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Articoli e note

n. 12/2004

GENNARO BARBIROTTI (*)

Prime riflessioni sul cd. "condono ambientale" contenuto nella L. 15 dicembre 2004 n. 308 con uno sguardo alla sanatoria edilizia in aree vincolate prevista dal dl n. 269/03 e sua conv. in L. n. 326/03

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In data 24.11.2004 la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva il disegno di legge n. 1798/2004, nel testo derivante dal maxiemendamento presentato dal Governo. Il disegno di legge approvato è poi stato pubblicato nella G.U. n. 302 del 27 dicembre 2004 - Suppl. Ord. n. 187 (Legge 15 dicembre 2004, n. 308).

Si è trattato di una vicenda che ha suscitato molte polemiche sul piano politico, ma che ha anche ingenerato molte attese ed aspettative sociali, soprattutto perché il condono edilizio disciplinato dall'art. 32 del D.L. 30.9.2003 n. 269, convertito in L. 24.11.2003 n. 326, per quanto riguarda le opere realizzate in aree tutelate (intendendosi qui per esse quelle sottoposte al vincolo di cui alla l. n. 431/85, poi TU n. 490/99, ora Dlgs n. 42/04), appare abbastanza limitativo.

Infatti, il comma 26 del citato articolo 32, prevede la sanatoria edilizia per opere realizzate in aree vincolate, solo allorchè si tratti delle tipologie di intervento di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell'allegato 1 e cioè, in sostanza, di restauro e risanamento conservativo e di manutenzione straordinaria, secondo la definizione contenuta nel TU 380/01, art. 3, comma 1, lett. b) e c).

Per canto suo, il successivo comma 27, lett. d), esclude la sanatoria per qualsiasi tipo di opera realizzata su aree già vincolate al tempo della loro realizzazione, che risulti essere priva del titolo abilitativo edilizio o in sua difformità e <<non conforme>> alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.

L'assetto così determinato dal DL 269/03 del condono edilizio in aree tutelate, si presta ad alcuni rilievi immediati, sia di ordine metodologico, che contenutistico.

Mentre appare sorretta da sufficiente logica la scelta (contenuta nel comma 26 dell'art. 32) di limitare il condono in aree vincolate soltanto ad alcune tipologie di intervento <<minori>>, dunque meno (o per nulla) incidenti sul paesaggio, piuttosto incomprensibile risulta, viceversa, la prescrizione di conformità alle norme ed agli strumenti urbanistici recata dal comma 27.

Infatti, il rispetto della disciplina urbanistica è proprio l'oggetto che viene ritenuto sacrificabile, con date condizioni e limitazioni, con una norma di sanatoria che è mezzo straordinario ed eccezionale rivolto, appunto, a conferire il titolo edilizio proprio ad opere <<non conformi>> alla disciplina urbanistica.

D'altra parte, in aree sottoposte al vincolo paesistico, l'oggetto della legislazione di tutela (peraltro di rilevanza costituzionale ai sensi dell'art. 9, comma 2, della Costituzione)- è solo ed esclusivamente il paesaggio.

Non si vede allora perché la condonabilità di un opera in area vincolata sia stata sottoposta non solo alla sacrosanta verifica di compatibilità ambientale da parte degli organi competenti, ma anche a quella di <<conformità urbanistico-edilizia>>.

Insomma, senza volere esprimere alcun giudizio sull'opportunità politica di un condono edilizio, se di condono deve trattarsi, che <<condono>> (nel senso di sanatoria di opere non conformi alla disciplina urbanistica) sia davvero!

E questo dovrebbe, per logica, valere anche in aree tutelate (semmai con previsione di limiti quantitativi minori), poiché in dette aree l'esclusivo aspetto rilevante è la compatibilità con l'ambiente ed il paesaggio circostante e non già la conformità urbanistica, la cui carenza -in tutta la normativa licenziata dal 1985 ad oggi- è addirittura il presupposto della prima e più frequente tipologia di abuso (tipologia 1).

Del resto, il dl 269/03 è stato emanato allorquando non era stato ancora approvato il nuovo codice dell'ambiente (D.Lgs. 42/04, entrato in vigore solo l'1.5.2004), il cui art. 146, comma 10, lett. c) ha vietato l'autorizzazione paesaggistica <<postuma>>.

