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Articoli e note

n. 1/2005 - © copyright

GENNARO BARBIROTTI
(Avvocato)

Ancora sul "condono ambientale" della L. 15 dicembre 2004 n. 308 per lavori realizzati al 30.9.2004 e sulle sue possibili conseguenze sul piano urbanistico-edilizio

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Il 31.1.2005 scade il termine posto dall'art. 1, comma 39, della L. 15 dicembre 2004 n. 308 per presentare all'Autorità preposta alla gestione del vincolo paesaggistico la domanda di "condono ambientale" per lavori effettuati a tutto il 30.9.04 in area protetta.

La norma ha destato e desta numerosissime perplessità circa il definitivo destino del bene realizzato.

Si è cercato di esaminare alcuni aspetti della nuova disciplina nel precedente contributo pubblicato in questa Rivista, n. 12/2004, cui si rinvia.

Le numerosissime richieste di approfondimento ricevute in merito, rendono opportuna - ed, anzi, doverosa - la puntualizzazione di alcuni aspetti generali.

Volendo sintetizzare le precedenti conclusioni, allo stato, è certo solo che il positivo accertamento "postumo" di compatibilità paesaggistica da parte dell'organo competente, previo parere obbligatorio delle Soprintendenze, estingue il reato di cui all'art. 181 del codice dell'ambiente (D.Lgs. n. 42/04, noto come "codice Urbani") e ogni altro reato in materia paesaggistica, sotto le ulteriori condizioni dell'uso di materiali variamente compatibili e del pagamento di due sanzioni pecuniarie, di cui la prima, ai sensi dell'art. 167 del codice dell'ambiente già cit. (aumentata da un terzo alla metà).

Come ulteriore effetto, si è anche ipotizzato che il pagamento di tale sanzione ex art. 167 del codice dell'ambiente (sanzione alternativa al ripristino) comporti la sopravvivenza dell'opera costruita in mancanza dell'autorizzazione paesistica, necessaria - in via ordinaria - ex art. 146 del codice medesimo.

La conclusione risulta rafforzata anche dalla previsione circa la compatibilità dei materiali: se si richiede anche questo elemento "fisico", oggettivamente rapportato non al regime giuridico-urbanistico dell'opera, ma alla intrinseca "qualità" della costruzione ed alla sua compatibilità con il bene oggetto di tutela, è evidente che -nel porre la verifica di questa compatibilità dei materiali utilizzati come condizione dell'estinzione del reato- si è pure inteso escludere la demolizione quelle volte che detta verifica risulti positiva.

In altri termini, non ha alcun senso verificare che i materiali utilizzati siano compatibili con il paesaggio … se poi questi materiali devono essere comunque demoliti.

Discende che l'accertamento postumo della conformità paesaggistica delle opere realizzate, nel contesto di una norma eccezionale qual è quella del comma 37 della legge n. 308/04, è idoneo ad eliminare l'ostacolo costituito dal divieto di autorizzazione paesaggistica in sanatoria sancito dall'art. 146, comma 10, lett. c) del codice dell'ambiente ed apre le porte quantomeno alla possibilità di un accertamento di conformità sul piano urbanistico-edilizio ai sensi degli artt. 36 e 37 del TU edilizia, ex art. 13 L. 47/85, nel caso di opere conformi agli strumenti urbanistici ivi previsti.

Insomma, tutte quelle volte che le opere realizzate su area vincolata, in assenza di autorizzazione paesaggistica, valutate poi conformi alle esigenze di tutela del bene protetto, siano anche coerenti con le previsioni urbanistiche vigenti sia al tempo della realizzazione sia a quello della domanda, non si vede come possa essere negato per esse anche il titolo abilitativo edilizio e, quindi, la loro totale legittimazione.

Il problema rimane evidente per le opere difformi dalle prescrizioni urbanistiche, nella totale mancanza di una specifica previsione per esse di sanatoria edilizia che abiliti il Comune a rilasciare il permesso di costruire anche in difformità dalle previsioni urbanistiche medesime.

Non servirebbe una riapertura dei termini per le domande di condono ex art. 32, comma 27, lett. d) del D.L. 269/03, perché anche tale norma prescrive espressamente come necessario il requisito della conformità urbanistica.

In tale contesto, l'unico mezzo esaustivamente utile sarebbe un'ulteriore disposizione legislativa che, sul presupposto che le opere reputate conformi al paesaggio, per l'ulteriore effetto del pagamento della sanzione pecuniaria ex art. 167 del codice dell'ambiente (si ripete: alternativa alla demolizione) -in conseguenza della quale esse vanno conservate, non vanno demolite, devono sopravvivere- ne consenta anche il condono edilizio, semmai con drastici limiti tipologici e quantitativi del tutto assenti (scandalosamente) dalla previsione del comma 37, art. 1, della legge 308/04 (ma con non pochi problemi nei confronti di colui che avesse già presentato la domanda).

Né va tralasciato che quest'ultimo compie riferimento ad opere "EFFETTIVAMENTE" eseguite entro il 30.9.04.

Ordunque, se queste opere sono giunte al punto da essere definite anche "ultimate", ossia complete nella loro struttura, tompagnatura e copertura, in analogia a quanto la pacifica giurisprudenza ha chiarito sulla legislazione del condono "edilizio", insomma, se -entro tale termine del 30.9.04- siano stati realizzati lavori tali da definire compiutamente un aumento di volumetria, di altezza o di superficie residenziale -"il grezzo", per intendersi- si è del parere che il positivo accertamento di conformità paesaggistica delle stesse, in uno al pagamento della sanzione pecuniaria ex art. 167 del codice dell'ambiente, le renda immuni dalla demolizione, con la conseguenza che esse devono sopravvivere, a prescindere dalla loro conformità agli strumenti urbanistici.

La conseguenza plausibile è che i lavori di finitura di cui le stesse necessitassero (intonaci, pavimentazione, infissi, etc.) dovranno essere valutati dal Comune "in sè" e non con riferimento alle eventuali difformità dagli strumenti urbanistici delle opere consistenti nell'aumento di cubatura, altezza, o superficie, o quant'altro.

Queste ultime, infatti, sarebbero già coperte dal regime di "sopravvivenza" derivante dall'intervenuto parere di conformità paesaggistica e dall'aver pagato la sanzione pecuniaria alternativa al ripristino.

Se questa tesi si rivelasse fondata, per opere realizzate in area vincolata, per di più, "ultimate", secondo l'accezione appena espressa, confortate - altresì - dal parere di conformità paesaggistica favorevole, previo pagamento della sanzione pecuniaria di cui all'art. 167 del codice dell'ambiente, aumentata da un terzo alla metà, basterebbe una dichiarazione di inizio attività (DIA) per effettuare le finiture ed il Comune non avrebbe titolo ad eccepire il contrasto con gli strumenti urbanistici dell'ampliamento di volumetria, altezza, superficie, etc. - in quanto "coperti" dal pagamento della sanzione ex art. 167 - ma dovrebbe limitarsi, correttamente, soltanto all'esame della conformità delle richieste opere di finitura.

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