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n. 11/2007 - ©
copyright
ANDREA BERTI*
In tema di
legittimazione passiva nel giudizio
di opposizione alla stima dell'indennità di esproprio
- I -
Una delle questioni sulle quali il T.U. degli espropri (D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327) ha inteso far luce è quella della individuazione dei soggetti passivamente legittimati nel giudizio di opposizione alla stima dell'indennità di esproprio; tema, forse, marginale rispetto al "cuore" della materia espropriativa, ma meritevole di attenta considerazione da parte del legislatore se non altro per le rilevanti conseguenze di ordine processuale e l'ampio contenzioso diffusosi sul punto nel regime previgente [1].
Anche in relazione a tale problematica il legislatore del T.U. si è mosso evidentemente spinto dalla necessità di coordinare ed unificare la precedente frammentata disciplina [2], mentre l'intervento chiarificatore ed innovatore si è imposto in particolar modo in considerazione di tutti quei casi - per la verità assai frequenti - in cui alla procedura ablatoria stessa partecipino, a diverso titolo, più soggetti [3].
Ed è proprio in relazione a questi casi di concorso istituzionale di più soggetti alla procedura espropriativa che si è manifestata la oggettiva carenza del dato normativo, ruotante attorno all'indefinito concetto di "soggetto espropriante" e che, nella sua estrema laconicità, aveva in passato impegnato gli interpreti e consentito il formarsi di una giurisprudenza estremamente divisa ed oscillante.
- II -
Pochi erano i principi giurisprudenziali condivisi in merito alla individuazione del soggetto passivamente legittimato nel giudizio di opposizione alla stima dell'indennità di esproprio in caso di procedimento pluripartecipato: al di là della preliminare affermazione secondo cui l'operazione non può seguire i criteri applicati in tema di responsabilità da fatto illecito in materia espropriativa (dove vige il principio di personalità), la stessa Corte di Cassazione aveva, invero, manifestato indirizzi contrapposti, tradendo la funzione nomofilattica sua propria e finendo spesso per rifugiarsi in una "giustizia del caso concreto" disorientante per l'operatore; con l'effetto che, nel dubbio, l'opponente si vedeva spesso costretto ad evocare in giudizio tutti i soggetti in qualche modo ed a qualsiasi titolo partecipanti alla procedura, al fine di non incorrere nel rischio di vedersi respingere l'azione, dopo anni di fatiche giudiziarie, per non avere correttamente individuato il soggetto obbligato [4].
Secondo un primo tradizionale e diffuso orientamento (che potremmo convenzionalmente chiamare del "beneficiario sostanziale dell'esproprio"), legittimato passivo nel giudizio di opposizione era esclusivamente chi beneficiava sostanzialmente della procedura ablatoria, ovvero il soggetto a favore del quale essa veniva espletata (soggetto titolare dell'area ablata destinato ad acquistare la proprietà), a prescindere dalla effettiva titolarità giuridica dei poteri espropriativi e dall'effettivo esercizio degli stessi (es. emanazione del decreto di esproprio).
La tesi trovava sostegno nella considerazione per la quale l'opposizione alla stima doveva essere concepita come giudizio avente ad oggetto esclusivamente la quantificazione dell’indennità (credito dell’espropriato) e quindi il rapporto patrimoniale tra l’espropriato ed il beneficiario sostanziale dell’esproprio, mentre l’indagine sulla correttezza amministrativa degli atti che precedono la stima veniva relegata a questione incidentale [5].
La tesi di cui sopra era però affiancata (rectius: contrastata) da altro ed altrettanto diffuso indirizzo della stessa sezione I della Cassazione (che potremmo chiamare della "effettiva titolarità giuridica dei poteri espropriativi"), secondo il quale l'individuazione del soggetto passivo dell'obbligazione indennitaria (e conseguentemente il soggetto passivamente legittimato nel giudizio di opposizione) andava condotta sulla base della natura giuridica dei rapporti intercorsi tra i vari soggetti che avevano preso parte alla procedura, con particolare riferimento alla portata della figura organizzatoria utilizzata ed accertando, sulla base dell'ordinamento positivo, se essa avesse rilevanza "esterna" - con trasferimento di poteri da esercitare in nome proprio - o meramente "interna" [6].