Questa circostanza rende del tutto improbabile che, per opere realizzate entro il 31.3.03 (e solo simili opere contempla il dl n. 269/03) in <<conformità>> alle previsioni urbanistiche, non si sia ricorso al ben più agevole e tipico (ed anche più economico) istituto dell'accertamento di conformità, già vigente fin dal 1985 (art. 13, L. 47/85, ora artt. 36 e 37 TU 380/01), quantunque con la non certo determinante doppia conformità agli strumenti urbanistici vigenti ed a quelli adottati.

In conseguenza, l'aver prescritto come condizione necessaria di accesso alla sanatoria in aree vincolate anche la conformità urbanistica (che, poi, in Campania, per le "nuove costruzioni", è richiesta anche per opere eseguite su aree non vincolate, come disposto dall'art. 3, comma 1 e dall'art. 4, comma 1, lett. b) della LR 18.11.04 n. 10, approvata, peraltro, <<fuori tempo massimo>>), risulta del tutto irragionevole e contraddittorio, nel contesto di una norma eccezionale sul condono edilizio e rischia di vanificare anche il fine, in pratica palese e dichiarato, "di fare cassa".

Sempre nell'ottica di una critica eminentemente tecnica, altro aspetto incongruente e limitativo della disciplina del condono in aree vincolate contenuta nel dl n. 269/03, è costituito dalla previsione di non condonabilità di opere realizzate semplicemente <<in difformità>> dal titolo abilitativo rilasciato (se contrastanti con la normativa urbanistica).

E' da notare innanzitutto che la norma (art. 32, comma 27, lett. d) del dl n. 269/03) compie riferimento alla difformità tout court, senza alcuna distinzione fra parziale e totale, mentre si tratta, notoriamente, di fenomenologie alquanto diverse.

E' ben vero che in area vincolata le opere non conformi o non ricomprese nel titolo abilitativo edilizio sono sempre considerate quantomeno come variazioni essenziali, ai sensi dell'art. 32, comma 3, del TU 380/01 (ex art. 8, comma 3, L. 47/85), in quanto tali sottoposte al regime sanzionatorio (demolizione) dell'art. 31 del TU n. 380/01 (ex art. 7 della L. n. 47/85) ma è altrettanto pacifico che si tratta del regime <<ordinario>>, mentre -nel contesto di una norma eccezionale e derogatoria emanata per fini di sanatoria (e di cassa)- appare se non altro contraddittorio il non aver previsto la condonabilità almeno delle difformità parziali, anche se contrastanti con le norme urbanistiche e -beninteso- sempre previo positivo accertamento di conformità paesistica da parte dell'amministrazione competente.

*** *** ***

In definitiva, la disciplina del dl n. 269/03 ha delineato un ambito abbastanza ristretto di sanabilità di opere abusive realizzate in aree vincolate: praticamente risulta non condonabile, senza il non afferente criterio della <<conformità urbanistica>>, nemmeno un metro cubo di ampliamento, oppure una mera ristrutturazione senza aumenti volumetrici, né un lieve aumento dell'altezza del fabbricato e nemmeno una pur minima difformità parziale.

Si parla evidentemente solo di quelle variazioni insignificanti, ma diffuse ed oggettivamente necessitate, che spesso si rendono indispensabili in corso d'opera per imprevisti o per insufficienze progettuali e che, per loro stessa natura e consistenza, non sono nemmeno in astratto suscettibili di intaccare l'aspetto paesaggistico, da intendere, come noto, quale quadro d'insieme e non certo relazionato specificamente all'opera eseguita in quanto tale.

Ed è stata questa oggettiva limitatezza che ha suscitato molte attese nella legge delega in materia ambientale, attese incoraggiate vieppiù dalle diffuse affermazioni giornalistiche -ed ascoltate del resto anche in occasione della discussione parlamentare- circa la sua portata, con riferimento proprio allo specifico aspetto del condono ambientale, di <<legge fotografia>>.

Allo stato, però, è davvero complicato capire se queste attese rimarranno deluse o, invece, soddisfatte.

Invero, la legge delega -come detto- nella sua lettera, per quanto attiene al condono ambientale, si mostra limitata soltanto all'estinzione dei reati ed appare avere, quindi, esclusiva portata di <<condono penale>>, senza alcun espresso riferimento all'aspetto urbanistico-edilizio, circostanza che indurrebbe a ritenere che essa non produce tecnicamente alcuna sanatoria (rilascio del titolo edilizio) dell'opera realizzata.

Tuttavia non è impossibile addivenire anche ad una diversa conclusione.

Il cd. "condono ambientale" è disciplinato dalle previsioni dei commi 36 lett. c, 37 e 39 dell'unico articolato.

