LexItalia.it  

 Prima pagina | Legislazione | Giurisprudenza | Articoli e note | Forum on line | Weblog

 

Articoli e note

n. 5/2007 - © copyright

GIANGIUSEPPE BAJ*
e
MAURIZIO LUCCA**

La disciplina del provvedimento amministrativo nel nuovo Capo V bis
della L. n. 241 del 1990: riflessioni e applicazioni giurisprudenziali
.

horizontal rule

INDICE: Premessa. 1. Efficacia del provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati (art. 21 bis) 2. Esecutorietà (art. 21 ter) 3.a Annullamento d’ufficio (art. 21 nonies). Innovatività dell’istituto sotto il profilo della tutela delle posizioni giuridiche qualificate e consolidate del privato. 3.b Annullamento d’ufficio ex art. 1 comma 136 della L. n. 311 del 2004 (legge finanziaria 2005). Coordinamento sistematico con l’art. 21 nonies della L.n. 241 del 1990. 3.c Revoca del provvedimento (art. 21 quinquies). 3.d Aspetti procedimentali del contrarius actus nel rinnovato sistema. 3.e Revoca e recesso anticipato. 3.f Conseguenze processuali in tema di revoca od autoannullamento di un provvedimento contestato in sede giudiziale. 4. L’istituto della convalida dell’atto amministrativo: rapporti tra l’art. 21 nonies comma 2 della L. n. 241 del 1990 e l’art. 6 della L. n. 249 del 1968. Convalidabilità dell’atto amministrativo in pendenza di giudizio. 5. Superamento dell’incertezza manifestata dalla giurisprudenza in ordine al fondamento del potere della P.A. di sospendere l’efficacia dei propri atti (art. 21 quater, comma 2). 6.a Il nuovo regime di invalidità degli atti amministrativi: la nullità dell’atto amministrativo nella giurisprudenza e nella novella. 6.b L’annullabilità del provvedimento: cenni. 6.c La motivazione del provvedimento vincolato alla luce dell’art. 21 octies comma 2: integrazione nel corso del giudizio del corredo motivazionale dell’atto amministrativo impugnato. 6.d La comunicazione di avvio del procedimento nell’art. 21 octies comma 1: irrilevanza dell’adempimento formale; inutilità dell’apporto partecipativo del privato ed onere della prova a carico della P.A. 6.e Considerazioni conclusive sul nuovo regime di invalidità degli atti amministrativi delineato nel comma 2 dell’ art. 21 octies.

Premessa.

La legge n. 15 del 2005, nell’introdurre rilevanti modifiche nell’assetto delle regole di azione amministrativa delineate dalla legge n. 241 del 1990, ne supera l’originario impianto sistematico incentrato sul procedimento di formazione della volontà autoritativa della Pubblica Amministrazione, dettando nel nuovo Capo V bis una disciplina organica in tema di provvedimento che in gran parte recepisce, codificandoli, istituti di origine giurisprudenziale [1].

Profilo di novità è rappresentato dall’ampliamento dei poteri di cognizione e decisione del giudice amministrativo, il quale, in determinati casi, può direttamente (ed eccezionalmente) stabilire se sussistano le condizioni richieste dalla legge per l’accoglimento dell’istanza del privato, all’esito di un’attività accertativa che, fisiologicamente, dovrebbe competere alla Pubblica Amministrazione [2].

La presente trattazione si soffermerà sui contenuti previsionali della novella, esaminando partitamente le disposizioni collocate nel nuovo Capo V bis della legge n. 241, avendo cura di evidenziarne, con il contributo delle recenti applicazioni giurisprudenziali, la natura innovativa oppure meramente ricognitiva di principi già viventi ad opera del diritto pretorio.

1. Efficacia del provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati (art. 21 bis).

La giurisprudenza formatasi anteriormente alla riforma aveva enunciato il principio della non recettizietà dei provvedimenti amministrativi sul rilievo del loro carattere autoritativo, comportante una modificazione del mondo giuridico e, in particolare, della sfera soggettiva del destinatario, enucleando al contempo una serie di ipotesi eccezionali in cui la regola dell’efficacia diretta al momento dell’emanazione dell’atto non trovava applicazione.

Dette ipotesi concernevano i controlli preventivi di legittimità [5], i casi in cui la legge prescriveva espressamente la notifica quale elemento condizionante l’efficacia dell’atto e quelli in cui la natura del provvedimento implicava la conoscenza da parte del destinatario affinché questi potesse uniformarsi [6].

Secondo la riferita impostazione, pertanto, il carattere autoritativo che accompagna il provvedimento, indipendentemente dal contenuto favorevole o meno per l’interessato, comportava che il relativo perfezionamento non fosse condizionato alla collaborazione dei destinatari o alla circostanza che gli stessi ne fossero resi edotti, mentre la natura recettizia dell’atto costituiva un’eccezione desumibile dalla sua natura o dalla volontà di legge [7].

In ossequio a tali coordinate ermeneutiche la giurisprudenza ha avuto modo di rilevare che la concessione di un bene pubblico produce effetti sin dalla data di adozione, con la conseguenza che da tale momento la P.A. è tenuta a ravvisare l’esistenza del titolo abilitativo e ad astenersi dall’assumere atti repressivi dell’attività svolta [8].

Parimenti, è stata esclusa la natura recettizia del decreto di espropriazione [9].

In materia è intervenuto il nuovo art. 21 bis della L.n, 241/1990 che ha codificato la regola della recettizietà dei provvedimenti “limitativi della sfera giuridica soggettiva”, prevedendo contestualmente norme sulle modalità della comunicazione (notifica agli irreperibili nei casi previsti dal codice di procedura civile, espletamento di idonee formalità pubblicitarie in presenza di un numero elevato di destinatari [10], c.d. procedimenti di massa) [11] e sui casi in cui la regola tollera eccezioni (clausola motivata di immediata efficacia, provvedimenti cautelari ed urgenti).

Ne consegue un recepimento del profilo generale di derivazione codicistica secondo il quale gli atti unilaterali producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza della persona alla quale sono destinati[12], significando che è recettizio l’atto la cui efficacia richiede la collaborazione del destinatario, che si riflette nella considerazione che ora il provvedimento amministrativo ha un destinatario certo, ossia il provvedimento amministrativo destinato a produrre effetti ha un principale destinatario degli effetti [13].

L’atto che presenta i caratteri dell’incisività ovvero che sia ricettizio si reputa conosciuto dal destinatario e produce i suoi effetti solo quando, avuto riguardo alle previste modalità della sua comunicazione nella loro diversa configurazione delineata dalla norma (consegna o spedizione che sia), da accertarsi caso per caso dal giudice di merito, deve ritenersi che il destinatario medesimo ne abbia avuto o ne abbia potuto avere cognizione usando la normale diligenza, fatta salva pertanto la prova, il cui onere incombe su di lui, di essere stato senza sua colpa nell’impossibilità di averne notizia [14].

È corretto, inoltre rilevare, per ciò che interessa, che ai fini del decorso del termine, la piena conoscenza del provvedimento amministrativo non postula che questo sia conosciuto in tutti i suoi elementi, ma solo che il destinatario sia stato reso edotto di quelli essenziali, quali l’autorità emanante, la data, il contenuto dispositivo ed il suo effetto lesivo [15].

L’innovativo regime, dunque, sanziona con l’inefficacia la mancata comunicazione degli atti riconducibili nel novero dell’anzidetta tipologia provvedimentale, come quelli sanzionatori e quelli che sacrificano ragioni proprietarie per esigenze connesse alla realizzazione di interessi pubblici preminenti [16].

Dalle enunciate regole procedimentali si può sostenere che un provvedimento lesivo di un interesse legittimo pretensivo o dinamico, come per es. il diniego e/o la reiezione di un’istanza, ma di un provvedimento lesivo di un interesse legittimo oppositivo o statico acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso effettuata, e questo precetto dispositivo costituisce una regola - principio generale dell’attività amministrativa dalla quale si desume agevolmente che, se la comunicazione di un atto lesivo che sottrae un bene o un’utilità ad un privato ne condiziona l’efficacia, i termini per la sua impugnazione decorrono solo dalla ricezione di tale comunicazione, momento legale di instaurazione del contraddittorio a garanzia del giusto procedimento [17].

Per ciò stesso l’Amministrazione che sia interessata al tempestivo consolidamento dei suoi provvedimenti ha l’onere di dare individuale comunicazione agli interessati della formazione di quelle specifica determinazione afferente alla volontà di perseguire un fino incidente la sfera giuridica del destinatario, come nell’ipotesi di formazione di una graduatoria nella quale il soggetto inciso è stato inserito [18].

Argomentando a contrario la non recettizietà dei provvedimenti viene relegata ad ipotesi residuali, connotate dagli effetti favorevoli che si producono in capo al destinatario [19].

Dubbi, invece, si profilano in ordine all’estensibilità della previsione in commento agli atti che denegano istanze ampliative.

Secondo un primo approccio di natura formalistica, alla categoria dei provvedimenti “limitativi” potrebbero unicamente ascriversi gli atti determinanti la perdita di utilità già acquisite nella sfera soggettiva del destinatario, cui si correlano interessi oppositivi, escludendosi quindi dall’orbita di applicazione dell’art. 21 bis gli atti impeditivi all’attribuzione di nuove posizioni di vantaggio, che sottendono interessi pretensivi [20].

La soluzione esegetica indicata, tuttavia, non appare coerente con la ratio ispiratrice dell’art. 21 bis, rinvenibile nell’esigenza di armonizzare il regime sostanziale di efficacia degli atti provvedimentali con quello processuale di tutela delle posizioni lese dall’azione amministrativa: valorizzando, infatti, il dato finalistico della disposizione in esame, tendente ad assicurare uniformità di discipline, appare più corretto ritenere che i provvedimenti lato sensu non favorevoli, comprensivi di quelli negativamente incidenti sugli interessi pretensivi del privato (ovvero i dinieghi), si producano al momento della comunicazione al destinatario e che da tale data decorrano i termini per l’impugnazione giurisdizionale, ai sensi dell’art. 21 della legge n. 1034 del 1971.

Le considerazioni che precedono, lungi dal configurare l’esito di astratte teorizzazioni, producono conseguenze di rilievo sul piano applicativo.

L’ipotesi particolare sulla quale soffermarsi concerne l’esercizio di poteri sostitutivi, allorquando occorra far constatare, nelle forme del silenzio-rifiuto, l’inerzia dell’ente competente a provvedere in via ordinaria: così, nel caso in cui un Comune abbia denegato tardivamente l’istanza diretta al conseguimento del permesso di costruire, decorsi i termini di conclusione del procedimento e successivamente alla nomina giudiziale del commissario ad acta, dovrà concludersi nel senso che l’ente investito originariamente della domanda abbia utilmente provveduto allorché l’atto negativo sia stato non solo adottato, ma anche notificato al destinatario prima dell’“insediamento” dell’organo commissariale [21] [22].

2. Esecutorietà (art. 21 ter).

La norma riconduce la potestà di autotutela esecutiva al principio di legalità, statuendo che il potere dell’Amministrazione di imporre coattivamente obblighi a carico del privato non è un tratto distintivo della generalità degli atti amministrativi, ma qualifica solo i provvedimenti ai quali la legge espressamente la riconosca [23], essendo il termine “esecutorietà” (nel diritto processuale), l’attitudine di un provvedimento giurisdizionale ad essere attuato coattivamente [24].

Il 1 comma dell’art. 21 ter, inoltre, introduce una previsione che, descrivendo il contenuto minimo ed indefettibile dei provvedimenti costitutivi di obblighi a carico dei privati (indicazione dei termini e delle modalità esecutorie) ed imponendo all’Amministrazione di diffidare il soggetto obbligato, rimasto inadempiente, integra il dettato delle singole disposizioni di legge disciplinanti i presupposti ed i contenuti dell’esecutorietà amministrativa [25].

Il 2 comma dell’art. 21 ter, infine, puntualizza che le obbligazioni pecuniarie soggiacciono alle disposizioni dettate in materia di esecuzione coattiva dei crediti dello Stato.

Sovvengono, al riguardo, l’art. 17 del D.Lgs. n. 46/1999, che disciplina la riscossione esattoriale [26] ed il rimedio alternativo, costituito dal procedimento ingiunzionale di cui al R.D. n. 639/1910 [27].

3.a Annullamento d’ufficio. Innovatività dell’istituto sotto il profilo della tutela delle posizioni giuridiche qualificate e consolidate del privato (art. 21 nonies)

Anteriormente alla novella, la distinzione tra revoca d’ufficio di un atto amministrativo (che interviene ex nunc in presenza di vizi di merito, determinando la rimozione dell’atto per motivi di sopravvenuta inopportunità e convenienza e, dunque, con operatività irretroattiva) ed annullamento d’ufficio (che opera per vizi di legittimità già esistenti al tempo del primo provvedimento, eliminandolo con effetto ex tunc), sebbene pacifica in dottrina ed in giurisprudenza, era spesso trascurata nella pratica amministrativa, per cui il termine “revoca” veniva -e viene- frequentemente utilizzato come sinonimo di ritiro, cioè di eliminazione dell’atto quali ne siano le ragioni da parte dell’autorità emanante.

Il ritiro, quale esercizio dello ius poenitendi, è invece esercitabile dalla P.A. per motivi di legittimità o di opportunità, in presenza di atti non ancora efficaci e non ancora eseguiti che, in quanto tali, non fanno nascere questioni attinenti a diritti acquisiti o goduti.