Con la precisazione che affinchè potesse affermarsi la rilevanza "esterna" del rapporto intercorso tra i vari soggetti partecipanti non era sufficiente il trasferimento della facoltà di adottare singoli atti della procedura espropriativa, agendo in nome e per conto dell'Ente espropriante (perchè in tal caso il soggetto agiva sempre quale longa manus ed alter ego del primo), occorrendo a tal fine il trasferimento della facoltà di porli in essere "in nome proprio" [7].
Nell'esprimere il suddetto orientamento la Corte di Cassazione si è sempre guardata bene dal riconoscere un contrasto con l'indirizzo precedente, richiamandolo anzi costantemente nella premessa dei suoi ragionamenti, ma di fatto disattendolo nel momento in cui ne affermava l'inoperatività ogniqualvolta veniva in gioco l'esigenza di verificare i rapporti intercorsi tra i vari soggetti partecipanti alla procedura d'esproprio [8].
Vi era quindi innegabilmente, nel regime previgente, un contrasto giurisprudenziale a livello della stessa Corte di Cassazione.
Val la pena di sottolineare che in relazione ad entrambi gli indirizzi sopra esposti poteva registrarsi la tendenza a valorizzare, nella fase applicativa della ricerca del soggetto passivamente legittimato, un criterio ispirato a principi di legalità formale.
Così, secondo il primo approccio ermeneutico, la ricerca del beneficiario sostanziale del procedimento ablatorio era ritenuto compito esclusivo del Giudice, il quale doveva al riguardo tenere conto degli atti amministrativi adottati (in particolare il decreto di esproprio), ma senza limitarsi al semplice riscontro letterale, potendo, in omaggio al principio di legalità, accertare se l'individuazione del beneficiario effettuata dagli stessi fosse corretta e conforme a legge ed eventualmente ed in caso di loro illegittimità, disapplicare gli stessi ai sensi dell'art. 5 L. 2248/1865 [9].
Parallelamente, secondo la tesi della "effettiva titolarità giuridica dei poteri espropriativi", la verifica di detti poteri andava condotta caso per caso sulla base del principio di legalità, perchè non sarebbe consentito all'ente espropriante di disporre a suo piacimento dei poteri stessi liberandosi e sollevandosi in tal modo dalle responsabilità e dai compiti che l'ordinamento gli attribuisce [10].
Di segno totalmente opposto e nella differente prospettiva di tutela dell'affidamento incolpevole dell'espropriato e della sua buona fede rispetto alla manifestazione del potere espropriativo è una discussa sentenza della stessa 1^ sezione della Corte di Cassazione[11]: la pronuncia, pur rimanendo sostanzialmente isolata [12] ed ancorchè ispirata da evidenti istanze di giustizia concreta, è comunque degna di menzione in quanto esprime efficacemente il riconoscimento esplicito da parte dello stesso Giudice di legittimità della carenza del dato normativo vigente prima dell'entrata in vigore del Testo Unico e quindi l'obiettiva difficoltà che l'espropriato poteva incontrare nell'instaurare utilmente il contradditorio nel giudizio di opposizione alla stima.
Secondo la tesi propugnata in sentenza, a prescindere dal beneficiario sostanziale dell'esproprio e dalla effettiva titolarità giuridica dei poteri espropriativi, legittimato passivo nel giudizio di opposizione alla stima era soltanto chi si fosse presentato (chi fosse apparso) nei confronti dell'espropriato come il soggetto tenuto al pagamento dell'indennità; e ciò in ragione della tutela dell'affidamento e della buona fede dell'espropriato che, in quanto espressivi di un principio generale dell'ordinamento [13], dovrebbe indurre a privilegiare ragioni di giustizia sostanziale rispetto a quelle di legalità formale [14].
