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Articoli e note

n. 2/2004  - © copyright

MATTEO BARBERO (*)

Nota di commento al decreto del Ministero dell’economia e delle finanze n. 389/2003 in materia di accesso al mercato dei capitali da parte di regioni ed enti locali.

Con l’adozione, da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze, di concerto con il Ministero dell’Interno, del decreto 1 dicembre 2003, n. 389, si chiude il percorso normativo avviato dall’articolo 41 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2002), percorso che si è rivelato assai lungo ed accidentato anche a causa della impugnazione di fronte alla Corte Costituzionale, da parte di alcune Regioni ordinarie, della disposizione da ultimo citata.

Mediante tale decreto, il Ministero di Via XX Settembre viene finalmente dotato di efficaci strumenti per l’esercizio di quel potere di coordinamento finanziario in materia accesso al mercato dei capitali da parte degli enti territoriali sub-statali previsto dai primi due commi del citato articolo 41 [1] e la cui conformità rispetto al rinnovato quadro costituzionale è stata sancita dalla Consulta con la recente sentenza n. 376/2003 [2].

Rispetto alla bozza discussa in sede di Conferenza Unificata il 9 maggio 2002 [3], il provvedimento in esame presenta alcune significative novità, talvolta introdotte in accoglimento di proposte di emendamento presentante dalle Regioni [4].

L’articolo 1, comma 1 (parzialmente riformulato rispetto alla bozza originaria), con l’evidente finalità di consentire al Ministero il periodico monitoraggio della situazione finanziaria complessiva degli enti territoriali sub-statali, pone a carico di questi ultimi l’obbligo di comunicare al Dipartimento del Tesoro (a precise scadenze temporali) “i dati relativi all'utilizzo netto di forme di credito a breve termine presso il sistema bancario, ai mutui accesi con soggetti esterni alla pubblica amministrazione, alle operazioni derivate concluse e ai titoli obbligazionari emessi, nonché alle   operazioni di cartolarizzazione concluse”.

 

A tal fine,  il medesimo Dipartimento del  Tesoro,  entro  trenta  giorni dall'emanazione del decreto, dovrà provvedere (ai  fini  del  successivo  inoltro  al  Ministero dell'interno per il prescritto concerto) alla predisposizione dei modelli da utilizzare per le comunicazioni; al riguardo, nella versione definitiva del provvedimento, è stato opportunamente inserita la previsione del parere della Conferenza unificata, essendo evidente, alla luce della rilevanza tecnico - operativa che tali modelli rivestiranno, l’opportunità di coinvolgere nella relativa attività di elaborazione anche le istanze autonomistiche.

 

Desta, viceversa, perplessità la conferma del necessario concerto da parte del Ministero dell’Interno (evidentemente coinvolto nella sua qualità di “tutore” degli Enti locali), che non potrà che ulteriormente allungare i tempi per l’implementazione del prescritto strumentario, con le ovvie ripercussioni sull’operatività degli enti sub-statali. 

 

Il comma 2 dell’articolo 1 disciplina nel dettaglio il potere ministeriale di coordinamento finanziario, potere il cui esercizio è limitato alle operazioni di finanziamento a medio e lungo termine ovvero alle operazioni di cartolarizzazione di importo pari o superiore a 100  milioni  di  euro [5] che gli enti sub-statali intendono concludere.

 

Per consentire l’attivazione di tale potere, gli enti devono innanzitutto comunicare preventivamente [6] al Dipartimento del Tesoro le caratteristiche dell'operazione  in preparazione [7].

 

La seconda parte del comma 2 (con una formulazione in parte differente da quella utilizzata nella bozza) disciplina poi il  meccanismo operativo del potere ministeriale di coordinamento finanziario, prevedendo che il Dipartimento del Tesoro dia conferma dell’avvenuta ricezione della comunicazione preventiva, eventualmente indicando (nel termine di dieci giorni, con determinazione motivata e presumibilmente vincolante [8]) “quale  sia  il  momento  più  opportuno  per  l'effettiva attuazione dell'operazione   di   accesso   al   mercato”.

In  assenza  di  tale ultima determinazione,  l'operazione potrà essere comunque conclusa decorsi venti giorni dalla conferma della ricezione, nei casi di  emissioni  obbligazionarie eseguite  sul  mercato, ovvero nei termini indicati  dagli  Enti,  in tutti gli altri casi.

