tecnica della tutela e sulla misura della riparazione" (di recente Tribunale di Siracusa sentenza n. 753/08).

In breve l’attuale quadro normativo e giurisprudenziale, pur riconoscendo che il provvedimento di conferimento dell’incarico ha natura giuridica discrezionale, determina una carente tutela giurisdizionale in ordine agli incarichi dirigenziali illegittimi.

Mentre prima col ricorso al TAR i provvedimenti illegittimi venivano annullati e privati di effetti giuridici, oggi col trasferimento della giurisdizione al giudice ordinario, ancor quando riconosciuti illegittimi continuano a produrre effetti, essendo configurabile esclusivamente un inadempimento contrattuale suscettibile di produrre danno risarcibile per perdita di chance, costituita dalla privazione della possibilità di sviluppi o progressioni nell’attività lavorativa, a patto che ne sia provata la sussistenza anche secondo un calcolo di probabilità e presunzione.

Tuttavia, se ciò può ritenersi bastevole per il datore di lavoro di un’azienda privata non lo è certo per il privato datore di lavoro di una pubblica amministrazione, risolvendosi in una violazione dell’art 51 della costituzione secondo cui tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge.

Vi è allo stato una evidente carenza di tutela giurisdizionale che, associata alla abolizione dei controlli esterni di legittimità degli enti locali, implica il formarsi di una zona franca che sfugge ad ogni sindacato di legittimità.

Nel vecchio regime, quando la giurisdizione in materia di incarichi era riservata al giudice amministrativo, chiunque vantava un interesse legittimo anche di natura procedimentale, poteva rivolgersi al Tar e chiedere l’annullamento, previa sospensione, del provvedimento lesivo della sua posizione giuridica per ottenere il rinnovo della procedura e partecipare alla selezione.

Il Giudice ordinario esclude che si possa vantare una posizione giuridica favorevole di carattere procedimentale, addirittura ritiene che essendo il suo un giudizio sul rapporto e non sull’atto eventuali vizi riconducibili all’inosservanza della legge sulla trasparenza non assumono alcuna rilevanza.

Per cui nel caso di conferimento di incarichi con contratto a termine esclusivamente fiduciari conferiti a soggetti esterni non appartenenti ai ruoli dirigenziali, senza la benché minima selezione, a chi si ritiene leso per la mancanza di procedimentalizzazione del potere pubblico privatizzato, non è riconosciuto alcun strumento giuridico per far valere l’illegittimità.

E, ammesso, per ipotesi scolastica, che il giudice del lavoro ritenga ammissibile il ricorso di un soggetto che chieda il risarcimento dei danni per perdita di chance, sarebbe del tutto impossibile dimostrare il danno secondo un calcolo di probabilità e presunzione, posto che non sapremo mia chi avrebbe presentato la domanda nel caso fossero state indette procedure selettive comparative, necessarie in base alla legge secondo l’interpretazione resa dalla Corte costituzionale e dalle giurisdizioni superiori.

Inoltre l’atto ritenuto illegittimo non potendo essere annullato, né sospeso in via cautelare, continuerebbe a produrre tutti i suoi effetti, facendo acquisire ulteriori titoli al soggetto a cui illegittimamente è stato conferito l’incarico, con buona pace del diritto di uguaglianza dei cittadini e di quello di poter accedere agli uffici pubblici in posizione di uguaglianza secondo i requisiti stabiliti dalla legge.

E’ fin troppo evidente che il principio di equilibrio tra i poteri non regge, essendo sostanzialmente negato il diritto sancito dall’art. 24 Cost., secondo cui tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi.

Il mero riconoscimento dell’eventuale diritto al risarcimento del danno in favore del soggetto che promuove il giudizio e la mancanza di un’autorità giurisdizionale che possa annullare e sospendere gli atti di conferimento degli incarichi dirigenziali illegittimi si rivela assolutamente insufficiente a garantire il rispetto dei principi di legalità ed imparzialità che debbono caratterizzare l’agire discrezionale (non libero) degli organi politici .

Si impone, quindi, un intervento legislativo rivolto all’attribuzione al Giudice ordinario del potere di annullare gli atti illegittimi della pubblica amministrazione, assunti coi poteri del privato datore di lavoro, in materia di incarichi dirigenziali.

Si ritiene che il conferimento di tale potere sia costituzionalmente legittimo alla luce dell’articolo 113 della Costituzione secondo cui: Contro gli atti della Pubblica Amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa. Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti. La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della Pubblica Amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa.

Il divieto del giudice ordinario di annullare gli atti della pubblica amministrazione è previsto dalla legge sull’abolizione del contenzioso amministrativo, che è una legge ordinaria.

E’ necessario, quindi, che in sede emanazione dei decreti delegati la distinzione tra attività di indirizzo e gestione amministrativa venga rafforzata e resa effettiva anche riconoscendo una maggiore tutela giurisdizionale nei confronti di atti di conferimento e revoca di incarichi dirigenziali illegittimi, in modo che i dirigenti vengano individuati, nel rispetto del principio di imparzialità, previ criteri di selezione, come richiesto dalla Corte costituzionale e dalla Corte di Cassazione e non attraverso scelte meramente fiduciarie.


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