La tesi, che ha suscitato commenti critici in dottrina [15], appare effettivamente piuttosto ardita nella misura in cui, dando rilievo all'effettivo comportamento tenuto dalle parti nell'ambito del procedimento espropriativo, finisce per fare applicazione del principio di personalità, utilizzando quindi criteri analoghi a quelli utilizzati per la responsabilità da illecito: invero, il fatto che uno dei soggetti compartecipanti alla procedura si sia erroneamente presentato e manifestato come il soggetto passivo dell'obbligazione indennitaria potrebbe tutt'alpiù assurgere a rilievo ai fini della regolamentazione delle spese di lite o al fine del risarcimento dei danni, ma non si vede come potrebbe alterare le regole oggettive del processo disciplinanti la legittimazione passiva.
- III -
In considerazione delle problematiche sorte nel regime previgente, generatrici di un diffuso contenzioso in punto di legittimazione passiva, il T.U. degli espropri ha significativamente innovato il quadro normativo.
Innanzitutto, accogliendo le istanze di riconoscibilità del soggetto obbligato da parte dell'espropriato, l'art. 6, comma 8, del D.P.R. 327/2001, in relazione all'ipotesi di esercizio dei poteri espropriativi da parte del concessionario o contraente generale ("Se l'opera pubblica o di pubblica utilità va realizzata da un concessionario o contraente generale, l'amministrazione titolare del potere espropriativo può delegare, in tutto o in parte, l'esercizio dei propri poteri espropriativi ..."), ha precisato che in tal caso lo stesso Ente delegante deve determinare "chiaramente l'ambito della delega nella concessione o nell'atto di affidamento, i cui estremi vanno specificati in ogni atto del procedimento espropriativo": si tratta evidentemente di una norma ispirata da quell'orientamento giurisprudenziale volto a considerare le esigenze di tutela dell'affidamento e della buona fede dell'espropriato nella individuazione del legittimato passivo, norma che appare ragionevolmente applicabile, per analogia, in tutti i casi di "trasferimento" di funzioni espropriative da un soggetto ad un altro.
In merito alla individuazione dei soggetti passivamente legittimati nel giudizio di opposizione, l'art. 54 del D.P.R. 327/2001 ha poi previsto quanto segue: "3. L'opposizione alla stima è proposta con atto di citazione notificato all'autorità espropriante, al promotore dell'espropriazione e, se del caso, al beneficiario dell'espropriazione, se attore è il proprietario del bene, ovvero notificato all'autorità espropriante e al proprietario del bene, se attore è il promotore dell'espropriazione. 4. L'atto di citazione va notificato anche al concessionario dell'opera pubblica, se a questi sia stato affidato il pagamento dell'indennità.".
La novità più significativa rispetto al sistema precedente consiste nell'aver scelto e privilegiato l'istituto del litisconsorzio necessario [16].
Inoltre, menzionati i soggetti passivamente legittimati nel giudizio di opposizione e stabilitane la necessaria e contestuale evocazione in giudizio, la concreta individuazione degli stessi dovrebbe essere agevolata dal fatto che tali figure sono espressamente definite nell'art. 3 dello stesso Testo Unico [17].
Il litisconsorzio tra espropriante, promotore e beneficiario dell'espropriazione è eventuale ("se del caso") e riguarda soltanto il caso in cui quest'ultimo è soggetto diverso dai primi [18]: ogni diversa opzione interpretativa che ammettesse uno spazio valutativo in ordine all'interesse ad evocare in giudizio il beneficiario da esercitarsi caso per caso, sarebbe, oltre che in contrasto con la ratio legis, foriera di nuovo contenzioso sul punto.
Benchè un problema di dissociazione tra "autorità espropriante" e chi si manifesta come tale non dovrebbe teoricamente porsi in considerazione del principio affermato dall'art. 6, comma 8, del DPR 327/2001, in pratica esso potrebbe comunque emergere in presenza di patologie del procedimento e quindi nel caso di mancato rispetto della norma e dei connessi obblighi di trasparenza e di comunicazione posti a carico dell'Amministrazione; a maggior ragione lo stesso problema potrebbe porsi nel caso in cui un soggetto si presenti (appaia) di fronte ai terzi come beneficiario sostanziale dell'esproprio senza esserlo.
Pare, al riguardo, non percorribile la tesi dell'apparente esercizio dei poteri espropriativi a tutela dell'affidamento e della buona fede dell'espropriato e ciò, oltre che per le considerazioni critiche già espresse, anche perchè il legislatore del Testo Unico ha inequivocabilmente manifestato una preferenza per un criterio di legalità formale, come si desume dall'art. 3, comma 1, lett. b) che riferisce il concetto di "autorità espropriante" soltanto a quel soggetto al quale sia stato attribuito il potere espropriativo "in base ad una norma".