Esso riguarda sia un condono, per così dire, <<storico>> di lavori compiuti su beni paesaggistici entro il 30.9.04 e questo senza alcuna previsione limitativa quanto a tipologie, volumi e superfici (comma 37), sia un condono cd. <<a regime>>, a partire dalle aggiunte dei commi 1-ter e seguenti all'art. 181 del Codice dell'Ambiente di cui al Dlgs 22.1.2004 n. 42.

Il comma 39, poi, si limita a disporre che l'interessato deve presentare domanda di accertamento della compatibilità paesaggistica entro il 31.1.2005 alla Regione (o al comune per subdelega) che si pronuncia previo parere (deve supporsi non vincolante per quanto in seguito si riferirà) delle soprintendenze.

Cominciando dal primo caso (opere realizzate entro il 30.9.04), il comma 37 dell'unico articolo della legge delega prevede esclusivamente che "… per i lavori compiuti su beni paesaggistici (si ripete: senza alcun limite quantitativo e tipologico, circostanza, invero, inedita, iniqua e forse anche incostituzionale) l'accertamento di conformità paesaggisticacomporta l'estinzione del reato di cui all'art. 181 del D.Lgs 42 del 2004 e di ogni altro reato in materia paesaggistica alle seguenti condizioni …"

E' subito da notare che la legge colloca testualmente l'accertamento di conformità come presupposto ineludibile della sola estinzione dei reati, senza alcun riferimento espresso al rilascio del titolo edilizio in sanatoria.

Le ulteriori condizioni sono, poi, quelle elencate alle lett. a) (tipologie edilizie e materiali compatibili con il contesto paesaggistico), b1) (pagamento della sanzione pecuniaria di cui all'art. 167 del D.Lgs. 42/04, maggiorata da un terzo alla metà) e b2) (cauzione pecuniaria aggiuntiva da e tremila ad e cinquantamila).

Dunque, giova ripeterlo, nulla di espresso circa il condono del bene, ma solo estinzione del reato.

Bisogna tuttavia chiedersi se l'effetto sanante sul piano edilizio non possa derivare dal pagamento della sanzione pecuniaria di cui all'art. 167 del D. Lgs. 42/04, prescritto dal comma 37 lett. b1).

In via di principio, se la coerenza di un sistema normativo è ancora una necessità, non può che rispondersi positivamente.

Infatti, l'art. 167 del D. Lgs. 42/04 continua a prevedere (analogamente all'art. 164 del TU 490/99 ed all'art. 15 della L. 1497/39) il pagamento di una sanzione pecuniaria in alternativa alla rimessione in pristino dell'opera priva di autorizzazione paesistica.

E', pertanto, evidente che anche il nuovo Codice, pur vietando il rilascio <<postumo>> di autorizzazioni paesistiche (art. 146, comma 10, lett. c) già cit.), ammette espressamente che opere realizzate in assenza di previa autorizzazione possano non essere demolite e lasciate sopravvivere.

La conseguenza logica è che l'irrogazione della sanzione pecuniaria deve essere considerata equipollente -quanto agli effetti conseguiti- all'autorizzazione paesistica.

Questo quantomeno con riguardo alla possibilità di rilasciare il titolo abilitante ai fini edilizi, il cui presupposto è, appunto, l'autorizzazione paesistica (art. 146, comma 8).

Se così non fosse, l'opera realizzata in assenza di autorizzazione paesistica, non potendo conseguire il titolo abilitante ai fini edilizi, dovrebbe comunque essere demolita in virtù dell'autonoma disposizione dell'art. 31 del TU 380/01, ex art. 7 L. 47/85; e non avrebbe alcun senso imporre una sanzione pecuniaria alternativa per un'opera che deve in ogni caso essere demolita, né -a questo punto- troverebbe significato e coesistenza logica la stessa previsione alternativa al ripristino dell'art. 167.

In proposito, v'è da dire però che il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, con tesi opposta, ma assolutamente incondivisibile, ha reiteratamente sostenuto, sempre con riferimento al regime <<ordinario>> di cui al D.Lgs. 42/04, che "non demolire" il bene per effetto del pagamento della sanzione pecuniaria ex art. 167, non equivale tout court alla sua sanatoria edilizia, escludendo così che, in discendenza della sanzione pecuniaria -e del suo pagamento- possa essere rilasciato il titolo abilitativo edilizio, che -altresì- è indispensabile per poterne realmente usufruire, per poterlo manutenere quando ciò diventi ineludibile e per potervi intervenire con altre opere, anche se conformi alla disciplina urbanistica.