La revoca ha la sua ratio nei principi di continuità e di necessità dell’azione amministrativa e cioè nell’esigenza che l’azione amministrativa si adegui all’interesse pubblico allorquando questo muti o vi sia una sua diversa valutazione e può essere qualificata come un provvedimento di secondo grado con cui l’amministrazione ritira con efficacia ex nunc un atto inficiato da vizi di merito in base ad una nuova valutazione degli interessi, con la necessità di appurare sia la mancanza attuale di rispondenza dell’atto alle esigenze pubbliche sia l’esistenza di un concreto interesse pubblico all’eliminazione dell’atto divenuto inopportuno, da bilanciare con l’eventuale consolidamento della posizione del destinatario dell’atto.

Ciò posto, al fine di agevolare la comprensione dei contenuti della riforma, giova premettere, sotto un profilo di ordine ricostruttivo, che l’istituto dell’autoannullamento si concreta in un provvedimento di secondo grado, legittimo solo se congruamente motivato da concomitanti esigenze di pubblico interesse, le quali devono rivestire carattere peculiare in relazione alla fattispecie e, quindi, debbono essere diverse rispetto all’interesse generico al ripristino della legalità.

Tali specifiche esigenze di pubblico interesse, a loro volta, devono essere comparate con gli interessi (pubblici e/o privati) eventualmente contrari all’annullamento d’ufficio, dovendo salvaguardare il legittimo affidamento dei controinteressati [28].

In questo quadro normativo, risulta illegittimo il provvedimento di revoca di agevolazioni finanziarie adottato per il fatto che, ex post, è stata ravvisata una circostanza di fatto ostativa alla loro concessione, nel caso in cui la motivazione del provvedimento di ritiro, da un lato, non contenga alcuna indicazione in ordine al sottostante interesse della P.A. alla decisione di ritiro e, dall’altro, non contempli alcuna considerazione dell’interesse del beneficiario del contributo, in tal caso, infatti, deve ritenersi che l’atto di ritiro sia stato adottato in violazione del principio dell’affidamento codificato dall’art.1, comma 1, legge n. 241/1990, che trova precipua applicazione proprio nelle fattispecie di autotutela amministrativa, come disegnata dall’art. 21 nonies della stessa legge [29].

Tanto premesso, l’esercizio del potere di autotutela per ragioni legate al ripristino della legalità violata manifesta chiari sintomi di illegittimità quando incida su provvedimenti ampliativi della sfera giuridica del privato, che abbia visto consolidarsi un affidamento qualificato in ragione del tempo trascorso dall’adozione del provvedimento favorevole, senza esplicitare valide ragioni da cui desumere la prevalenza dell’interesse pubblico su quello privato.

La giurisprudenza, infatti, ha reiteramente precisato che la motivazione dell’annullamento d’ufficio dev’essere tanto più accurata quanto maggiore è l’affidamento ingenerato nel privato [30], dovendo sostenere che l’esercizio della discrezionalità dell’Amministrazione, insindacabile sotto il profilo amministrativo, incontra un limite insuperabile nei principi di correttezza e buona fede – alla cui puntuale osservanza è tenuta anche la P.A. nell’ambito del rispetto dei doveri primari garantiti dall’art. 2043 c.c. – e nella contestuale tutela dell’affidamento ingenerato nel privato [31].

Si evince, quindi che per principio generale, l’annullamento d’ufficio di un atto amministrativo è provvedimento essenzialmente discrezionale, dovendo l’Amministrazione ponderare non solo gli eventuali profili di legittimità, ma altresì le concrete ragioni di pubblico interesse, diverse dal mero ripristino della legalità (in ipotesi violata), che inducono a porre nel nulla provvedimenti, che, pur se illegittimi, abbiano prodotto i loro effetti, compreso il legittimo affidamento [32].

Proprio sulla tematica relativa alla tutela dell’affidamento è intervenuto l’art. 21 nonies, il quale, innovando il quadro giurisprudenziale, non solo ha attribuito alla P.A. il potere generale di annullare d’ufficio provvedimenti illegittimi, previa comparazione tra l’interesse pubblico all’eliminazione dell’atto e gli interessi del controinteressato e degli altri soggetti coinvolti, ma ne ha anche condizionato la legittimità al rispetto del “termine ragionevole”.

La portata innovativa della riforma non si esaurisce, dunque, nel conferimento di un fondamento ex lege alla potestà autoannullatoria [33], ma si estende alla considerazione secondo cui l’avvenuto consolidamento delle posizioni giuridiche a causa del lungo tempo trascorso determina, nel contesto rappresentativo degli interessi implicati, la prevalenza delle esigenze al mantenimento dell’atto amministrativo rispetto all’interesse pubblico, concreto ed attuale, alla sua rimozione.

In sostanza, l’ampiezza del decorso temporale, da valutarsi in relazione alle peculiarità del caso concreto, viene sussunta dall’innovativa previsione come elemento condizionante la comparazione tra i contrapposti interessi, con esito (precostituito) ad effetto satisfattivo per il privato.

Ne discende che mentre nel previgente regime, frutto dell’elaborazione giurisprudenziale, l’incidenza del fattore tempo ed il conseguente affidamento del destinatario dell’atto da rimuovere influivano solo sulla profondità del discorso giustificativo idoneo a far prevalere l’interesse pubblico, nell’attuale sistema, le esigenze di tutela delle posizioni giuridiche qualificate e consolidate del privato escludono l’annullabilità in autotutela del provvedimento che quelle posizioni abbia originato [34].

Riversando l’applicazione dei menzionati principi nell’ambito di fattispecie concrete, risulta condivisibile l’orientamento espresso dalla più recente giurisprudenza secondo cui lo stato di avanzata esecuzione di opere edilizie assentite in forza di un permesso di costruire di cui venga denunciata l’illegittimità rivela la mancanza del requisito temporale “ragionevole”, al quale l’art. 21 nonies subordina l’esercizio del potere di autoannullamento, con la conseguenza che l’interesse pubblico a realizzare un assetto urbanistico legittimo deve considerarsi recessivo di fronte all’interesse privato alla conservazione del titolo abilitativo edilizio [35].

Le riferite considerazioni sono estensibili in linea di principio al settore degli appalti pubblici giacché, come ben noto, la presenza nella serie procedimentale ordinaria di alcuni atti tipici (l’approvazione degli atti di gara e l’eventuale controllo) aventi come scopo essenziale la verifica della legittimità dell’iter di formazione del contratto, non costituisce di per sé un ostacolo all’esercizio del potere di riesame in un momento successivo alla conclusione del procedimento, attesa l’ineludibile esigenza di garantire il puntuale rispetto delle regole della concorrenza tra le imprese e l’interesse generale alla corretta ed efficace gestione delle risorse pubbliche.

È noto infatti, per pacifica giurisprudenza, che sussiste la possibilità per l’Amministrazione di rivedere un precedente provvedimento di aggiudicazione, e tale potere trova il primo fondamento nel principio costituzionale di buon andamento, che impegna la P.A. ad adottare gli atti il più possibile rispondenti ai fini da conseguire ed autorizza, quindi, anche il riesame degli atti adottati, ove reso opportuno da circostanze sopravvenute (ovvero da un diverso apprezzamento della situazione preesistente), beninteso con l’obbligo di dare esplicita e puntuale contezza del potere esercitato [36] che deve assicurare il rispetto delle regole del contraddittorio procedimentale ed essere fondato su un’adeguata istruttoria [37].

Ne consegue che nei contratti della pubblica amministrazione, l’intervenuta aggiudicazione, quale atto conclusivo del procedimento di scelta del contraente, non preclude all’amministrazione stessa di procedere alla revoca d’ufficio ovvero all’annullamento dell’intera procedura di gara con atto successivo, purché adeguatamente motivato con richiamo ad un preciso e concreto interesse pubblico, richiamandosi evidentemente all’articolo 21 nonies della legge 241 riformata [38].

Ne deriva che l’accertamento di eventuali vizi della procedura di gara (errori di calcolo, errate interpretazioni di norme giuridiche o di atti amministrativi, erronea ammissione di un’impresa alla selezione, erronea valutazione dell’offerta dell’aggiudicatario), potrà essere effettuato dalla stazione appaltante in conformità al principio dell’autotutela decisoria, ma non potrà condurre all’annullamento d’ufficio dell’atto finale di aggiudicazione allorché il decorso di un ragionevole lasso di tempo dall’intervenuta stipulazione del contratto e l’avanzata fase esecutiva dei lavori abbiano consolidato l’affidamento dell’impresa aggiudicataria.

La stazione appaltante potrà disporre, nell’esercizio del potere di autotutela, la revoca della procedura di gara, ma dovrà darne adeguata motivazione proprio per esplicitare l’interesse pubblico, concreto e attuale, che giustifica il ritiro stesso, dovrà - nella stesura redazionale dell’atto - porre a raffronto l’interesse pubblico che sarebbe stato perseguito attraverso la conclusione dell’originaria procedura e quello che si pone come realizzabile con la nuova procedura [39].

Queste conclusioni denotato che non è precluso alla stessa amministrazione di procedere, con atto successivo, purché adeguatamente motivato con richiamo ad un preciso e concreto interesse pubblico, alla revoca d’ufficio ovvero all’annullamento dell’aggiudicazione, nonostante l’aggiudicazione spieghi effetti prodromici in ordine al vincolo negoziale fra le parti, atteso che l’atto di secondo grado è pur sempre un atto avente natura provvedimentale ed in quanto tale non è inibito il suo riesame da parte dell’organo che l’ha emanato nell’esercizio del potere di autotutela, fondando tale potestà nel principio costituzionale di buon andamento che impegna l’amministrazione ad adottare costantemente atti per il migliore perseguimento dei fini pubblici affidati alle sue cure, sicché non trova limiti nella posizione soggettiva vantata dall’aggiudicatario [40].

Va detto che le osservazioni svolte in relazione al momento dell’annullamento del provvedimento sono rinvenibili anche per la procedura di gara pubblica, procedura che se in stato avanzato di espletamento o addirittura culminata in una pur provvisoria aggiudicazione, implica la frustrazione dell’affidamento ingenerato in capo ai partecipanti e, segnatamente, all’aggiudicatario, di qui la necessità, consacrata dal disposto dell’art. 21 nonies della legge 7 agosto 1990 n. 241, di una ragione di interesse pubblico tale da giustificare comparativamente l’incisione delle posizioni in rilievo con riferimento al tempo trascorso [41].

In dipendenza di ciò è configurabile la responsabilità precontrattuale della stazione appaltante che abbia disposto la revoca dell’aggiudicazione con inescusabile ritardo - nella specie circa 5 anni -, in violazione dei canoni di buona fede e correttezza [42].

L’amministrazione ha, quindi, l’obbligo di esercitare tale potere entro i limiti della norma non essendo tale potere libero, dovendo esso soggiacere a condizioni formali e sostanziali ben definite, più in particolare, il corretto esercizio del potere di autotutela risiede nell’obbligo di motivazione in ordine allo specifico vizio di legittimità da cui gli atti ritirati sono affetti nonché in ordine all’interesse pubblico, concreto ed attuale, che giustifica il ritiro stesso: una comparazione di posizioni confliggenti dovendo porre a raffronto l’interesse pubblico perseguito con la rimozione e quello consolidato con il provvedimento originario, giacché soltanto per il tramite di una simile analisi comparativa può ritenersi compiuta ed esauriente l’attività di supporto istruttorio e la motivazione del provvedimento di autotutela, fugando ogni dubbio circa valutazioni parziali insoddisfacenti e sospette di sviamento in quanto non volte alla migliore cura e perseguimento dell’interesse pubblico [43].

Le implicazioni di ordine giuridico discendenti da quest’ultimo rilievo fattuale ed esemplificativo devono, tuttavia, essere coordinate con lo speciale regime dell’annullabilità d’ufficio previsto dall’art. 1 comma 136 della L. n. 311/2004, che verrà trattato nel paragrafo seguente, il quale subordina all’osservanza del limite temporale di tre anni il potere di rimozione in autotutela dei provvedimenti incidenti su “rapporti contrattuali e convenzionali con i privati”, allorquando l’Amministrazione agisca allo scopo di ottenere “risparmi o minori finanziari”.

3.b Autotutela decisoria: annullamento d’ufficio ex art. 1 comma 136 della L. n. 311 del 2004 (legge finanziaria 2005). Coordinamento sistematico con l’art. 21 nonies della L. n. 241 del 1990.

Dalla disciplina contenuta nell’art. 21 nonies, sopra esaminata, diverge la previsione inserita nella legge finanziaria per il 2005 (legge n. 311 del 2004, art. 1 comma 136), la quale assegna alla P.A. il potere di annullare d’ufficio provvedimenti amministrativi illegittimi “anche se l’esecuzione degli stessi sia ancora in corso” senza limiti di tempo ed indipendentemente dall’esistenza di un interesse pubblico all’eliminazione dell’atto, al fine di “conseguire risparmi o minori oneri finanziari”.

L’inciso riproduttivo della finalità perseguita dalla norma evidenzia, in esito ad un parametro ermeneutico di tipo non solo teleologico ma anche testuale, il recepimento dell’indirizzo giurisprudenziale secondo cui l’interesse pubblico all’annullamento d’ufficio è in re ipsa allorquando la rimozione in autotutela investa un provvedimento che abbia causato indebiti esborsi di denaro pubblico, non potendosi in detta evenienza ravvisare, in capo al destinatario dell’atto da rimuovere, alcun consolidamento dei relativi effetti e, quindi, alcuna garanzia di stabilità delle relative posizioni di vantaggio [44].

L’art. 1 comma 136 stabilisce, inoltre, che “l’annullamento di cui al primo periodo di provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati deve tenere indenni i privati stessi dall’eventuale pregiudizio patrimoniale derivante e comunque non può essere adottato oltre tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdurante”.

Anche l’anzidetta disposizione è destinata ad operare solo se l’autotutela sia finalizzata ad ottenere “risparmi o minori oneri” come depone il riferimento letterale all’“annullamento di cui al primo periodo”, tuttavia essa, afferendo non già ad atti autoritativi bensì a “rapporti contrattuali o convenzionali con privati”, investe un ambito oggettuale diverso da quello della statuizione contenuta nel periodo precedente, da quale si differenzia pure sotto i profili previsionali della tutela indennitaria del privato e del termine massimo di tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento decorsi i quali l’autotutela non può essere più esercitata.