Il criterio è esplicitato con specifico riferimento all'"autorità espropriante", ma sembra il portato di un principio generale suscettibile di trovare applicazione anche per il "promotore" e per il "beneficiario" dell'esproprio.
In ordine alla previsione del litisconsorzio necessario, possono farsi alcune considerazioni.
Il legislatore, mosso evidentemente da intenti chiarificatori e di deflazione del contenzioso (in punto di legittimazione passiva), ha utilizzato l'istituto del litisconsorzio necessario per ricomporre i due principali indirizzi giurisprudenziali (quello dell'effettiva titolarità giuridica dei poteri espropriativi e quello del beneficiario sostanziale dell'esproprio).
Poichè è difficile sostenere che tutti i necessari litisconsorti (espropriante, promotore e beneficiario) siano sempre e comunque parti di un unico rapporto plurisoggettivo sostanziale, sembra che il legislatore abbia effettivamente inteso introdurre nell'ordinamento un altro caso di inscindibilità del rapporto processuale per ragioni di "opportunità", ravvisabili in questo caso nell'avvertita esigenza di agevolare il compito dell'opponente nella individuazione dei suoi interlocutori processuali e di garantire un effettivo contradditorio da parte di tutti i soggetti in qualche modo interessati alla questione controversa.
Ma ciò non autorizza a pensare che la prevista inscindibilità del rapporto processuale sottenda necessariamente un vincolo di solidarietà passiva tra i litisconsorti necessari [19].
Ne consegue che, pur in presenza di una norma che impone la chiamata in causa di più soggetti comunque ritenuti dal legislatore contraddittori necessari nel giudizio di opposizione, sarà onere di questi ultimi distinguere la propria posizione debitoria nei confronti dell'opponente; tenendo conto dell'ulteriore aggravio costituito dalla impossibilità, in caso di condanna, di esercitare in quello stesso giudizio l'azione di rivalsa nei confronti degli altri litisconsorti necessari in virtù della preclusione costituita dalla specialità del giudizio stesso [20].
(*) Avvocato civico - Foro di Pesaro.
[1] Ricchissima è la produzione giurisprudenziale, che attiene - lo si ricorda - ad una questione preliminare e pregiudiziale del processo, in quanto tale condizionante il buon fine dell'azione giudiziale promossa dall'opponente. Al riguardo, è tuttora controversa la natura processuale della relativa eccezione: la Corte di Cassazione aveva inizialmente aderito alla tesi della eccezione in rito, ovvero della legittimatio ad causam in senso tecnico, sul presupposto che essa implicasse la non coincidenza (secondo la prospettazione attorea) tra il soggetto evocato in giudizio ed il soggetto nei cui confronti, secondo la legge che regola il rapporto controverso, l'azione può essere esercitata (in tal senso Cass. sez. I 09.06.1993, n. 6435; 22.06.1990. n. 6263); successivamente la S.C. ha mutato indirizzo, ritenendo che l'eccezione sollevata dal convenuto-opposto, fondandosi sulla contestazione della titolarità passiva del rapporto giuridico controverso, attenga più propriamente al merito della controversia (così, Cass. sez. I 28.02.2007, n. 4776; 07.05.2003, n. 6935; 02.12.1992, n. 12850). Le conseguenze della diversa qualificazione dell'eccezione sono di grande portata dal punto di vista processuale, atteso che notoriamente mentre il difetto di legittimatio ad causam è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento, l'eccezione che attiene al merito della controversia rientra nel potere dispositivo delle parti e deve essere dedotta nei tempi e nei modi previsti per le eccezioni di parte.
[2] L’art. 51 L. 25 giugno 1865, n. 2359 prevedeva che l’atto di opposizione dovesse essere notificato “tanto al Prefetto, quanto all’espropriante”, mentre l’art. 19 L. 22 ottobre 1971, n. 865 stabiliva che l’opposizione andava proposta “con atto di citazione notificato all’espropriante”.