Rileva, infatti, il Ministero che, in virtù della'rt. 146, comma 8, del D.Lgs. 42/04 (ed analogamente dispone l'art. 159 successivo per il regime transitorio), l'autorizzazione paesistica costituisce atto <<presupposto>> per il rilascio del titolo abilitativo edilizio (differentemente dal previgente sistema nel quale, per giurisprudenza unanime, ne costituiva solo un atto integrativo dell'efficacia).

La conclusione è che non è consentito il rilascio del titolo edilizio in mancanza del suo presupposto, ossia dell'autorizzazione paesaggistica la quale -in virtù dell'art. 146, comma 10, lett. c), non può essere rilasciata postuma.

Segue -è sempre la tesi del Ministero- che il bene non demolito per effetto della sanzione pecuniaria ex art. 167, non per questo è anche sanato, ma rimane (irragionevolmente) in una sorta di limbo, in uno stato di quiescenza, senza che possa capirsi quale sia il suo regime giuridico ed il suo destino.

Non potrà essere nemmeno manutenuto o ripristinato, in un immobilismo che ne produrrà l'ineludibile deperimento, questo sì inconciliabile con l'esigenza di tutela e di salvaguardia ambientale.

In disparte l'inevitabile commento, si è già detto che tale conclusione è però limitata alla disciplina ordinaria (e, quindi, inibisce la possibilità, ad esempio, di un accertamento di conformità ai sensi degli artt. 36 e 37 del TU 380/01 -ex art. 13 della L. 47/85- di opere eseguite in aree vincolate), mentre è lo stesso Ministero che ha precisato (circolare n. 24664 del 19.7.04 ed allegato parere dell'ufficio legislativo prot. 11758 del 22.6.04) che la regola generale non trova applicazione per la normativa <<eccezionale>> di cui al titolo IV della L. 47/85 e successive, nella quale è previsto il procedimento -tipico e differenziato- del parere <<postumo>> di compatibilità paesaggistica da parte degli organi preposti.

In tal caso, il divieto di autorizzazione postuma prescritto in via ordinaria, che impedisce ab origine qualsiasi valutazione <<in concreto>> sulla conformità dell'opera al paesaggio, cede il passo alla norma eccezionale che, al contrario, impone puntualmente proprio questo accertamento postumo <<in concreto>>.

A questo punto bisogna chiedersi se simile conclusione possa valere anche per la legge delega, quantomeno per la sanatoria di abusi commessi entro il 30.9.04, perché -sia pure se di portata esageratamente ampia sul piano temporale, sia pure priva di ogni condizione o limite con riguardo alla tipologia delle opere ed alla loro quantità- sempre di normativa eccezionale si tratta, in quanto derogatoria del principio generale contenuto nell'art. 146 del codice dell'ambiente, per il quale l'autorizzazione paesistica giammai può essere rilasciata ex post.

Anche la legge delega, del resto, proprio come il titolo IV della L. 47/85 e successive, prevede il procedimento -tipico e differenziato- dell'accertamento di conformità paesistica <<postumo>> in esito al quale, ove positivo, sarà ben difficile sostenere che va comunque demolita un'opera che è stata ritenuta compatibile con il paesaggio e con l'ambiente circostante.

Tuttavia questa osservazione lascia ancora integralmente aperta la questione del condono dell'opera dal punto di vista urbanistico-edilizio, perché la normativa della legge delega, allo stato, pur non configurandosi come limitata al solo condono penale, nemmeno consente un'interpretazione univoca e chiara nel senso di condono (anche) edlizio.

Infatti, mentre la L. 47/85 e la successiva del 1994 hanno espressamente previsto il rilascio in sanatoria del titolo abilitativo ai fini edilizi di opere realizzate in difformità dagli strumenti urbanistici, una volta verificata -sia pure in via postuma- la conformità paesistica, la legge delega -al contrario- come già rilevato, non reca alcun espresso riferimento a tale aspetto.

Ed anche a voler prendere in considerazione le disposizioni del dl 269/03, si è gia visto come l'art. 32, comma 17, lett. d), escluda la sanatoria per opere realizzate su immobili vincolati e non conformi agli strumenti urbanistici.

(Non viene specificato se il riferimento è agli strumenti urbanistici vigenti al momento dell'abuso o a quelli vigenti al momento della sua entrata in vigore, ma il dubbio sembra essere sciolto nell'allegato 1, laddove, per la tipologia 2, è precisato che la conformità urbanistica va riferita alle norme vigenti alla data di entrata in vigore del DL 269/03).