 

Il comma 3, già presente (con formulazione pressoché analoga) nella bozza discussa in sede di Conferenza unificata (ma introdotto a seguito delle proposte avanzate nella prima fase istruttoria dalle Regioni, che avevano auspicato la semplificazione del percorso delle comunicazioni preventive al Tesoro ed il suo coordinamento con le procedure per le richieste di parere al Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio – CICR – in ordine alle emissioni obbligazionarie[9]), dispone che “nel  caso  di  operazioni  soggette al  controllo del CICR, gli emittenti invieranno  i  dati  simultaneamente  al Dipartimento del Tesoro e al CICR” medesimo.  In tal caso, l'eventuale formulazione di osservazioni da parte del Dipartimento del Tesoro dovrà  precedere l'autorizzazione  emanata  dal  CICR,  affinché  possa costituire adeguato supporto tecnico alla decisione che tale ultimo organo intende adottare.

 

L’articolo 2 (rimasto sostanzialmente invariato) dà attuazione alla prima parte del comma 2 dell’articolo 41 della legge 448/2001, che prevede che “gli enti (territoriali sub-statali) possono emettere titoli obbligazionari e contrarre mutui con rimborso del capitale in unica soluzione alla scadenza, previa costituzione, al momento dell’emissione o dell’accensione, di un fondo di ammortamento del debito, o previa conclusione di swap per l’ammortamento del debito. In proposito, il decreto in commento detta disposizioni riguardo ai contratti di gestione dei fondi di ammortamento ed ai contratti di swap, prevedendo, da un lato, che tali contratti potranno essere conclusi soltanto con intermediari contraddistinti da adeguato  merito  di  credito come certificato da agenzie di rating riconosciute a livello internazionale, e, dall’altro, che le somme in tal modo accantonate potranno essere investite esclusivamente in titoli obbligazionari  di  enti  e amministrazioni   pubbliche  nonché di  società a partecipazione pubblica di Stati appartenenti all'Unione europea.

 

L’articolo 3 (riscritto in molte sue parti) interviene in materia di derivati finanziari, materia assai delicata rispetto alla quale, da più parti, si auspicava un intervento normativo volto ad arginare la diffusione (anche) fra gli enti territoriali delle operazioni di c.d. “finanza creativa”.

 

Trattasi, peraltro, di materia già parzialmente normata da parte di talune Regioni; per tale ragione, in accoglimento di una proposta di emendamento avanzata dalle Regioni, nel testo definitivo dell’articolo 3 è stato introdotto il comma 5, che introduce una clausola di cedevolezza prevedendo che “le disposizioni contenute all'articolo 2 (laddove riferite, deve ritenersi, alle operazioni derivate ivi previste) e al presente articolo si  applicano,  per  le  Regioni,  fino  all'emanazione di specifiche normative regionali” (conformi, può aggiungersi, ai nuovi criteri direttivi).

 

Per il resto, il comma 1 impone la conclusione di contratti di swap di tasso di cambio per assicurare la copertura del rischio di cambio in  caso  di  operazioni  di indebitamento effettuate in valute diverse dall'euro; il comma 2 (con elencazione apparentemente tassativa [10]) indica le operazioni derivate consentite agli enti sub-statali, in aggiunta a quelle previste dal precedente comma 1 (swap di tasso di cambio) e dall’articolo 2 (in materia di ammortamento). In proposito, rispetto alla bozza più volte citata, è da segnalare la riformulazione delle disposizioni di cui alla lettera e) (con l’eliminazione del riferimento, forse superfluo, alle operazioni di acquisto e vendita di opzioni) ed alla lettera  f).

 

Quest’ultima disposizione introduce, come accennato, un argine alle operazioni di “finanza creativa [11]”, prevedendo che le altre operazioni derivate finalizzate alla ristrutturazione del debito siano consentite agli enti sub-statali solo:

 

-  qualora non prevedano una scadenza posteriore a quella  associata  alla sottostante passività [12];

 

- ove  i  flussi  con  esse ricevuti dagli enti interessati siano  uguali  a  quelli  pagati  nella  sottostante passività e non implichino, al momento del loro perfezionamento, un profilo crescente dei  valori  attuali dei singoli flussi di pagamento, ad eccezione di un   eventuale   sconto   o   premio (c.d. upfront)  da  regolare  al  momento  del perfezionamento  delle  operazioni  non  superiore a 1% del nozionale  della sottostante passività [13].