[3] I soggetti (pubblici o privati) possono concorrere al procedimento espropriativo a diverso titolo, ad esempio sulla base di un rapporto di "concessione", sulla base di un contratto di "appalto", per atto di "delega", per "incarico", "affidamento" o sotto forma di "finanziamento" dell'opera, ecc..
[4] Difficoltà e restrizioni nella conduzione della strategia processuale incontrava anche il convenuto-opposto, in considerazione del fatto che, secondo il costante orientamento della Cassazione, nell'ambito del giudizio di opposizione alla stima non era ammissibile l'azione di rivalsa di uno dei soggetti chiamati in causa nei confronti del compartecipante, visto che il Giudice dell'opposizione ha competenza funzionale in unico grado per dette controversie, mentre l'azione di rivalsa andava riservata al giudice ordinario con doppio grado di giurisdizione (Cass. sez. I 11.08.2000, n. 10680; 09.06.1994, n. 5632; 15.01.1992, n. 411).
[5]Vedasi, per il suddetto indirizzo: Cass. sez. I 14.05.2003, n. 7382; 11.08.2000, n. 10680; 22.02.2000, n. 1991; 11.10.1999, n. 11370; 18.02.1999, n. 1350; 13.01.1998, n. 5924; 01.08.1996, n. 6957; 16.02.1995, n. 1708; 06.03.1993, n. 2741; 05.11.1987, n. 8156; 04.07.1983, n. 4462. Scorrendo alcune delle più significative fattispecie sottoposte allo scrutinio della S.C.: in un caso in cui il Comune aveva emesso il decreto di esproprio su "incarico" della Regione e quest'ultima era destinata a divenire titolare dell'area ablata, Cass. n. 7382/2003 statuiva che legittimato passivo era soltanto la Regione e non il Comune; in un altro caso la Regione aveva redatto il progetto di opera pubblica, lo aveva finanziato, aveva approvato il progetto e dichiarato la pubblica utilità dell'opera con l'annesso piano particellare, mentre il Comune aveva emesso il decreto di occupazione d'urgenza e di esproprio ma risultava beneficiario del trasferimento del bene: per questo motivo legittimato passivo doveva considerarsi soltanto il Comune (Cass. 11370/1999); in un caso analogo la Provincia aveva approvato il progetto per la realizzazione di un campo sportivo destinato ad essere acquisito nel patrimonio della stessa ed il Comune, sulla base di apposita legge regionale e su richiesta della Provincia, aveva emesso il decreto di occupazione: secondo Cass. n. 1350/1999 unico legittimato passivo era la Provincia; infine, in un altro caso la Regione aveva adottato tutti gli atti più rilevanti della procedura espropriativa (decreto di esproprio, determinazione dell'indennità, offerta della stessa), ma il Comune, per il fatto stesso di essere beneficiario dell'opera (edificio scolastico), doveva considerarsi unico legittimato passivo (Cass. n. 1708/1995).
[6] Cass. sez. I 12.01.2006, n. 464; 29.12.2005, n. 28861; 21.05.2003, n. 7950; 13.07.2001, n. 9521; 08.05.2001, n. 6367; 04.02.2000, n. 1210; ss.uu. 27.08.1998, n. 8496; sez. I 25.07.1997, n. 6959; 28.05.1991, n. 6029.