In definitiva, la disciplina in commento si collega all’annuale manovra finanziaria ed assume connotati di specialità rispetto al dettato dell’art. 21 nonies della legge n. 241/1990 acquisendo rilievo applicativo solo allorché la P.A. nell’esercizio della potestà di autotutela persegua finalità di contenimento della spesa pubblica.

Va detto, in questo contesto interpretativo, che è da escludere che si sia in presenza di annullamento d’ufficio – e quindi di obbligo risarcitorio – nei casi in cui non si verta di un vero e proprio atto di ritiro ma di una mancata conclusione di un procedimento non ancora perfezionato (vedi il caso tipico dell’annullamento dell’aggiudicazione provvisoria), e pertanto non idoneo a costituire una posizione contrattuale di controparte o una legittima aspettativa [45].

Nel contesto così prefigurato dalla legge n. 311/2004, un’ipotesi legittimante l’esercizio del potere di autototutela può consistere nell’autoannullamento dell’atto di valutazione del progetto dell’impresa risultata vincitrice per difformità dalle prescrizioni del bando di gara nonché del conseguente atto che ha disposto l’aggiudicazione in suo favore, motivato sul rilievo che le riscontrate carenze progettuali espongono l’ente, in caso di prosecuzione della procedura, alla rinegoziazione di gran parte dell’appalto, comportando una spesa aggiuntiva rispetto alle originarie previsioni.

Ricorrendo detta ipotesi, il decorso di tre anni dall’intervenuta aggiudicazione costituisce elemento ostativo all’esercizio della potestà annullatoria: lo ius poenitendi non può essere esercitato oltre tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento.

Il paradigma dell’annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati, di cui all’art.1 comma 136, l. 30 dicembre 2004 n. 311, deve essere sottoposto a tre condizioni (non rinvenibili nello schema ascrivibile all’articolo 21 nonies cit.) che l’annullamento sia disposto al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari, dal momento che il secondo periodo dell’art. 1 comma 136 si riferisce testualmente all’annullamento di cui al primo periodo che appunto prevede il conseguimento di risparmi, che incida su rapporti contrattuali o convenzionali e che non sia adottato oltre i tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento [46].

Viceversa, qualora la rimozione in autotutela dell’aggiudicazione esplicativa di effetti costitutivi del vincolo negoziale sia disposta per finalità diverse, fondate esclusivamente sull’esigenza di ripristinare i termini inizialmente posti a base dell’appalto e, quindi, di assicurare la par condicio tra le imprese concorrenti, troverà applicazione la disciplina generale compendiata nell’art. 21 nonies della legge n. 241/1990 ed incentrata sul rispetto del “termine ragionevole”.

La ragionevolezza del termine si incentra inevitabilmente sull’esigenza di contemperare l’interesse pubblico alla rimozione dell’atto illegittimo e l’affidamento del privato, il quale ha tutto l’interesse alla conservazione del provvedimento, interesse che deve essere valutato con estremo rigore [47].

3.c Autotutela decisoria: revoca del provvedimento (art. 21 quinquies).

La disamina dell’art. 21 quinques, nella sua articolazione precettiva, induce alle seguenti riflessioni:

a) l’istituto della revoca è limitato ai provvedimenti ad efficacia durevole;

b) i presupposti condizionanti la legittimità della revoca risultano tipicizzati e consistono nella sopravvenienza di motivi di pubblico interesse, nel mutamento della situazione di fatto, oppure nella rinnovata valutazione dell’interesse pubblico originario[48];

c) coerentemente agli indirizzi interpretativi della giurisprudenza viene sancita l’efficacia ex nunc dell’atto di revoca;

d) innovative sono le previsioni attinenti sia alla tutela indennitaria del soggetto destinatario dell’atto revocato (in analogia al disposto del comma 4 dell’art. 11 che si correla al potere della P.A. di recedere per sopravvenute ragioni di interesse pubblico dall’accordo sostitutivo od integrativo di provvedimento concluso con il privato), sia alla giurisdizione esclusiva in tema di determinazione e corresponsione dell’indennizzo.

e) restano comunque ferme le norme speciali in tema di irrevocabilità degli atti amministrativi (es. art. 11 comma 2 D.P.R. n. 380 del 2001);

f) l’art. 21 quinques, infine, non contempla l’ipotesi di mero “ritiro” di atti amministrativi inefficaci, che la giurisprudenza non subordina alla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale ed alla considerazione delle posizioni soggettive coinvolte dalla vicenda [49].

Ciò precisato in termini generali, occorre rilevare che l’istituto della “revoca” del provvedimento amministrativo ha dilatato la preesistente nozione di “revoca” elaborata dall’insegnamento dottrinario e giurisprudenziale ricomprendendo in essa sia il potere (c.d. jus poenitendi) della p.a. di ritirare i provvedimenti ad efficacia durevole sulla base di sopravvenuti motivi di interesse pubblico ovvero di mutamenti della situazione di fatto, e sia quello di rivedere il proprio operato (in corso di svolgimento) e di modificarlo (perché evidentemente ritenuto affetto da inopportunità) in virtù di una rinnovata diversa valutazione dell’interesse pubblico originario, così chiarendo che sono suscettibili di revoca in senso tecnico, e non già di annullamento per motivi di merito, gli atti amministrativi originariamente viziati nell’opportunità [50].

A titolo di completezza, si rammenta che la legge 2 aprile 2007, n.40, di conversione con modificazioni, del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, recante misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attività economiche e la nascita di nuove imprese, ha integrato il testo dell’art. 21 quinques, aggiungendo il comma 1 bis, che estende la tutela indennitaria alle ipotesi di revoca di atti amministrativi (ad efficacia durevole od istantanea) incidenti su rapporti negoziali [51].

Il tratto che caratterizza la nuova disposizione, fonte attributiva di diritti patrimoniali in capo ai soggetti aggiudicatari di contratti pubblici lesi dal comportamento provvedimentale (legittimo) della P.A., risiede nella commisurazione del pregiudizio indennizzabile al solo “danno emergente”, ovvero alle spese effettivamente sostenute per partecipare alla stipulazione negoziale (es. costi connessi alla redazione di istanze partecipative alla gara), con esclusione, quindi, della componente indennitaria del “lucro cessante”, tradizionalmente insita nella perdita di occasioni maggiormente o ugualmente vantaggiose.

Parametri ulteriori, limitativi dell’entità economica valutabile ai fini del ristoro, si traggono dalla concorrente previsione secondo cui, ai fini liquidativi, deve tenersi conto “sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico”.

Trattasi, più in particolare, dell’applicazione, riversata all’ambito della responsabilità indennitaria da atto lecito, del principio del concorso di colpa del danneggiato nella produzione dell’evento, al fine di una riduzione proporzionale del risarcimento (da fatto illecito) ex art. 1127 comma 1 Cod. Civ.

L’univoco dato testuale della norma in commento (“l’indennizzo liquidato dall’amministrazione…tiene conto”) esclude, invece, che all’atteggiamento psicologico dell’interessato (conoscenza o conoscibilità del motivo di revoca, induzione in errore circa la rispondenza dell’atto al pubblico interesse) possa annettersi ex se valenza ostativa all’accesso alla tutela indennitaria, rilevando esso unicamente ai fini della determinazione del quantum (e non già dell’an) debeatur [52].

Così sinteticamente delineate le coordinate dell’istituto, venendo alle problematiche applicative, giova evidenziare che le fattispecie suscettibili di essere attratte all’alveo del comma 1 bis dell’art. 21 quinques sono quelle che si traducono in comportamenti della P.A. violativi del principio del legittimo affidamento, riconducibili all’ambito della responsabilità pre-contrattuale della parte pubblica.

L’ipotesi tipica è rappresentata dalla revoca degli atti di affidamento di un contratto che, sebbene legittima, in quanto sorretta da motivi di interesse pubblico tali da rendere non opportuna la prosecuzione dell’iter concorsuale (anche qualora l’aggiudicazione sia già intervenuta), leda l’affidamento ingenerato nel soggetto privato, sostanziandosi in una condotta colposamente negligente della stazione appaltante in ragione della mancata verifica della sussistenza dei presupposti per l’esecuzione del vincolo contrattuale [53].

Ne discende che il modello di responsabilità indennitaria prefigurato dal comma 1 bis dell’art. 21 quinques si discosta sensibilmente dallo schema civilistico improntato sulla responsabilità per culpa in contraendo, nel quale il danno risarcibile, pur sempre parametrato allo stretto interesse negativo (contrapposto all’interesse all’adempimento), è costituito sia dalle spese inutilmente sostenute in vista della conclusione del contratto (damnum emergens), sia dalla perdita di ulteriori occasioni per la stipulazione con altri di un contratto altrettanto o maggiormente vantaggioso (lucrum cessans), secondo un criterio ispirato alla massima riparabilità del pregiudizio derivante dalla lesione dell’affidamento che la controparte ripone nell’osservanza delle regole di buona fede, criterio esulante dalle finalità e dai contenuti della norma in commento.

Quanto al profilo attinente alla giurisdizione, è da ritenere che anche le controversie in materia di liquidazione dell’indennizzo volto a compensare il sacrificio imposto al privato per effetto della revoca di atti amministrativi incidenti su rapporti negoziali, sia devoluta alla giurisdizione esclusiva del g.a..

Depongono in tal senso, sia l’elemento interpretativo letterale di cui al primo comma dell’art. 21 quinques, che, come già evidenziato, assegna alla cognizione amministrativa esclusiva le vertenze in tema di “determinazione e corresponsione” dell’indennizzo connesso alla revoca di provvedimenti in danno dei privati interessati, sia l’argomento di carattere sistematico evincibile dal collegamento tra il primo e il secondo comma del citato art. 21 quinques: la previsione contenuta nel secondo comma, invero, configurandosi come species del più ampio genus degli atti di revoca, riveste una portata oggettuale circoscritta alla revoca di provvedimenti ed atti della serie procedimentale preordinati alla costituzione del rapporto negoziale [54].

La riferita conclusione, del resto, si armonizza con gli approdi della giurisprudenza costituzionale e amministrativa, secondo cui l’art. 6 della legge n. 205/2000 ha conferito al g.a., dopo la rimozione degli atti della fase pubblicistica che hanno costituito in capo all’interessato effetti vantaggiosi, la cognizione, secondo il diritto comune, degli affidamenti suscitati nel privato da tali effetti vantaggiosi ormai venuti meno [55].

Sussiste, infatti, quell’interferenza tra diritti soggettivi (diritto comune) e interessi legittimi (esplicazione del potere) che si pongono come conditio sine qua non per la legittimità costituzionale delle aree conferite alla cognizione del g.a., alla stregua dei principi enunciati nella nota sentenza della Consulta n. 204 del 2004.

3.d Aspetti procedimentali del contrarius actus nel rinnovato sistema.

Costituisce ius receptum il principio secondo cui nell’esercizio del potere di autotutela il provvedimento della P.A. tendente alla rimozione di un precedente atto esistente ed efficace dev’essere adottato con le medesime formalità procedimentali seguite per l’adozione dell’atto rimosso.

Ed invero, poiché la funzione amministrativa in questione è di contenuto identico, seppure di segno opposto, a quelle esplicate in precedenza, essa non potrà che articolarsi secondo gli stessi moduli già adottati.

Si tratta di un principio generale, non solo preordinato ad assicurare le medesime garanzie procedimentali offerte dal provvedimento revocando, al fine di consentire agli interessati le necessarie possibilità di difesa, ma anche conforme al principio di competenza, intesa come misura di poteri attribuiti ad un dato organo.

Sotto quest’ultimo aspetto, infatti, il potere di provvedere in via esclusiva su determinati affari comprende, necessariamente, anche quello dell’adozione del contrarius actus, poiché, come puntualmente evidenziato dalla giurisprudenza[56], qualora detto potere fosse esercitato da un organo diverso, sarebbe quest’ultimo e non già l’organo investito di competenza primaria ad avere l’effettiva disponibilità della materia, con la conseguenza che verrebbero autorizzati interventi suscettibili di elidersi a vicenda creando disordine amministrativo e confondendo le responsabilità.

In linea con tale interpretazione, gli articoli 21 quinquies e 21 nonies comma 1 dispongono, quindi, che l’annullamento d’ufficio e la revoca devono essere adottati dall’organo che ha emanato il provvedimento di primo grado (e solo eccezionalmente da altro organo previsto dalla legge).

3.e Revoca e recesso anticipato.

La diversità tra gli istituti della revoca e del recesso anticipato si coglie con riferimento alle convenzioni che accedono ai provvedimenti di concessione di beni e di servizi pubblici.

Si evidenzia, in proposito, che la convenzione accessiva all’atto amministrativo di concessione presenta struttura bilaterale e contenuti tipici dei contratti di diritto comune, disciplinando gli aspetti economici e patrimoniali della concessione (di beni o di servizi) e talune delle sue modalità attuative.

In particolare, la convenzione definisce l’oggetto, la durata, il prezzo e gli altri elementi fondamentali del rapporto.

Tra questi aspetti, disciplinati direttamente dalla convenzione, assumono particolare rilievo le clausole relative alla durata della concessione, al suo rinnovo, al suo scioglimento anticipato, clausole che la giurisprudenza prevalente qualifica come paritetiche, non dissimili, per contenuti ed effetti da un ordinario patto di disdetta e di rinnovazione tacita del rapporto, stabilito in un contratto di diritto comune avente ad oggetto prestazioni continuative.