Quindi, il positivo accertamento di conformità paesistica previsto dalla legge delega, ai sensi dell'art. 32, comma 27, lett. d) del DL 269/03 sul condono edilizio in aree vincolate, non appare sufficiente per la sanatoria edilizia dell'opera se questa non è anche conforme agli strumenti urbanistici vigenti al momento della sua entrata in vigore.

Certamente non può esserlo per gli abusi commessi dopo il 31.3.03 (e fino al 30.9.04), atteso che il dl 269/03 è in ogni caso espressamente limitato ad opere realizzate entro tale data e, pertanto, non copre l'arco di tempo successivo.

La legge delega, in conclusione, reca allo stato un quid pluris rispetto al solo condono penale (che consisterebbe nell'evitare anche la demolizione del bene, previo accertamento di conformità paesistica e pagamento della sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione di cui all'art. 167 del D.Lgs. 42/04), nonché un quid minoris rispetto alla condonabilità del bene sul piano edilizio.

*** *** ***

Un cenno conclusivo merita, poi, anche il cd. condono <<a regime>>.

Il comma 36 della legge delega, alla lett. c) introduce, fra l'altro, i commi 1-ter e 1-quater dell'art. 181 del codice dell'ambiente e la tecnica appare subito diversa, perché la previsione penale dell'art. 181 comma 1, in questo caso, non si applica "Ferma restando l'applicazione delle sanzioni amministrative ripristinatorie o pecuniarie di cui all'art. 167 …".

Quindi la depenalizzazione non escluderebbe la demolizione.

Senonchè sta di fatto che, anche in tal caso, l'esclusione del reato è condizionata all'accertamento <<postumo>> della compatibilità paesaggistica da parte della Regione (o Comune) previo parere, stavolta "vincolante" ai sensi del comma 1-quater, della Soprintendenza (e non si capisce il perché della differenza con la procedura del comma 39 che, non precisando alcunchè circa la vincolatività del parere, la lascia escludere giacchè ubi lex voluit, dixit; ubi lex noluit, non dixit).

Anche in tal caso, pertanto, a fronte di una verifica di conformità positiva e della conseguente e normativamente prescritta applicazione della sanzione pecuniaria, analogamente a quanto già rilevato in commento al comma 37, si ottiene il risultato di evitare la demolizione, soprattutto da parte di chi ha la capacità economica di sostenere le costosissime sanzioni pecuniarie ed anche la capacità tout court di ottenere un parere in senso favorevole.

Potrebbe dirsi, in contrario, che la norma <<a regime>>, proprio perché tale, non può essere qualificata come eccezionale e, quindi, che la sanzione pecuniaria, in questo caso, non può tener luogo dell'autorizzazione paesistica, con tutte le conseguenze già esposte secondo il parere del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

Ma questo è, per l'appunto, solo il parere del Ministero che, ragionevolmente, troverà non poche difficoltà a superare il vaglio della giurisprudenza e che, quantomeno per le opere conformi alle norme urbanistiche, non potrà costituire un serio ostacolo alla sanatoria <<anche>> edilizia.

Con l'ulteriore effetto di un ritorno strisciante dell'accertamento di conformità in aree vincolate (che si era inteso escludere con il codice dell'ambiente), ai sensi dell'art. 13 L.47/85 e degli artt. 36 e 37 del TU 380/01 e, quindi, di un'abrogazione del pur appena emanato art. 146, comma 10, lett. c) del Dlgs n. 42/04 (divieto di autorizzazione paesistica postuma), ai sensi dell'art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale o, comunque, dello stralcio della sua applicazione alle opere indicate nel comma 36.

Un appunto finale a proposito di queste ultime.

L'esclusione del reato è prevista:

per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;

per l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica;

per i lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6.6.2001 n. 380.

Sembra poco ma non lo è, visto che, allo stato - senza auspicabili (e quantomai necessarie) puntualizzazioni - nelle suddette categorie possono rientrare agevolmente, ad esempio: le cave, il taglio di boschi, i movimenti di terra, le realizzazioni di recinzioni, pali, tralicci, strade, per non dire dei cambi di destinazioni d'uso di aree e di fabbricati.

Un ulteriore commento, dunque, può essere questo: all'iniqua ed illogica rigidità sul condono edilizio in aree vincolate della normativa del dl n. 269/03, è seguita l'altrettanto iniqua ed illogica eliminazione di ogni limite - stante l'indeteminabile ampiezza - sul condono ambientale in aree vincolate da parte della legge delega.
 

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(*) Avvocato del Foro di Salerno.


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