[7] Nessun dubbio sulla rilevanza "esterna" del rapporto si appalesava nel caso della c.d. concessione traslativa, laddove legittimato passivo doveva ritenersi il concessionario che agisce quale organo indiretto dell'Amministrazione concedente (Cass. sez. I 21.05.2003, n. 7950; ss.uu. 12.10.2000, n. 1094; 09.05.2000, n. 299; 06.07.2000, n. 466; 16.06.2000, n. 8246; 15.10.1998, n. 10192; 13.05.1998, n. 4821). Diversa la fattispecie della delega, per la quale occorreva distinguere caso per caso se si trattasse di delegazione intersoggettiva vera e propria (con trasferimento della titolarità della funzione amministrativa) o semplice delegazione amministrativa (con trasferimento della legittimazione all'adozione di atti). Talvolta si distingueva, poi, ai predetti fini, gli istituti di cui sopra dalla figura dell'affidamento in senso proprio, ricorrente nei casi in cui l'Ente titolare incarica gli organi tecnici di un altro Ente di curare una parte del procedimento ablatorio, eventualmente adottando atti preparatori o conseguenti: trattandosi di rapporto a rilevanza interna, si concludeva per la sua irrilevanza ai fini della individuazione della legittimazione passiva, che rimane in capo all'affidante (in questo senso Cardillo, La legitimazione passiva nelle vertenze sull'indennità di espropriazione per pubblica utilità. Questioni e problemi sollevati dalla recente evoluzione giurisprudenziale, Giur. merito, 1995, 4 808 ss.). Infine, in più occasioni la giurisprudenza ha escluso la rilevanza "esterna" dell'attività di finanziamento, in quanto tale inidonea ad influire sulla identificazione del soggetto espropriante (Cass. sez. I 06.03.1993, n. 2741; 13.01.1988, n. 176).
[8] Quasi sempre la Cassazione, nelle pronuncie rappresentative di questo secondo orientamento, richiamava la tesi del beneficiario sostanziale dell'esproprio, salvo poi specificare che detto criterio identificativo non poteva trovare applicazione tutte le volte in cui si potesse verificare l'effettiva titolarità giuridica della funzione espropriativa ("... salvo che dal decreto di esproprio non emerga ..."), in tal modo in effetti affermando l'assoluta prevalenza di questo secondo criterio nient'affatto coincidente con il primo.
[9] Così, in questi termini, Cass. sez. I 06.03.1993, n. 2741, secondo cui "L'individuazione di quale sia il soggetto espropriante è compito del giudice che deve tenere conto del contenuto del decreto di espropriazione, ma non può rinunziare ad accertare se la individuazione operata da detto decreto sia corretta e conforme alla legge in applicazione della quale esso è stato emanato.". Nel caso di specie la Corte d'Appello aveva ritenuto non corretta l'indicazione contenuta nel decreto di esproprio pronunziato "a favore del Comune in nome e per conto della Cassa per il Mezzogiorno", ritenendo di dover escludere un rapporto di "rappresentanza" tra il Comune, destinato a diventare proprietario dell'impianto sportivo per la cui costruzione era stata espropriata l'area degli opponenti e la Cassa per il Mezzogiorno, che era l'ente finanziatore dello stesso impianto; il rapporto di "rappresentanza" risultante dalla formulazione letterale del decreto di esproprio andava esclusa, ad avviso della Corte, sia perché non era prevista da alcuna disposizione normativa, sia perché, in linea di fatto, fu il Comune in quel caso ad acquistare in proprio altri appezzamenti di terreno necessari per la costruzione del medesimo impianto sportivo. La Cassazione ha confermato la decisione della Corte d'Appello.
[10] In tal senso Benini, Legittimazione passiva nell'opposizione alla stima dell'indennità di espropriazione, Foro it., 2002, I, 1138 ss..
[11] Cass. sez. I 06.02.1993, n. 1504.
[12] Una certa rievocazione dei principi espressi da tale sentenza la si ritrova, in parte, in Cass. sez. I 13.07.2001, n. 9521, in cui si dà rilievo al fatto che uno dei soggetti partecipanti alla procedura d'esproprio era venuto in rapporto, nomine proprio, con i proprietari, offrendo la relativa indennità.
[13] Viene confermata ancora una volta la vis expansiva del principio di buona fede e di affidamento incolpevole che dopo aver lasciato il lido originario del diritto delle obbligazioni e dei contratti ed essere da tempo sbarcato nel campo del diritto amministrativo, prosegue la sua corsa nel campo del diritto processuale.
[14] Nel caso analizzato dalla Corte era stato dato rilievo al fatto che, pur in presenza di un dato normativo che indicava inequivocabilmente il Comune quale soggetto beneficiario dell'esproprio, altro soggetto aveva partecipato al procedimento ablatorio in forma tale da suscitare all'esterno, e in particolare, nel terzo espropriato creditore dell'indennizzo, la convinzione dell'assunzione, da parte di quest'ultimo degli obblighi inerenti alla corresponsione dell'indennizzo. Il caso deciso è particolarmente significativo anche perchè riguardante una procedura di espropriazione per la realizzazione di programmi di edilizia residenziale pubblica ex L. 865/1971, dove per giurisprudenza costante il soggetto pubblico o privato che svolge la procedura espropriativa lo fa su "delega" dell’Ente espropriante (Comune) ma agendo "per conto ed in nome del delegante", sicchè l’attività è riferibile a quest'ultimo che è l'unico legittimato passivo nel giudizio di opposizione alla stima.