Ciò posto, il recesso anticipato nei contratti di durata o la disdetta dalle convenzioni che accedono a concessioni di beni o di servizi, qualora pattiziamente previsti, sono diretti ad impedire la rinnovazione del rapporto alla scadenza e costituiscono espressione di un diritto meramente potestativo, per cui non richiedono giustificazione motiva alcuna da parte della P.A.

Il recesso dal contratto da parte della pubblica amministrazione attiene, com’è noto, alla fase di esecuzione del contratto, successivamente alla fase pubblicistico-procedimentale, assoggettata alla disciplina prevista dal codice civile, e ciò, anche nel caso dei c.d. contratti amministrativi (o speciali) per i quali le norme non attribuiscono alla P.A. poteri di supremazia nella gestione del rapporto se non indicati dalla legge o previsti nel contratto.

Diversamente, la revoca della concessione amministrativa si ricollega alla potestà che la legge eccezionalmente attribuisce alla P.A. (concedente) di intervenire dall’esterno del rapporto pubblicistico (concessorio), anche senza clausola convenzionale ad hoc e, quindi, necessita di una congrua motivazione sulla base di rigorosi presupposti oggettivi.

In altri e più esplicativi termini, mentre la revoca investe il provvedimento di concessione, dev’essere motivata ed ancorata a presupposti tipici, la disdetta riguarda la convenzione che accede al provvedimento concessorio, non necessita di rilievi motivi e rinviene il proprio fondamento in una clausola ad hoc [57].

Tale distinzione, tratteggiata dalla giurisprudenza [58], trova attuale riscontro nel testo dell’art. 21 sexies (recesso dai contratti), letto in coordinazione con l’art. 21 quinquies (revoca del provvedimento): mentre il recesso unilaterale dai contratti della P.A. è ammesso in presenza di una specifica clausola negoziale [59] oppure nei casi eccezionalmente previsti dalla legge [60], il ricorso alla revoca del provvedimento trova la propria base giustificativa nel citato art. 21 quinquies e la sua legittimità è subordinata alla sussistenza dei presupposti ivi enucleati, nonché all’adeguata rappresentazione degli stessi in sede motivazionale.

3.f Conseguenze processuali in tema di revoca od autoannullamento di un provvedimento contestato in sede giudiziale.

Si rammenta, per ragioni di completezza espositiva, che allorquando la P.A. rimuove in autotutela il provvedimento impugnato in sede giurisdizionale con effetto satisfattivo delle pretese del ricorrente, si determina la cessazione della materia del contendere con preclusione dell’esame delle censure proposte e le spese del giudizio vanno poste a carico della stessa P.A., in virtù del principio della soccombenza virtuale [61].

4. L’istituto della convalida dell’atto amministrativo: rapporti tra l’art. 21 nonies comma 2 della L. n. 241 del 1990 e l’art. 6 della L. n. 249 del 1968; convalidabilità dell’atto amministrativo in pendenza di giudizio.

Com’è noto, nell’ipotesi di atto illegittimo la Pubblica Amministrazione, anziché annullarlo in via di autotutela, può decidere di mantenerlo in vita, rimuovendo i vizi che lo inficiano tramite una manifestazione di volontà intesa ad eliminare il vizio da cui l’atto è affetto [62].

Assume, così, rilievo l’istituto della sanatoria degli atti amministrativi, che si sostanzia appunto in una nuova ed autonoma manifestazione volitiva, di carattere costitutivo, la quale, ricollegandosi all’atto sanato, ne mantiene fermi gli effetti.

Più in particolare, gli elementi propri della sanatoria (o convalescenza del provvedimento amministrativo) sono insiti nella consapevolezza del vizio e nella manifestazione della volontà diretta ad eliminarlo: la Pubblica Amministrazione, infatti, una volta acquisita la consapevolezza dell’eventuale irregolarità del proprio operato, può direttamente farsi carico di apportare alle proprie determinazioni le integrazioni e le modifiche necessarie per assicurarne la legittimità.

Tanto premesso, il problema che si pone consiste nello stabilire se il potere di convalida di un atto amministrativo annullabile sia esercitatile quando penda un processo avverso l’atto della cui convalida si tratta.

La questione è stata originariamente risolta, a livello normativo, con riguardo al solo vizio di incompetenza, prevedendosi la possibilità della convalida retroattiva anche in pendenza di gravame in sede giurisdizionale o amministrativa [63].

Per i vizi diversi da quello di incompetenza, invece, la definizione della questione è stata oggetto di un contenzioso.

Secondo un primo orientamento, risalente nel tempo [64], non sarebbe consentito all’Amministrazione convalidare un atto amministrativo ritualmente impugnato in sede giurisdizionale, altrimenti l’Autorità finirebbe con l’eludere le garanzie predisposte a tutela del cittadino leso dal provvedimento e frustrerebbe l’interesse del ricorrente ad ottenere una decisione di annullamento del provvedimento viziato.

L’indirizzo giurisprudenziale più recente [65], invece, propende per la soluzione opposta, affermando che la possibilità di convalida in corso di causa è ragionevole e non si pone in contrasto con i principi dell’ordinamento nell’ipotesi in cui il vizio da emendare attraverso la convalida rivesta carattere meramente formale, atteso che già nell’ambito della legislazione statale è prevista la possibilità di convalida in pendenza di giudizio degli atti gravati dal vizio (formale) di incompetenza.

A suffragio di quest’ultima opzione esegetica (ammissibilità della convalida in pendenza di giudizio) depongono le innovative previsioni di cui alla legge n. 15 del 2005, la quale ha aggiunto al corpus della legge n. 241 del 1990 l’art. 21 nonies, contemplando, al comma 2, con formula descrittiva generale e non suscettibile di interpretazioni restrittive “la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di pubblico interesse ed entro un termine ragionevole”.

Il tenore della citata norma non sembra lasciare spazio, sul piano della concatenazione letterale e della sua ratio, all’introduzione di un canone interpretativo non in linea con le ricordate premesse concettuali: infatti, il riconoscimento della possibilità di convalida in corso di lite non solo trae giustificazione dal referente normativo in esame, che prevede quale unico limite alla convalidabilità dell’atto il suo annullamento e quindi la definizione del giudizio impugnatorio, ma discende anche dalla considerazione secondo cui la tutela dell’interesse legittimo del privato non può prescindere dalla contemporanea tutela dell’interesse pubblico e, dunque, non può impedire all’Amministrazione di eliminare, in via di autotutela, i vizi dei propri provvedimenti; ciò, del resto, risponde anche ad esigenze di economia processuale e di buon andamento dell’azione amministrativa, che non possono non guardare con favore ad un ravvedimento operoso dell’Amministrazione stessa [66].

In altro modo, secondo la giurisprudenza amministrativa, il provvedimento di sanatoria di un precedente provvedimento illegittimo deve costituire manifestazione non equivoca della volontà dell’Amministrazione di eliminare con efficacia retroattiva [67] la illegittimità da cui il particolare atto da sanare è inficiato, e può essere adottato in sede di autotutela anche se avverso l’atto viziato penda impugnativa: “la possibilità della convalida degli atti viziati da incompetenza, anche se impugnati (ma non ancora annullati) per tale motivo, è espressamente consentita dall’art. 6 l. 18 marzo 1968 n. 249 [68].

Può considerarsi acclarato che il potere di convalida è indirizzato solo nei confronti di un provvedimento esistente, ancorché affetto da vizi di legittimità ed esposto a giudizio di annullamento, mentre se invece fosse intervenuto un annullamento giurisdizionale dell’atto, l’Amministrazione, pur non abilitata a convalidarlo, potrebbe solo procedere alla rinnovazione dello stesso, emendandolo dai vizi riscontrati dal giudice e in stretta osservanza di quanto stabilito dalla sentenza di annullamento [69].

La sanatoria consegue, quindi ad una nuova manifestazione di volontà della P.A. con la quale si dichiara l’esistenza (o presunta tale) di un vizio e lo si elimina, riaffermando l’efficacia del provvedimento: “convalida e ratifica si pongono come soluzioni alternative all’annullamento d’ufficio e come misure volte a prevenire l’annullamento giurisdizionale [70].

Questo si dimostra nell’ipotesi di un atto illegittimo dove la P.A., anziché decidere di annullarlo in via di autotutela, può stabilire di mantenerlo in vita eliminando i vizi che lo inficiano attraverso un’ulteriore manifestazione di volontà [71], mediante l’adozione di un provvedimento di convalida (ratifica o sanatoria) avente efficacia “ex tunc  [72], evidenziando come ora la norma dell’articolo 21 nonies della legge n.241/90 fa salva la possibilità di convalidare non gli atti semplicemente viziati, ma tutti i provvedimenti annullabili, cioè suscettibili di intervento in autotutela o giudiziale [73].

Inoltre, elementi essenziali per la convalida dell’atto amministrativo sono, in ogni caso, la consapevolezza del vizio che inficia il provvedimento ed una dichiarazione espressamente diretta ad eliminare il vizio, non essendo sufficiente una mera presa d’atto del provvedimento viziato ma deve implicare riconsiderazione degli interessi su cui il provvedimento da convalidare aveva disposto, nonchè puntuale ed analitico consenso con la ponderazione che tale provvedimento ne aveva effettuat [74].

A tale esito interpretativo, peraltro, è consentito pervenire in applicazione di criteri interpretativi ulteriori, di natura sistematica, desumibili dal coordinamento con l’art. 21 octies, norma intesa dalla giurisprudenza come abolitiva del divieto di interventi di sanatoria in pendenza di giudizio con riferimento ad atti amministrativi affetti da vizi formali, tema che verrà affrontato nel prosieguo della trattazione [75].

5. Superamento dell’incertezza manifestata dalla giurisprudenza in ordine al fondamento del potere della P.A. di sospendere l’efficacia dei propri atti (art. 21 quater, comma 2).

La sospensione degli atti amministrativi è l’istituto che consente all’autorità emanante, in attesa di un esame più approfondito ed al fine di evitare che medio tempore l’esecuzione del provvedimento produca conseguenze pregiudizievoli, di disporre in via provvisoria la paralisi dell’efficacia dell’atto.

La P.A. è quindi titolare di un potere generale di sospensione dell’efficacia dei propri atti, in via di autotutela cautelare, in presenza di idonee cause giustificative [76].

La sospensione è adottata in via provvisoria e cautelare, proprio al fine di consentire una più adeguata ponderazione dei presupposti di fatto e di diritto, affinché la P.A. si determini definitivamente, ritirando l’atto sospeso ovvero consentendogli di continuare a produrre i suoi effetti.

È illegittima la sospensione dell’efficacia di un atto amministrativo senza la indicazione di un termine finale, atteso che la predeterminazione dell’arco temporale entro il quale il provvedimento di sospensione deve esaurire i suoi effetti è conseguenziale alla funzione cautelare che esso svolge ed è espressione sintomatica della reversibilità del provvedimento stesso [77]; la sospensione costituendo nella sua essenza provvedimento riduttivo e limitativo di una posizione giuridica dell’interessato, deve contenere adeguata motivazione in ordine alle ragioni che nella necessaria valutazione dei contrapposti interessi in gioco abbiano indotto l’amministrazione a ritenere prevalenti quelli pubblici [78].

L’oggetto del dibattito, al quale ha posto fine la novella, riguardava il carattere generale o meno dell’istituto de quo.

Secondo un primo orientamento, condiviso da alcuni giudici amministrativi di primo grado, la sospensione degli atti amministrativi non costituiva un istituto di carattere generale, trattandosi di un potere atipico, esercitatile solo in presenza di una specifica norma che espressamente lo preveda, in costanza dei presupposti e nelle forme contemplate [79].

Secondo un altro filone giurisprudenziale, alla P.A. doveva riconoscersi, in via di principio, un potere generale di sospensione dei propri provvedimenti.

Il Consiglio di Stato aveva avuto modo di manifestare la propria adesione a quest’ultima opzione ermeneutica; infatti, dopo l’entrata in vigore della legge n. 241 del 1990, il cui art. 7 comma 2 prevede che la P.A. ha la facoltà di adottare provvedimenti cautelari anche prima della comunicazione dell’avviso di inizio del procedimento, poteva ritenersi affermata la sussistenza di un potere generale della P.A. di sospensione dei propri atti [80].

La questione è stata definitivamente risolta dall’art. 21 quater comma 2, che, nel fondare la potestà generale di sospensione dei provvedimenti, ne subordina l’esercizio al concorso dei requisiti della “gravità delle ragioni” e del “tempo strettamente necessario” [81], che devono essere puntualmente esplicitati nel contesto motivazionale dell’atto [82].

6.a Il nuovo regime di invalidità degli atti amministrativi: la nullità dell’atto amministrativo nella giurisprudenza e nella novella.

L’art. 21 septies comma 1 recepisce i principi elaborati dalla giurisprudenza secondo cui il provvedimento può considerarsi nullo nelle ipotesi in cui esso sia espressamente qualificato tale dalla legge [83], oppure manchi dei connotati essenziali dell’atto amministrativo, necessari ex lege a costituirlo, quali il difetto della forma, della volontà, dell’oggetto, del destinatario, ovvero la radicale carenza di potere da parte dell’Autorità procedente [84]; evenienza quest’ultima configurabile allorquando l’atto costituisca manifestazione di poteri spettanti ad enti che operino in settori del tutto diversi, ovvero sia destinato a spiegare efficacia al di fuori dell’area fisica si cui insiste l’ente territoriale di cui faccia parte l’organo agente [85].

Laddove invece un atto amministrativo abbia ad oggetto un altro atto amministrativo in precedenza annullato da una sentenza del giudice amministrativo, esso deve ritenersi privo di un elemento essenziale – l’oggetto appunto - e conseguentemente nullo, ai sensi dell’art. 21 septies della legge 241 del 1990 [86].