 

In base al comma 3 (rimasto invariato), le operazioni  derivate  sono  consentite agli enti sub-statali esclusivamente  in corrispondenza di passività effettivamente dovute e  possono  essere indicizzate esclusivamente a parametri monetari di riferimento nell'area dei Paesi appartenenti al Gruppo dei Sette più industrializzati.

 

Da ultimo, il comma 4, al fine di contenere  l'esposizione  creditizia  degli enti interessati verso  le controparti, dopo aver ribadito quanto già disposto dall’articolo 2, ovvero che la conclusione delle operazioni derivate è consentita solo con intermediari contraddistinti da adeguato merito di credito (opportunamente certificato), prevede che, in presenza di derivati per un importo nominale complessivamente superiore ai 100 milioni di euro, ciascun ente dovrà provvedere a “spalmare” progressivamente  l’esposizione su più controparti, in modo da ridurre al 25% del totale l’importo nominale complessivo delle operazioni in essere con ogni singola controparte.

 

In conclusione, si può affermare che (salvo qualche aspetto problematico che si è cercato di evidenziare) il decreto sopra sommariamente descritto nei suoi contenuti detti una disciplina complessivamente coerente con le proprie finalità di coordinamento dell’accesso degli enti territoriali sub-statali al mercato dei capitali.

 

D’altra parte, eventuali perplessità circa la sussistenza, in capo allo Stato, di un tale potere di coordinamento finanziario (anche piuttosto invasivo nei confronti dell’autonomia delle Regioni e degli Enti locali) non hanno ragione di esistere, specie dopo le nette prese di posizione della Corte Costituzionale in materia [14] ed alla luce della necessità di garantire il rispetto dei vincoli imposti alla finanza pubblica dal Trattato di Maastricht e dal Patto europeo di stabilità e crescita (e richiamati anche nel preambolo del decreto).

 

Piuttosto, emerge la necessità che tale potere di coordinamento sia esercitato dallo Stato in modo ragionevole (sotto il profilo della conformità degli strumenti prescelti rispetto agli obiettivi da realizzare) e non eccessivamente (ed inutilmente) penalizzante nei confronti dell’autonomia regionale e locale; ciò che, nella fattispecie (per espressa ammissione da parte delle stesse Regioni) sembra essere avvenuto [15].

 

 

(*) Funzionario della Regione Piemonte e dottorando in diritto pubblico presso l’Università degli Studi di Torino.

[1] L’articolo 41, commi 1 e 2, della legge 448/2001 e, di conseguenza, il Regolamento ministeriale attuativo che qui brevemente si commenta dettano disposizioni volte a coordinare l’accesso al mercato dei capitali da parte delle  Province,  dei Comuni,  delle costituende Città metropolitane, delle Comunità montane e delle Comunità isolane, nonché dei Consorzi tra enti  territoriali  e delle Regioni, allo scopo “di contenere il costo dell’indebitamento e di monitorare gli andamenti di finanza pubblica”.

[2] Sul punto sia consentito rinviare a M. Barbero, Prime indicazioni della Corte Costituzionale in materia di federalismo fiscale, in www.lexitalia.it n. 1-2004. Nella stesso numero della medesima rivista si veda anche F. Brunetti e M. Padellaro, Competenza legislativa statale, relativa potestà regolamentare ed accesso degli Enti locali al mercato dei capitali.

[3] Su cui si veda il parere espresso dalle Regioni in sede di Conferenza dei Presidenti e di Conferenza Unificata. Cfr anche infra, nota 3.