[15] In termini critici si esprime Cardillo, La legitimazione passiva nelle vertenze sull'indennità di espropriazione per pubblica utilità. Questioni e problemi sollevati dalla recente evoluzione giurisprudenziale, Giur. merito, 1995, 4 808 ss., secondo il quale "il problema esula da schemi di natura privatistica e si risolve sempre nella quantità e qualità dei poteri conferiti. Se tale attribuzione manca del tutto, per espressa previsione normativa, non c'è comportamento materiale che possa sostituire le disposizioni del legislatore nonché i provvedimenti amministrativi conseguenti.".
[16] Come noto, il Codice di Procedura Civile disciplina il litisconsorzio necessario con l'art. 102, che prevede che "Se la decisione non può pronunciarsi che in confronto di più parti, queste debbono agire o essere convenute nello stesso processo. Se questo è promosso da alcune o contro alcune soltanto di esse, il giudice ordina l'integrazione del contraddittorio in un termine perentorio da lui stabilito.". L'istituto è generalmente inteso come uno strumento processuale a tutela dell'attore e quindi come una sorta di onere collegato alla domanda, in quanto gli consente di ottenere un provvedimento giudiziale opponibile a tutti i soggetti legittimati a stare in giudizio. Controverso è il fondamento dell'istituto: parte della dottrina lo ravvisa nella unicità di talune situazioni giuridiche sostanziali rispetto ad una pluralità di soggetti (tale per cui sarebbe impossibile decidere separatamente sulla domanda proposta soltanto da uno solo o contro uno solo dei soggetti coinvolti), mentre altri lo estendono sino a ricomprendere esigenze di convenienza o di opportunità pratica; in ogni caso, anche chi aderisce alla prima tesi finisce per riconoscere l'esistenza di casi per i quali l'ordinamento prevede il litisconsorzio anche in assenza di un rapporto sostanziale plurisoggettivo.
[17]
L'art. 3 del D.P.R. 327/2001 stabilisce che "Ai
fini del presente testo unico:
a) per "espropriato", si intende il soggetto, pubblico o privato,
titolare del diritto espropriato; b) per "autorità espropriante", si
intende l'autorità amministrativa titolare del potere di espropriare e
che cura il relativo procedimento, ovvero il concessionario di un'opera
pubblica, al quale sia stato attribuito tale potere, in base ad una
norma; c) per "beneficiario dell'espropriazione", si intende il
soggetto, pubblico o privato, in cui favore è emesso il decreto di
esproprio; d) per "promotore dell'espropriazione", si intende il
soggetto, pubblico o privato, che chiede l'espropriazione. ".
[18] In questi termini Benini, Legittimazione passiva nell'opposizione alla stima dell'indennità di espropriazione, Foro it., 2002, I, 1138 ss..
[19] E' noto che l'obbligazione solidale passiva non dà necessariamente luogo sul piano processuale a litisconsorzio necessario, potendo il creditore avvalersi per l'intero nei confronti di ogni debitore, con conseguente possibilità di scissione del rapporto processuale che può utilmente svolgersi anche nei confronti di uno solo dei coobbligati (Cass. sez. III 29.04.2006, n.- 10042; 06.04.2006, n. 8105; sez. II 22.05.1998, n. 5106).
[20] Come si è detto, (vedi nota n. 4), secondo la Corte di Cassazione l'azione di rivalsa di uno dei soggetti chiamati in causa nei confronti del compartecipante alla procedura espropriativa va riservata al giudice ordinario con doppio grado di giurisdizione, tal che essa non è proponibile nell'ambito del giudizio di opposizione alla stima, visto che il Giudice dell'opposizione ha competenza funzionale in unico grado per dette controversie.