Per altri versi, il provvedimento amministrativo affetto da radicale nullità, a meno che non sia espressamente ed inequivocabilmente disposta dalla norma primaria, ricorre soltanto quando l’atto costituisca manifestazione di poteri spettanti ad organi che operino in settori del tutto diversi, ovvero sia destinato a spiegare efficacia al di fuori dell’area fisica su cui insiste l’Ente territoriale di cui tali organi facciano parte [87], disponendo che l’inesistenza o quantomeno la nullità dell’atto amministrativo è quando manchi un elemento di imputazione alla P.A., ovvero l’atto sia privo di sottoscrizione e ne impedisca comunque la individuazione dell’autore [88].

Non può, invece, parlarsi di nullità allorché si discuta del vizio di incompetenza afferente all’ambito di distribuzione delle competenze provvedimentali tra gli organi di uno stesso ente, oppure del vizio del procedimento e, perciò, delle modalità di esercizio del potere che fa capo all’Amministrazione e di cui questa si è avvalsa: in detti casi, infatti, poiché il vizio non attiene all’esistenza dell’atto finale, che rimane integro nei suoi elementi essenziali e costitutivi, ma alla conformità alla legge del complessivo comportamento tenuto dall’Autorità, trova applicazione il comma 1 dell’art. 21 octies [89], che disciplina gli effetti derivanti dalla mancata corrispondenza del provvedimento, dei suoi presupposti o dell’iter che l’ha preceduto, al relativo paradigma normativo.

In sostanza, le violazioni di norme attinenti allo svolgimento di poteri pubblici o di attribuzioni di competenza danno luogo ad annullabilità degli atti amministrativi che, diversamente dalla nullità, dev’essere fatta valere dall’interessato nel prescritto termine di decadenza.

6.b L’annullabilità del provvedimento: cenni.

Il primo comma dell’art. 21 octies conferma la tripartizione dei vizi di legittimità dell’atto amministrativo, in base alla quale la violazione delle norme sulla competenza configura il vizio di incompetenza, l’accertamento delle figure sintomatiche dell’eccesso di potere rivela un esercizio deviato del potere discrezionale, mentre la violazione di norme sul procedimento o sulla forma rientra nell’ambito più generale della violazione di legge.

Più in particolare, devono ritenersi norme sul procedimento tutte quelle relative al modus operandi dell’Amministrazione ed alla partecipazione procedimentale del destinatario del provvedimento finale, delle altre Amministrazioni interessate e dei soggetti indicati dall’art. 9 della L. n. 241/1990, mentre devono ritenersi norme sulla forma quelle relative ai requisiti formali degli atti endoprocedimentali e del provvedimento finale.

6.c La motivazione del provvedimento vincolato alla luce dell’art. 21 octies comma 2: integrazione nel corso del giudizio del corredo motivazionale dell’atto amministrativo impugnato.

La prima parte dell’art. 21 octies comma 2 si riferisce esplicitamente agli atti di natura vincolata e prevede che il vizio procedimentale o di forma non è causa di illegittimità se è evidente che l’Amministrazione non avrebbe potuto adottare un provvedimento di contenuto diverso [90].

La norma (al pari di quella enunciata nella seconda parte del citato comma 2 dell’art. 21 octies, che verrà esaminata più avanti) si risolve in un “precetto” rivolto al giudice, in quanto offre una serie di indicazioni da osservare nel corso del giudizio, al fine di disporre o meno l’annullamento: la nuova disposizione, infatti, non comporta alcuna eccezione alla qualificazione sostanziale del provvedimento non conforme a legge, che è e rimane valido, ma opera sul piano degli esiti processuali, in seguito ad una valutazione effettuata in concreto, e non in astratto, del singolo caso [91].

La prova che l’amministrazione è tenuta ad esibire per escludere l’illegittimità di un provvedimento emanato in assenza della previa comunicazione di avvio del procedimento all’interessato, deve essere tale da introdurre nel giudizio elementi di fatto, oggettivamente verificabili, idonei a dimostrare in concreto che in nessun altro modo si sarebbe potuto raggiungere lo scopo senza ledere la posizione del ricorrente [92].

Da qui la riconducibilità della previsione in commento alle norme di carattere processuale, di immediata applicazione ai giudizi pendenti [93].

Quanto agli aspetti contenutistici, l’innovativa formula di legge riduce il novero dei vizi invalidanti dell’atto amministrativo a quelli sostanziali (trattasi dei vizi che intaccano l’essenza del potere, come il travisamento del fatto, la falsità dei presupposti, la manifesta illogicità, la disparità di trattamento etc.), escludendo invece ogni patologica ricaduta dei vizi attinenti alla forma od a violazioni procedimentali.

Viene in tal modo recepita, sul piano finalistico, la teoria del “raggiungimento del risultato” (alis principio di conservazione), nel senso che il provvedimento inficiato dal vizio formale o procedimentale viene preservato dall’annullamento, in funzione dei principi di economia dei mezzi giuridici e di conservazione degli atti [94], allorché il contenuto dispositivo dell’atto “non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”, circostanza che priva il ricorrente dell’interesse a coltivare un giudizio da cui non potrebbe ricavare alcuna utilità concreta [95].

Sul piano applicativo, la norma in esame postula che il provvedimento impugnato, rivestendo natura vincolata, sia sottratto a margini di discrezionalità amministrativa [96]; inoltre, la P.A. deve essersi espressa negativamente, senza motivare o enunciando esclusivamente ragioni attinenti a profili diversi da quelli che avrebbero potuto giustificare il diniego, oppure sia incorsa in errores in procedendo [97].

In questi casi il giudice, essendo chiamato a verificare ictu oculi l’esistenza delle condizioni di legge richieste per l’accoglimento dell’istanza del privato, riscontro che dovrebbe essere effettuato dalla P.A. nella fase procedimentale di sua competenza, non si limita più a decidere, secondo la tradizionale visione del processo impugnatorio, della legittimità della determinazione amministrativa in relazione ai motivi di censura dedotti, ma estende la propria cognizione al fatto, all’intero rapporto pubblico ed alla sostanziale meritevolezza di tutela delle posizioni giuridiche.

Logico corollario dell’intervenuta trasformazione del giudizio amministrativo da giudizio sull’atto a giudizio sul rapporto, è che l’Amministrazione intimata può rappresentare in corso di causa gli elementi utili per evidenziare la “palese infondatezza” della pretesa del ricorrente.

Ciò induce, in ultima analisi, al definitivo superamento del divieto di motivazione postuma (ovvero del divieto di interventi di sanatoria in pendenza di giudizio [98]), al fine di consentire all’Amministrazione di esercitare un ampio jus poenitendi in autotutela, anche considerato che il nuovo provvedimento, adottato per emendare il vizio dell’atto, può essere impugnato, in seno allo stesso giudizio, nella via dei motivi aggiunti [99].

Attingendo alla casistica giurisprudenziale, è stato precisato che non può pronunciarsi l’annullamento del diniego del permesso di costruire per difetto di motivazione, qualora dall’esame degli atti di causa sia palese che la P.A. non avrebbe mai potuto assentire il progetto edilizio, in quanto la destinazione che si vorrebbe attribuire al manufatto da realizzare non è compatibile con le destinazioni previste nella zona dallo strumento urbanistico [100].

Con riferimento ad altra fattispecie, nella quale un partecipante ad una gara per l’affidamento di un pubblico servizio aveva impugnato l’aggiudicazione disposta in favore di altro concorrente, deducendo la violazione del principio generale secondo cui, nelle gare pubbliche, devono essere prima attribuiti i punteggi relativi alla valutazione tecnica delle offerte e solo dopo si può passare a conoscere e valutare l’aspetto economico delle offerte, [101] il giudice amministrativo investito della questione[102] ha affermato che detto principio non può essere utilmente invocato nel caso in cui il capitolato di gara, nello stabilire i parametri per l’attribuzione dei punteggi relativi agli aspetti tecnici delle offerte, non lasci apprezzabili margini di discrezionalità alla Commissione. In detta eventualità, infatti, la violazione procedimentale richiamata non può in concreto produrre vizi, attesa la natura vincolata del potere della Commissione, circostanza che depone nel senso dell’impossibilità di accordare all’interesse del ricorrente una tutela costitutiva di annullamento, secondo quanto disposto dalla prima parte del comma 2 dell’art. 21 octies[103].

6.d La comunicazione di avvio del procedimento nell’art. 21 octies comma 1: irrilevanza dell’adempimento formale; inutilità dell’apporto partecipativo del privato ed onere della prova a carico della P.A.

La seconda parte del comma 2 dell’art. 21 octies, che, riferendosi anche agli atti discrezionali, è di portata più ampia della prima, ancorché circoscritta ad un solo e ben preciso vizio procedimentale, disciplina le conseguenze dell’omissione dell’avvio del procedimento, che resta regolato dall’art. 7, stabilendo che detto vizio non è causa di annullamento dell’atto se l’Amministrazione dimostra in giudizio che non avrebbe potuto determinarsi diversamente.

La norma, in ossequio ad una visione sostanzialistica e non meramente formale, recepisce il principio, di origine giurisprudenziale, secondo cui l’omessa comunicazione dell’avvio dell’iter esige, ai fini annullatori, la prova della rilevanza causale dell’apporto partecipativo del soggetto interessato sul contenuto del provvedimento finale, nel senso che il destinatario dell’atto conclusivo, qualora fosse stato in grado di partecipare al procedimento che lo riguarda, avrebbe potuto influirvi a proprio vantaggio, introducendo utili elementi di fatto e di diritto.

Rispetto al pregresso orientamento della giurisprudenza, però, viene invertito l’onere della prova, in quanto non spetta all’interessato far constare elementi idonei ad un’esatta valutazione sulla rilevanza del provvedimento adottato ed eventualmente far recedere l’Amministrazione dal provvedere, ma grava sull’Amministrazione dimostrare che, anche in caso di partecipazione del privato, non avrebbe potuto assumere un provvedimento con contenuto diverso da quello in concreto adottato, poiché l’eventuale contributo offerto dall’interessato non avrebbe inciso sull’esito del procedimento.

L’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, per le ragioni sopra enunciate non tollera interpretazioni restrittive, salvo i casi eccezionali fondati su presupposti verificabili in modo univoco ed incontestabile, e persino nei procedimenti vincolati, allorquando gli elementi di fatto funzionali all’adozione del provvedimento conclusivo richiedono comunque un accertamento, la P.A. ha l’obbligo di garantire il contraddittorio [104].

La disposizione in esame, ritenuta inapplicabile nell’ipotesi in cui l’Amministrazione non si sia costituita in giudizio (non potendosi in tal caso dimostrare che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato [105]), è stata interpretata dalla giurisprudenza in modo rigoroso e restrittivo per non correre il rischio, in presenza di un’obiettiva violazione di legge, di limitare il diritto di azione del cittadino [106].

Di conseguenza, in conformità ai principi costituzionali di buon andamento, di conservazione dei valori giuridici e di ragionevolezza, l’art. 21 octies (comma 2 seconda parte) è stato inteso nel senso che l’onere della prova dev’essere assolto dalla P.A. con modalità tali da poter essere giudicate sufficienti, tenuto conto degli elementi presi in considerazione nell’istruttoria.

Più precisamente, la prova che la P.A. è tenuta a fornire dev’essere tale da introdurre nel giudizio elementi di fatto, prevalentemente di natura tecnica ed oggettivamente verificabili, idonei a dimostrare in concreto che in nessun altro modo, se non lesivo per la posizione del ricorrente, si sarebbe potuto provvedere [107].

Ed è per queste ragioni sostanziali, considerato che le norme in materia di partecipazione non devono essere applicate meccanicamente ed a fini meramente strumentali [108], che il ricorrente deve farsi carico di indicare in corso di giudizio quali le osservazioni che avrebbe potuto presentare e avrebbe presentato, tali da permettere una verifica di loro astratta idoneità ad incidere sull’azione amministrativa nella fase di suo svolgimento e di sua attuazione [109], e solo qualora tali elementi non siano rivenibili, né nel ricorso in primo grado, né nel ricorso in appello, rimane pienamente giustificata, su un piano logico argomentativo, la determinazione dell’amministrazione procedente di procedere al ritiro dell’atto [110].

Deve, pertanto, escludersi la sussistenza di tale prova quando gli elementi che il privato intenda introdurre nel procedimento (e che abbia indicato nel giudizio) non siano facilmente risolvibili se non con valutazioni di merito precluse al giudice amministrativo[111], escludendosi altresì la sussistenza della prova di cui all’art. 21 octies, secondo comma, nel caso in cui la difesa dell’amministrazione sia basata su elementi ulteriori rispetto a quelli emersi in istruttoria che, di fatto, impongono al giudice di compiere delle valutazioni di merito, pena un ancor più marcato squilibrio della posizione del cittadino nei confronti dell’amministrazione [112].

Attingendo, ancora una volta, alle esemplificazioni tratte dalla casistica giurisprudenziale, è stato puntualizzato che l’omessa comunicazione di avvio del procedimento non inficia la validità dell’ingiunzione di sgombero di un’area demaniale marittima abusivamente occupata, attesa la natura dovuta e vincolata del provvedimento impugnato: in presenza di un’abusiva occupazione di aree demaniali, infatti, la P.A. è tenuta a disporre lo sgombero. Con riferimento al caso di specie, pertanto, non potendo l’atto sanzionatorio avere un contenuto diverso da quello adottato anche in caso di partecipazione dell’interessato al relativo procedimento, la violazione dell’art. 7 della legge n. 241/1990 non risultava idonea a determinarne l’annullamento, ai sensi dell’art. 21 octies [113].