[4] Al riguardo, pare opportuno precisare che la maggioranza delle Regioni aveva espresso nei confronti della bozza un parere favorevole condizionato all’inserimento nel testo di alcune modifiche. Dal canto loro, le Regioni Campania, Emilia – Romagna, Marche, Toscana ed Umbria (ovvero quelle che avevano, come ricordato, sostenuto l’illegittimità costituzionale del citato articolo 41 della legge 448/2001), pur esprimendo apprezzamento “per il lavoro svolto negli incontri Stato – Regioni e (per) la disponibilità del Ministero (dell’Economia) ad accogliere emendamenti migliorativi del testo proposto”, avevano ritenuto che tali emendamenti non fossero sufficienti a consentire il superamento dei motivi che avevano portato al ricorso alla Corte Costituzionale ed, in particolare, della constatazione “che non possa esserci coordinamento del Ministero dell’Economia là dove la competenza (regionale) è esclusiva”. Inoltre, secondo le stesse Regioni, la portata lesiva del provvedimento non avrebbe potuto essere esclusa neppure laddove lo si fosse voluto ricondurre all’armonizzazione dei bilanci pubblici (ovvero, può aggiungersi, al coordinamento della pubblica finanza ex articolo 117, comma 3, della Costituzione) poiché “troppo di dettaglio per essere considerato norma di principio”. Come ricordato, tali argomentazioni sono peraltro state dichiarate infondate dalla Consulta, la cui pronuncia ha consentito di superare il parere negativo espresso dalle Regioni ricorrenti nei confronti del regolamento in commento.

[5] Il decreto nulla prevede per prevenire l’aggiramento della disposizione in commento, qualora gli enti interessati optassero  per una strategia di indebitamento suddivisa in diverse tranches “spalmate” in un certo arco temporale, qualora ciò fosse compatibile con la sottesa strategia di investimento..

[6] Restano escluse dall’obbligo di comunicazione  preventiva le operazioni di provvista con oneri a carico del bilancio dello Stato per le quali il decreto rinvia alle specifiche disposizioni di legge vigenti.

[7] In proposito, non è chiaro quali siano i modelli da utilizzare per le comunicazioni (se quelli previsti dal comma 1 ovvero altri); il comma 1, infatti, prevede modelli da utilizzare per le periodiche comunicazioni “notiziali” da esso disciplinate, con una formulazione che, prima facie, non pare estensibile alle comunicazioni preventive di cui al comma 2.

[8] Il decreto non prevede espressamente una “autorizzazione” da parte del Ministero dell’Economia nei confronti degli enti sub – statali alla conclusione delle operazioni di reperimento di capitali sul mercato; sembra, peraltro, evidente che gli enti stessi non possano sottrarsi alle eventuali direttive ministeriali, atteso il carattere stringente del relativo potere di coordinamento. Sotto questo profilo, appare grave la mancata enunciazione dei criteri cui il Ministero dovrà attenersi nella valutazione delle diverse operazioni.

[9] Cfr articolo 10, comma 3 della legge 281/1970 (comma aggiunto dalla legge 181/1982). Si vedano anche gli articoli 35 e 37 della legge 724/1994.

[10] Sotto questo profilo, non è stato accolto il rilievo delle Regioni, le quali avevano sottolineato l’opportunità di ricorrere, anziché ad una elencazione tassativa, ad una formulazione più ampia, per consentire la piena operatività delle Regioni in strumenti derivati e considerando la continua evoluzione di tali strumenti.

[11] Lo scopo è quello di circoscrivere l’utilizzo delle operazioni in derivati agli obiettivi di contenimento del rischio di tasso, senza che alle stesse vengano assegnate finalità di carattere prevalentemente speculativo.

[12] Per spiegare tale limitazione, occorre sottolineare che eventuali operazioni aventi scadenza posteriore a quella associata alla sottostante passività generano, nel lungo periodo, perdite considerevoli visto che gli enti interessati, dalla scadenza della passività sottostante fino alla fine dell’operazione derivata, si troverebbero a pagare flussi d’interesse alla controparte di quest’ultima, con conseguente aggravio economico a carico delle amministrazioni future.

[13] In tal modo, si è cercato di evitare che, per esigenze di cassa, si addivenisse, da parte degli enti interessati, alla conclusione di operazioni tali da comportare, a fronte di un consistente premio iniziale, l’esposizione a flussi di pagamento crescenti, a discapito, ancora una volta, delle future amministrazioni.

[14]  Si vedano, oltre alla già citata sentenza n. 376/2003, le sentenze n. 4 , 17 e 36 del 2004.

[15] Non sembra, peraltro, irrilevante la precisazione che il Consiglio di Stato, pur avendo espresso (nell'adunanza della Sezione consultiva per gli atti normativi del 26 maggio 2003) parere positivo al presente Regolamento, non abbia mancato di criticare il carattere (eccessivamente) “forte” del potere ministeriale di coordinamento finanziario.


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