In altro caso, nel quale oggetto dell’impugnazione era la revoca della concessione di suolo pubblico per la realizzazione di un impianto di distribuzione di carburante, non preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento e motivata in ragione della potenziale idoneità dell’impianto di determinare intralcio al traffico, la P.A. resistente aveva fornito in giudizio la prova, tramite produzione di documenti fotografici, dell’effettiva potenzialità dell’impianto stesso, per come dislocato, ad intralciare il traffico, in violazione del Codice della Strada. Atteso il contenuto della prova fornita in giudizio dalla P.A, il giudice adito ha, quindi, escluso l’annullabilità della revoca, anche se di natura discrezionale, per omessa comunicazione di avvio del procedimento [114].

In una diversa fattispecie, incentrata sulla contestazione della legittimità di un procedimento di proroga dell’espropriazione per la realizzazione di un elettrodotto, si è ritenuto che la partecipazione dell’interessato non potesse influire sul contenuto del provvedimento finale, in quanto il ricorrente non aveva indicato quale tipo di osservazioni intendeva proporre nell’iter amministrativo di proroga; inoltre, ogni questione relativa al tracciato dell’elettrodotto risultava ormai preclusa dalla statuizione definitiva di rigetto del ricorso contro gli iniziali atti della procedura, con la quale erano stati ritenuti infondati i motivi relativi alla partecipazione, al difetto d’istruttoria e di motivazione in ordine alla scelta del tracciato e alla questione dell’esposizione ai campi elettromagnetici [115].

6.e Considerazioni conclusive sul nuovo regime di invalidità degli atti amministrativi delineato nel comma 2 dell’art. 21 octies.

Il comma 2 dell’art. 21 octies della L. n. 241 del 1990 rispecchia un’ottica di tendenziale approccio finalistico al sindacato sui vizi formali e procedurali, secondo cui l’annullamento giurisdizionale dell’atto amministrativo non è ipotizzabile allorquando risulti “palese” o sia possibile “provare” la non incidenza di detti vizi sulla sostanza del provvedimento.

Ne discende che, ai fini del giudizio annullatorio, circoscritto agli evidenziati profili di illegittimità, non rileva più il dato sostanziale del riscontro della difformità tra l’atto amministrativo e le regole che ne disciplinano l’emanazione, tra la fattispecie concreta ed il paradigma astratto delineato dalle norme di riferimento, occorrendo invece l’apprezzamento giudiziale sulla singola vicenda in contestazione, condotto nel rispetto delle sfere di competenza attribuite a poteri diversi dello Stato, al fine di stabilire l’effettiva incidenza del vizio, formale o procedimentale, sulla validità del provvedimento impugnato.

Da qui la caratterizzazione processuale delle disposizioni contenute nel 2 comma dell’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990 e la conseguente immediata applicabilità ai giudizi pendenti [116].

Trattandosi, inoltre, di norme dettate in materia di giustizia amministrativa, esse rientrano nella potestà legislativa statale esclusiva, ai sensi dell’art. 117, comma 1, lett. L, Cost., e sono estensivamente applicabili a tutte le Amministrazioni Pubbliche in forza del disposto di cui all’art. 29 comma 1 della legge n. 241 del 1990.

Ciò premesso, la disposizione esaminata, nel suo complesso, non può sottrarsi a rilievi critici.

Innanzitutto, i singoli precetti in cui essa si articola finiscono per privare di tutela giurisdizionale i c.d. “interessi procedimentali”, la giustiziabilità dei quali (e quindi dei procedimenti illegittimi) consentiva, invece, la piena tutela del cittadino, perseguendo, indirettamente, anche l’interesse pubblico al corretto esercizio del potere da parte della P.A..

Ciò produce inevitabili riflessi sulla teorica del “contatto amministrativo qualificato”, che inquadra nell’ambito contrattuale la responsabilità della P.A. da attività provvedimentale illegittima, ricostruendola in termini di violazione delle regole procedimentali poste a presidio dell’affidamento del privato a prescindere dalla spettanza del bene della vita e, quindi, della natura vincolata o discrezionale dell’attività amministrativa da cui dipende la conservazione o l’acquisizione di quel bene: è, infatti, evidente che se la violazione della regola procedimentale non si atteggia più, in certi casi, a vizio di legittimità dell’atto conclusivo, non potrà neppure configurarsi quell’inadempimento degli obblighi sorti dal contatto qualificato, che è il fondamento della responsabilità risarcitoria della P.A.

Sotto ulteriore profilo, risulta svuotata la portata innovativa dell’istituto dell’accesso partecipativo, definito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (15 settembre 1999, n. 14) come elemento di riqualificazione di grande rilievo civile, escludendosi, ancorché all’esito di una valutazione “caso per caso”, l’efficacia invalidante del vizio di violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990 e, quindi, determinandosi una deminutio di tutela processuale in danno del privato, non sufficientemente compensata dall’introduzione del c.d. “preavviso di diniego” di cui all’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990.

La prospettiva che complessivamente emerge è, dunque, quella di un diniego sostanziale di giustizia, mosso dall’intento di limitare la tutela giurisdizionale degli interessi legittimi a particolari mezzi di impugnazione, volti esclusivamente a contestare l’essenza del potere autoritativo e non già, anche, la forma e le modalità della sua estrinsecazione [117].

Meglio sarebbe rileggere la conclusione del fine (interesse pubblico), eliminare cioè la corruzione del sistema con l’eliminazione di una moltitudine di adempimenti del tutto irrilevanti allo scopo procedimentale [118], rendere cioè semplice e chiara la lettura della norma, un’architettura normativa che si regola compiutamente sui diritti di libertà e di democrazia per il cittadino, alimentando un’azione amministrativa partecipata se non rispettosa della forma (a vantaggio della speditezza) a tutela e presidio della legalità sostanziale, che deve essere sinonimo di controllabilità: non con la motivazione (istruttoria) postuma è assicurata la partecipazione rectius trasparenza, ma attraverso il contraddittorio, il giusto procedimento, la buona fede, la correttezza, il legittimo affidamento, tutti principi che possono implodere se ammettessimo una sanatoria ex post in una sede diversa (quella giurisdizionale, sia pure ad opera di una parte terza): “v’è infatti un genere di ingiusta servitù. Quando quelli che potrebbero essere liberi sono in potere di altri [119].

 

horizontal rule

(*) Avvocato del Foro di Padova.

(**) Direttore – Segretario Generale del Comune di Vigonza.

[1] Più significativamente una legge sul procedimento amministrativo “serve alla salvaguardia dello Stato di diritto nell’esecuzione della legge, all’emanazione concreta e razionale di decisioni materialmente corrette da parte della p.a., all’ordinata partecipazione di coloro che vengono colpiti dall’azione amministrativa, alla preparazione delle decisioni”, recependo i più evoluti orientamenti giurisprudenziali, Relazione della I Commissione Permanente Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni, Relatore Bressa, 6 novembre 2003.

[2] Tuttavia è stato chiarito che la nuova formulazione della norma, pure avendo precisato che il rito speciale non possa più intendersi come unicamente rivolto a verificare l’illegittimità dell’inadempimento in correlazione con la sussistenza di un obbligo a provvedere, non ha rimosso i limiti ai poteri cognitori propri del giudice amministrativo, attesa la preclusione per questi di ingerirsi in considerazioni circa l’an ed il quomodo del chiesto provvedimento, ove l’inerzia riguardi l’esercizio di potere discrezionale della P.A., T.A.R. Lazio – Roma, sez. I bis, 24 gennaio 2007, n. 473; T.A.R. Abruzzo – Pescara, 10 gennaio 2007, n.45; T.A.R. Calabria – Catanzaro, sez.I, 21 luglio 2005, n.1356.

[3] Rintracciando quella peculiare posizione del giudice al “servizio” della Comunità nell’accezione più elevata dell’espressione: “un servizio al quale si chiede, in primo luogo, funzionalità ed efficienza ma che non va inteso nel senso “aziendalistico” del termine: le parti nei nostri processi sono ben più che degli “utenti”, sono titolari di un diritto costituzionale, consacrato nell’articolo 24 e nel principio del “giusto processo” di cui al rinnovato articolo 111 della Costituzione”. DE LISE, Inaugurazione dell’anno giudiziario del T.A.R. Lazio, Roma, 1° marzo 2007, in www.lexItalia.it, 2007, n.3.

[4] In effetti, si tratta di una risposta che trova una coerenza al sistema legislativo in caso di inerzia dell’amministrazione e contempla la possibilità di una diretta determinazione ad opera del giudice del risultato della funzione con l’accertamento della fondatezza della pretesa, TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2006, pag.216. Vedi, SALA, Procedimento e processo nella nuova legge, Diritto processuale amministrativo, 2006, n. 3, pag. 572 ss.

[5] Si ricorda che l’art. 9 della Legge Costituzionale n. 3 del 2001, abrogando il regime dei controlli sugli atti degli enti locali che si fondavano sull’art. 130 Cost. senza prevedere alcuna disciplina intermedia di attuazione, ha determinato l’automatica caducazione di tutte le norme che poggiavano su tale fonte di rango costituzionale, in primis l’art. 126 del D.Lgs. n. 267 del 2000: il nuovo assetto dei rapporti Stato, Regioni ed Enti Locali, infatti, esclude, sotto l’aspetto logico-giuridico, la necessità di controlli contrastanti con la rafforzata autonomia.

[6] Si pensi all’obbligo di fare, concretamente esigibile solo a seguito della comunicazione dell’atto amministrativo che lo impone (provvedimento contingibile ed urgente, diffida che fissi un termine per un comportamento, etc.).

[7] Cons. Stato, Sez. IV, 30 novembre 1992, n. 990; Cons. Stato, Sez. IV, 12 marzo 1992, n. 276; Cons. Stato, Sez. VI, 20 maggio 2002, n. 2725.

[8] Cons. Stato, Sez. VI, 20 maggio 2002, n. 2725, cit.

[9] Cass. Civ., Sez. I, 19 febbraio 1999, n. 1387.

[10] In effetti, in presenza di un procedimento che coinvolga più soggetti diversi, vedi l’espropriazioni, risulta applicabile l’art. 8, comma 3 della legge n. 241 del 1990, secondo cui “qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l’Amministrazione provvede a rendere noti gli elementi di cui al comma 2 mediante forme di pubblicità idonee di volta in volta stabilite dall’Amministrazione medesima”, norma di chiusura dell’ordinamento che - in presenza di ipotesi marginali di procedimenti di massa - ove sussista un pericolo concreto di pregiudizio all’interesse pubblico, rende possibile lo svolgimento sollecito del procedimento indipendentemente dalla comunicazione personale, C.G.A, sez. Giurisdizionale, 17 ottobre 2005, n. 677.

[11] Non è superfluo rilevare che questo non significa che la P.A. ha l’obbligo di effettuare la comunicazione dei propri provvedimenti nelle forme proprie della notificazione degli atti giudiziari, a meno che non vi sia un’espressa previsione legislativa in tal senso, cfr. C.G.A., 29 novembre 1999, n. 609 e Cons. Stato, Sez. V, 15 aprile 2004, n. 2156, ai sensi dell’art. 3 R.D. n. 642/1907, infatti, la notificazione a mezzo ufficiale giudiziario o messo comunale abilitato, nelle forme previste per gli atti giudiziari, costituisce solo uno dei possibili modi di trasmissione degli atti della pubblica amministrazione ai soggetti interessati. In difetto di una espressa previsione legislativa di segno contrario, deve ritenersi che la comunicazione di un provvedimento amministrativo tramite plico raccomandato, di per sé idonea a rendere pienamente edotti i destinatari del provvedimento, possa essere effettuata sia per il tramite dell’amministrazione postale, C.G.A., sez. giurisd., 26 maggio 2006, n.272. Cfr. G. VIRGA, Le modifiche ed integrazioni alla legge n. 241 del 1990 recentemente approvate. Osservazioni derivanti da una prima lettura, in www.lexItalia.it.

[12] In questo senso, ANASTASI, L’efficacia del provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati, in www.giustizia-amministativa.it., ove si rileva come la teoria di Santi Romani si possa considerare superata atteso che non è più possibile affermare che “nell’atto recettizio la misura di conoscenza (comunicazione, notifica, pubblicazione etc.) è parte integrante dell’atto” ma invece è da sostenere che “è forma essenziale dell’atto. Negli altri atti la comunicazione è autonoma rispetto all’atto che ne costituisce l’oggetto… Quindi, se diciamo che la comunicazione (del provvedimento principale restrittivo ai sensi dell’art. 21 bis) fa parte della fattispecie costitutiva - come votazione e proclamazione negli atti collegiali, consenso dei nubendi e dichiarazione dell’ufficiale di stato civile nel matrimonio - allora l’atto restrittivo non si produce, non è cioè completo in tutti i suoi elementi fino a che non è comunicato”.

[13] T.A.R. Puglia Bari, sez. II, 29 febbraio 1996, n.64.

[14] Cass. Civ., sez.II, 4 luglio – 25 settembre 2006, n.29784. Cfr. CORRADINO, Termini, efficacia dei provvedimenti e silenzio dell’Amministrazione nelle “riforme” della legge n. 241/1990, in www.giustizia-amministrativa.it.

[15] C.G.A., sez. giurisd., 29 settembre 2005, n. 635. Sul punto, certa giurisprudenza annota che la circostanza che il provvedimento amministrativo venga notificato al destinatario su istanza di privati e non dall’amministrazione competente impedisce di ritenere acquisita la effettiva e piena conoscenza del suddetto provvedimento, ritenendo che né la notifica su istanza di privati effettuata dall’ufficiale giudiziario è idonea ad integrare la certezza legale della fonte che ha emanato l’atto, con la conseguenza diretta che la notifica effettuata con tali modalità non è idonea a far decorrere il termine decadenziale di impugnazione dell’atto amministrativo, mancando una connessione causale con il titolare del provvedimento e lo scopo recettizio, T.A.R. Campania – Napoli, sez. V, 6 ottobre 2005, n.16134. Vedi anche T.A.R. Calabria - Reggio Calabria, 28 agosto 2006, n. 1400; CEGLIO, La piena conoscenza e la decorrenza del termine per la proposizione del ricorso, in Giornale di diritto amministrativo, 2003, n.5, pagg. 495 e ss.

[16] Con riferimento al decreto di esproprio già l’art. 23 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (T.U. in materia di espropriazioni per pubblica utilità), nel disporre che il passaggio del diritto di proprietà (o di altro diritto) si produce “sotto la condizione sospensiva che il decreto sia successivamente notificato ed eseguito”, assegnava a tale provvedimento carattere recettizio, pur con la precisazione, evincibile dal tenore della norma, che la comunicazione dell’atto ablatorio è elemento di una fattispecie complessa a formazione progressiva, destinata a perfezionarsi, quanto al prodursi dell’effetto traslativo, con l’esecuzione materiale dell’atto conclusivo della procedura.

[17] T.A.R. Basilicata – Potenza, 2 agosto 2005, n. 740.

[18] T.A.R. Abruzzo – Pescara, 17 ottobre 2005, n. 571.

[19] Sicché, “non possiamo più affermare che gli atti recettizi sono una categoria residuale limitata agli atti che necessitano della cooperazione del destinatario per produrre i propri effetti”, FUOCO, Riflessioni sugli atti recettizi dopo l’entrata in vigore della legge n. 15/2005, in www.LexItalia.it, 2005, n.5.

[20] I provvedimenti restrittivi ricompresi nella fattispecie sommariamente possono essere catalogati nelle seguenti tipologie: a) ordini; b) atti traslativi di diritti; c) atti estintivi (confisca o pronuncia decadenza diritto; d) sanzioni (ex legge 689/1981 ); e) vincoli.

[21] Deve osservarsi, in proposito, che il decorso del termine stabilito dalla legge non comporta la perdita del potere di pronunciarsi da parte della P.A. originariamente investita della domanda ed istituzionalmente deputata a provvedere sulla stessa allorché, in accoglimento del ricorso contro il silenzio-rifiuto, sia intervenuta la nomina del commissario ad acta da parte del giudice: ciò si desume dall’art. 21 bis della L. n. 1034 del 1971, introdotto dall’art. 2 della L. n. 205 del 2000, norma che ha riconosciuto alla P.A. il potere di provvedere fino all’insediamento del commissario nominato dal giudice nel processo instaurato nei confronti dell’inerzia serbata dalla P.A.. (ex multis: T.A.R. Lazio, Sez. II bis, 26 giugno 2002, n. 5883).

[22] La regola della recettizietà dei provvedimenti non favorevoli enunciata nel nuovo art. 21 bis della L. n. 241/1990 non sembra suscettibile influire sul principio tempus regit actum, che la giurisprudenza è solita riferire alla fase di perfezionamento del provvedimento e non a quello della fase integrativa dell’efficacia, costituita dalla notifica all’interessato, con la conseguenza che l’Amministrazione deve tener conto delle sole disposizioni legislative vigenti al momento dell’emanazione (T.A.R. Piemonte, sez.II, 28 luglio 2005, n. 2657).

[23] È da dire che la giurisprudenza sul tema dell’esecutorità e dei connessi riflessi attribuibili solo in presenza di una fonte primaria legittimante, in ossequio alla riserva di legge di cui all’art. 23 della Costituzione, che può imporre tale carattere al provvedimento, atteso il divieto che le prestazioni personali o patrimoniali siano imposte direttamente da una fonte secondaria, non esclude che il precetto legislativo possa essere da detta fonte integrato, essendo anche ammissibile il rinvio a provvedimenti amministrativi diretti a determinare elementi o presupposti della prestazione, purchè risultino assicurate, mediante la previsione di adeguati parametri, le garanzie in grado di escludere un uso arbitrario della discrezionalità amministrativa, Cass., Sez. un., 10 settembre 2004, n.18262.

[24] Cfr. ad es. l’art. 14 del D.Lgs. n. 22 del 1997, che, dopo aver posto, al comma 1, il divieto di abbandono e di deposito incontrollato di rifiuti sul suolo, fa obbligo, al comma 3, all’autore dell’abbandono, in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, di procedere alla rimozione dei rifiuti, nonché al ripristino dello stato dei luoghi; alla luce del medesimo comma, la rimozione dei rifiuti abbandonati è disposta con ordinanza sindacale che indica le opere a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso infruttuosamente il quale il Comune procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate, vedi nel marito Corte di Cassazione, sez.III pen., sentenza n.137 del 9 gennaio 2007. Cfr. ancora l’art. 33 comma 1 del D.P.R. n. 380 del 2001, il quale dispone che gli interventi di ristrutturazione edilizia realizzati in assenza di permesso od in totale difformità da esso sono rimossi ovvero demoliti entro il congruo termine stabilito dal dirigente o dal responsabile del competente ufficio comunale con propria ordinanza, decorso il quale l’ordinanza stessa è eseguita a cura del Comune ed a spese dei responsabili dell’abuso.

[25] Per un’analisi, vedi SAITTA, Un abbozzo di codificazione per l’esecuzione amministrativa (note a margine dell’art. 21-ter della “nuova” 241), in www.giustamm.it., 2005, n.6.

[26]Si effettua mediante ruolo la riscossione coattiva delle entrate dello Stato, anche diverse dalle imposte sui redditi, e di quelle degli altri enti pubblici, anche previdenziali, esclusi quelli economici”.

[27] Si rammenta che dopo la modifica introdotta dal D.Lgs. n. 51/1998 non è più necessario il visto di esecutività pretorile, per cui dopo la notifica dell’ingiunzione la P.A. può procedere direttamente all’esecuzione forzata.

[28] La natura discrezionale dell’annullamento d’ufficio implica, infatti, una ponderazione tra l’interesse alla rimozione dell’illegittimità e quello alla conservazione di un atto che medio tempore ha prodotto effetti e suscitato legittime aspettative. Dalla natura discrezionale dell’annullamento d’ufficio deriva, altresì, per costante orientamento giurisprudenziale, l’insussistenza dell’obbligo della P.A. di riesaminare i propri atti illegittimi, non solo in caso di autotutela spontanea, ma anche in presenza di apposite istanze di soggetti interessati, che acquistano valore esclusivamente sollecitatorio.

[29] T.A.R. Puglia – Bari, sez.II, 21 luglio 2006, n.2975. Infatti e del tutto in coerenza con quanto enunciato, per l’esercizio di un potere di autotutela in materia edilizia occorre una specifica motivazione sull’interesse pubblico solo ove le opere illegittimamente assentite siano ultimate da lungo tempo, mentre non occorre nel caso in cui l’annullamento intervenga a breve distanza di tempo dall’adozione dell’atto da ritirare, CGA, sez., giurisd., 27 ottobre 2006, n.588.

[30] Cons. Stato, Sez, V, 11 ottobre 2005, n. 5479.

[31] T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 3 giugno 2002 n. 3258; Cons. Stato, sez. V, 18 settembre 2003, n. 5309; sez. V, 4 aprile 2002, n. 1857; sez. IV, 23 gennaio 2002, n. 397; T.A.R. Veneto, sez. I, 5 ottobre 2001, n. 5983.

[32] Cons. Stato, sez.V, 24 agosto 2006, n.4961.

[33] Prima della riforma la giurisprudenza soleva attribuire al complesso delle regole dell’autotutela portata generale, in quanto manifestazioni tipiche del potere amministrativo direttamente connesse ai criteri costituzionali di imparzialità e di buon andamento della funzione pubblica (ex plurimis: Cons. Stato, Sez. V^, 3 febbraio 2000, n. 661; idem, 28 febbraio 2002, n. 1224).

[34] È qui evidente l’influsso esercitato dalla giurisprudenza comunitaria, secondo cui il principio di legittima aspettativa conduce a ritenere che una situazione di vantaggio, assicurata ad un privato da un atto specifico e concreto dell’Autorità amministrativa, non possa essere successivamente rimossa, salvo che non sia strettamente necessario per l’interesse pubblico (ex multis: Corte di Giustizia, 3 maggio 1978, causa 112/77, Topfer/Commissione.

[35] T.A.R. Campania, Napoli, Sez. IV, 1 aprile 2005, nell’applicare l’art. 21 nonies della L. n. 241 del 1990, ha ritenuto immune dalle dedotte censure l’impugnato diniego di annullamento d’ufficio di una concessione edilizia in quanto il Comune aveva fatto espresso riferimento “alla mancanza di un interesse pubblico ulteriore a quello connesso al mero ripristino della legalità violato e ha rilevato come viceversa dovesse darsi rilievo alla posizione ed all’interesse del privato concessionario anche in considerazione del fatto che, a seguito del rilascio della concessione edilizia, risultavano già eseguite gran parte delle opere assentite, tanto che per alcuni appartamenti era già stato sottoscritto un contratto preliminare di compravendita”. Stesse osservazioni quelle secondo le quali legittimamente una amministrazione comunale si determina a non annullare d’ufficio alcune concessioni edilizie a seguito del riscontro di una illegittimità, sia in ragione del tempo trascorso e dell’affidamento ingenerato nel titolare delle concessioni stesse sulla loro legittimità, sia in ragione dell’avanzato stato dei lavori, Cons. Stato, sez.IV, 31 ottobre 2006, n.6465, idem T.A.R. Abruzzo - L’Aquila, 24 luglio 2006, n.611; Cons. Stato, sez.V, 19 giugno 2006, n.3576.

[36] Cfr., sul principio, Cons. Stato, sez. V, n.661 del 2000; sez. IV, n.900 del 1998; T.A.R. Catanzaro, n.331 del 2005.

[37] T.AR. Lazio Roma, sez.I bis, 4 dicembre 2006, n.13597.

[38] La giurisdizione del G.A. non si esaurisce con il provvedimento di definitiva aggiudicazione, residuando in capo all’Amministrazione appaltante, anche nella fase successiva al predetto provvedimento, una serie di poteri autoritativi dei quali la revoca – annullamento dell’aggiudicazione stessa è l’esempio paradigmatico, T.A.R. Puglia - Lecce, sez.II, 10 aprile 2007, n.1564; T.A.R. Puglia - Bari sez.I 29 marzo 2007, n. 945; C.G.A., sez. giur., 13 febbraio 2007 n. 35; T.A.R. Lazio – Roma, sez. I bis, 11 luglio 2006, n.5766; Cons. Stato, sez.VI, 27 febbraio 2006, n.846.

[39] Cfr. T.A.R. Puglia – Bari, sez.I, 29 marzo 2007, n. 944; T.A.R. Lazio – Roma, sez. I bis, 23 ottobre 2006, n. 10900; sez. II ter, 18 luglio 2002, n. 6354; Cons. di Stato; sez.VI, 26 aprile 2005, n.1885. Altra questione è quella riferita al dovere di disporre la revoca della gara o il recesso negoziale in presenza di elementi ostativi all’aggiudicazione, come la presenza di una informativa prefettizia positiva in ordine alla esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, in questo caso non si può parlare di facoltà, bensì di obbligo di disporre la revoca dell’aggiudicazione o il recesso dal contratto, T.A.R. Calabria – Catanzaro, sez.II, 12 febbraio 2007, n. 36. Stesse considerazioni sulla legittimità dell’annullamento di una aggiudicazione adottato a seguito delle verifiche previste dall’art. 71 D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445 sulle autodichiarazioni (risultate false) rese dalla società aggiudicataria, T.A.R. Toscana, sez.II, 5 ottobre 2006, n.4212.

[40] T.A.R. Lazio – Roma, sez.I, 6 aprile 2007, n.3045.

[41] Cons. Stato, sez.VI, 4 dicembre 2006, n.7102. Vedi anche T.A.R. Piemonte, sez.II, 19 febbraio 2007, n. 706.

[42] T.A.R. Lazio – Roma, sez.III, 10 gennaio 2007, n. 76.

[43] T.A.R. Calabria - Reggio Calabria, 6 ottobre 2005, n. 1638, ex multis T.A.R. Lazio, sez. III, 25 marzo 2005, n. 2132; T.A.R. Campania, sez. I, 11 marzo 2004, n. 2929; T.A.R. Calabria, sez. I, 9 dicembre 2004, n. 2304; T.A.R. Lazio, sez. III, 5 dicembre 2003, n. 11966; T.A.R. Salerno, sez. I, 18 maggio 2004, n. 397;, Cons. Stato sez. V, 5 settembre 2002, n. 4460.

[44] Cons. Stato, Sez. VI, 30 ottobre 2000, n. 5817; idem, 15 ottobre 1999, n. 1413; Cons. Giust. Reg. Sic. 2 maggio 2000, n. 205.

[45] Questa linea interpretativa si allaccia ad alcuni consolidati principi giurisprudenziali, secondo i quali l’annullamento di ufficio di un provvedimento deve essere sorretto anche da autonome ed attuali ragioni di pubblico interesse solo quando esso incida su interessi che risultino consolidati, per il tempo trascorso dall’emanazione del provvedimento annullato e per l’affidamento sulla sua legittimità ingenerato nei suoi destinatari, in quanto atto proveniente dall’amministrazione pubblica, Cons. Stato, sez.V, 20 febbraio 2007, n. 919; 12 ottobre 2004, n. 6554; 9 maggio 2000, n. 26481; 29 aprile 2000, n. 2544; T.A.R. Campania – Napoli, sez.I, 28 febbraio 2007, n. 1285.

[46] T.A.R. Calabria – Catanzaro, sez.II, 24 maggio 2006, n.571.

[47] In presenza di un inquadramento illegittimo, non può ritenersi che l’annullamento intervenuto a circa due anni e sette mesi di distanza superi il “termine ragionevole” il cui rispetto è previsto dall’art. 21 novies della legge n. 241/90 quale presupposto per l’esercizio del potere di autotutela ivi disciplinato, dovendo precisare, annota il giudice, che in ogni caso, il provvedimento impugnato appare legittimo alla luce dell’art. 1, comma 136°, della legge n. 311/04 secondo cui, “al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche, può sempre essere disposto l’annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se l’esecuzione degli stessi sia ancora in corso”. Infatti, che la norma in questione non pone alcun limite di tempo per l’eliminazione dei provvedimenti che comportano indebite erogazioni di somme, T.A.R. Campania –Napoli, sez.V, 25 maggio 2006,n.7503.

 

[48] È, pertanto illegittimo per carenza dei presupposti di cui all’art. 21- quinquies, della legge 7 agosto 1990 n. 241, applicabile in materia ai sensi dell’art. 2, comma 3, del D. Lgs. 12.04.2006 n. 163, il provvedimento di revoca del verbale di aggiudicazione definitiva motivato con la “insufficiente disponibilità economica destinata ai lavori oggetto dell’appalto” e con “le nuove direttive aziendali le quali hanno escluso dall’ambito degli interventi appaltabili quelli di straordinaria manutenzione”, difatti dal tenore della motivazione emerge che non è stato affatto valutato il pregiudizio arrecato dall’atto di ritiro alla società destinataria dello stesso, né comunque appare congrua la rappresentazione dei presupposti che ne sono stati assunti a fondamento, T.A.R. Toscana – Firenze, sez.II, 15 gennaio 2007 n. 5.

[49] Cons. Stato, Sez. V, 10 agosto 2000, n. 4405.

[50] T.A.R. Puglia – Lecce, sez. I, 22 novembre 2005, n.5236. Il provvedimento va revocato non per mero “ius poenitendi”, ma è richiesto l’accertamento della mancata rispondenza all’interesse pubblico, per circostanze sopravvenute o comunque in base ad un diverso apprezzamento della situazione, che, secondo i principi generali in tema di motivazione degli atti della p.a., deve essere esternato nel testo provvedimento, mentre l’annullamento d’ufficio richiede l’indicazione dei vizi di legittimità dell’atto da annullare. La revoca si delinea, in questi termini, sorretta da specifiche ragioni di opportunità correlate all’esigenza che l’azione amministrativa sia maggiormente rispondente al pubblico interesse, T.A.R. Lazio, sez. II bis, 3 dicembre 2003, n. 11589.

[51]Ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l’indennizzo liquidato dall’amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico”, comma 8 – duodevicies, dell’articolo 13, del decreto legge n.7/2007 convertito in legge n.40/2007 (già comma 4, dell’articolo 12 del decreto – legge n.7/2007).

[52] Vedi, TESSARO, La nuova figura della revoca di atti amministrativi che incidono su rapporti negoziali (art. 12 Decreto Bersani bis), in La gazzetta degli enti locali, 6 febbraio 2007, ove precisa che “nella vicenda della revoca che pure ricada su situazioni negoziali la nuova norma prevede parimenti la possibilità di ripensamento dell’amministrazione, ma oltre a garantire un limitato indennizzo al privato parametrato al solo danno emergente, esprime e tiene conto sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico Nel primo caso, quindi – annullamento d’ufficio – il legislatore esprime chiaramente un’opzione di favore per la tutela dell’affidamento dei privati; nel secondo caso – revoca – ad essere tutelato maggiormente è l’affidamento dell’amministrazione, in funzione degli interessi coinvolti e dell’apporto causale del privato a tale valutazione rivelatasi non corretta”.

[53] Si pensi ad es. all’indisponibilità nel bilancio della somma necessaria al pagamento del servizio o dell’opera appaltati (ex multis: T.A.R. Lazio, Sez. I, 7 luglio 2003, n. 5991; Cons. Stato, sez. IV, 19 marzo 2003, n. 1457), laddove la mancanza di vigilanza e coordinamento sugli impegni economici che la P.A. viene assumendo quando la procedura di evidenza pubblica risulti già avviata (ed anche pervenuta all’aggiudicazione), rende inevitabile e, quindi, legittima, la rimozione di tutti gli atti della fase pubblicistica, in contrasto con le regole di correttezza e buona fede di cui all’art. 1337 Cod. Civ., con grave delusione delle aspettative della parte privata (Cons. Stato, Ad, Plen., 5 settembre 2005, n. 6). Oppure va dichiarato illegittimo e quindi deve essere annullato il provvedimento di aggiudicazione di un appalto pubblico qualora la stazione appaltante ometta di valutare nella procedura l’offerta di un concorrente, Cons. Stato, sez.IV, 31 ottobre 2006, n.6456. cfr. Cons. Stato, sez. V, sentenza del 3 ottobre 2005 n. 5251.

[54] La soluzione va posta in primis attraverso una interpretazione non strettamente letterale della norma, attribuendo alla locuzione “determinazione” un valore non limitato alla mera quantificazione dell’indennizzo ma esteso alle valutazioni che l’amministrazione compie in sede di procedimento di revoca, poi riconoscendo che la determinazione dell’indennizzo diventa uno degli elementi attraverso la P.A. effettua quella ponderazione di interessi che sta alla base della decisione di revocare o meno il provvedimento originario, Così, LIGUGNANA, Vecchie e nuove questioni in tema di revoca del provvedimento amministrativo, in www.giustamm.it, 2006, n.16.

[55] Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 5 settembre 2005, n. 6, cit.

[56] Cons. Stato, Sez. V, 27 settembre 2004, n. 6291

[57] Il recesso anticipato può anche riguardare un autonomo contratto di durata che la P.A. abbia stipulato iure privatorum. L’esercizio di questo diritto potestativo di scioglimento ad nutum, che il codice inesattamente qualifica come recesso, non è ancorato alla prova delle circostanze o di fatti sopraggiunti né comunque deve essere motivato o giustificato o accettato dall’altra parte, e proprio perché trattasi di atto recettizio, esso si perfeziona non appena l’esercizio di tale diritto sia portato a conoscenza dell’interessato (appaltatore in genere).

[58] Cons. Stato, Sez. V, 13 marzo 2000, n. 1327.

[59] Vedi, T.A.R. Marche - Ancona, sez.I, 10 novembre 2006, n. 1146.

[60] Cfr. artt. 345 e 340 L. n. 1848 del 1865, All. F; art. 122 del D.P.R. n. 554 del 1999.

[61] Cfr. art. 23 comma VII°, L. n. 1034 del 1971; Cons. Stato, Sez. V, 25 gennaio 2003, n. 360.

[62] La convalida costituisce la sanatoria di un atto adottato da un organo incompetente, da parte dell’ organo competente, ed espressione del generale potere di autotutela della Pubblica amministrazione che può intervenire in qualsiasi momento, anche in pendenza di ricorso giurisdizionale, T.A.R. Marche 26 maggio 2001 n. 731, rilevando che per quest’ultima ipotesi l’autorità finirebbe con l’eludere le garanzie che sono predisposte a tutela del cittadino leso dal provvedimento e frustrerebbe l’interesse del ricorrente ad ottenere una decisione di annullamento del provvedimento viziato, Cons. Stato, sez. IV, 21 febbraio 1964, n. 73; sez. V, 18 dicembre 1987, n. 792; sez. V, 25 maggio 1987, n. 336. Tuttavia, ora la convalida delineata dall’art. 21 nonies secondo comma, diviene il pendant dell’annullamento d’ufficio ex art. 21 nonies, primo comma: 1) sotto il profilo dei vizi sanabili, essa, infatti, ora può riguardare tutti i vizi di legittimità, e non solo il caso di atto affetto da vizio di incompetenza relativa (cfr. art. 6 della legge 18 marzo 1968, n. 249), dunque anche quelli di violazione di legge ed eccesso di potere. La convalida in via di autotutela esplica effetti nei confronti di tutti i soggetti interessati a far valere i vizi oggetto di emenda. Vedi, DI BENEDETTO, Diritto amministrativo, Giurisprudenza e casi pratici, Rimini, 2007, pagg. 494 ss.

[63] Cfr. art. 6 della L. n. 249 del 1968.

[64] Cons. Stato, Sez. IV, 21 febbraio 1964, n. 73; Cons. Stato, Sez. V, 30 aprile 1968, n. 497; Cons. Stato, Sez. V, 25 maggio 1987, n. 792.

[65] Cons. Stato, Sez. V, 22 giugno 1996, n. 789; Cons. Stato, Sez. V, 26 giugno 1998, n. 991.

[66] In sostanza “l’esercizio del potere di convalida spettante all’organo competente, di cui dall’art. 6, L. 18 marzo 1968 n. 249, sana con efficacia retroattiva l’atto viziato da incompetenza relativa, ancorché quest’ultimo sia oggetto di ricorso giurisdizionale pendente, ma fino a quando non ne sia intervenuto l’annullamento”, Cons. Stato, sez. IV, 28 febbraio 2005, n.739.

[67] T.A.R. Sardegna, 17 gennaio 2004, n.15.

[68] T.A.R. Umbria, 3 settembre 2001, n.451, idem T.A.R. Lazio Latina, 10 settembre 2003, n.691.

[69] T.A.R. Lazio, sez. II, 2 ottobre 1998, n.1553.

[70] MATTARELLA, L’effetto di sanatoria, in Trattato di Diritto Amministrativo, a cura di CASSESE, Milano, 2003, Tomo I, pag. 939.

[71] Cfr. T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. II, 14 febbraio 2002, n.194.

[72] Cons. Stato, sez. IV, 17 giugno 2003, n.3448.

[73] Tale orientamento trova conferma dalla più accreditata dottrina, VIRGA, Le modifiche ed integrazioni alla legge n. 241 del 1990 recentemente approvate. Osservazioni derivanti da una prima lettura, in www.LexItalia.it., 2005, n.1, quando sostiene che il secondo comma dell’articolo 21 nonies presenta condizioni di vero interesse, “e suscettibile di estesa applicazione… secondo cui è ammessa la convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole”. Orientamento confermato da CERULLI IRELLI, Osservazioni generali sulla legge di modifica della l. n. 241/90 – 5. puntata, in www.giustamm.it., quando ribadisce che la convalida del provvedimento annullabile è un istituto generale “previsto dal nostro ordinamento positivo come quello che, a fronte di vizi a carattere non sostanziale, può sanare una situazione di invalidità. Anche la convalida come l’annullamento, come la revoca, è provvedimento discrezionale e perciò per il suo esercizio occorre la sussistenza di ragioni di interesse pubblico. E anche per la convalida, secondo la prospettiva sopra indicata del principio della certezza del diritto, la legge prevede che essa sia adottata entro un termine ragionevole”. A rigore tale esercizio del potere di conservazione dei valori giuridici, attraverso l’atto di convalida, era affermato dalla dottrina (SANDULLI A.M., Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989, pag.709) quando asseriva che “la convalida (della quale l’a. 6 l. 18.3.1968, n.249 ammette l’intervento anche in pendenza di giudizio) consiste in una dichiarazione espressamente diretta a eliminare il vizio dell’atto invalido allorché ciò sia in potere della stessa autorità competente all’emanazione dell’atto… Il fenomeno può verificarsi nel caso degli atti viziati per incompetenza, per difetti formali (p.es. mancanza della motivazione), di procedura (p.es. omissione degli accertamenti preliminari necessari), o di contenuto (p.es. inserzione di una condizione illegittima)”. L’ istituto della convalida è, anzi, considerato principio di ordine generale, e quindi applicabile anche agli atti degli enti locali appartenenti a regioni a statuto autonomo, senza che occorra, ai fini della sua applicazione una espressa previsione normativa, T.A.R. Trentino - A. Adige Trento, 13 maggio 1997, n.111.

[74] Cons. Stato, sez. IV, 9 aprile 1999, n. 597.

[75] A titolo di illustrazione dei principi esposti nel testo si consideri, ad esempio, la deroga al divieto, sancito dall’art. 48 comma 1 della Legge Regionale Veneta n. 11 del 2004, di adottare varianti allo strumento urbanistico generale fino all’approvazione del primo piano di assetto del territorio, deroga introdotta con L.R.Ven. n. 20 del 2004 limitatamente alle varianti parziali semplificate ex art. 50 (commi 3, 4 e 9) della L.R.V. n. 61/1985 e temporalmente limitata al 28.2.2005: qualora sia intervenuta una deliberazione consiliare di adozione di una variante urbanistica del tipo consentito in pendenza del regime derogatorio, ma affetta da vizi procedimentali (ad es. per violazione delle prescrizioni regolamentari in materia di convocazione delle sedute consiliari, oppure per carenza del quorum funzionale o strutturale) e tali vizi siano stati rilevati dal giudice amministrativo in sede di delibazione incidentale sull’istanza di sospensione di esecutività dell’atto deliberativo, quest’ultimo potrebbe essere convalidato ancorché sia decorso il termine perentorio per la sua emanazione, dovendosi ritenere che nessun impedimento possa frapporsi alla sanatoria né dalla pendenza del ricorso giurisdizionale, né dalla circostanza che l’atto da sanare sia stato sospeso in sede incidentale, stante la retroattività che assiste l’atto di convalida, da cui consegue l’imputazione degli effetti giuridici all’atto convalidato.

[76] T.A.R. Abruzzo, sez. Pescara, 3 marzo 2005, n. 92.

[77] Cons. Stato, sez. V, 16 marzo 2005, n. 10679.

[78] Cfr. T.A.R. Puglia - Lecce, sez.II, 17 marzo 2007, n. 1061; T.A.R. Puglia – Bari, sez.II, 13 febbraio 2006, n.490.

[79] T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. II, 9 maggio 2002, n. 829.

[80] Ad es. Cons. Stato, Sez. V, 9 ottobre 2003, n. 6038. Di riflesso, si diceva che ogni atto amministrativo definitivo ha efficacia immediata, sino a che il giudice amministrativo non provveda a sospenderla, ai sensi dell’art. 21, ultimo comma, legge n. 1034 del 1971, Cassazione civile, sez. I, 27 marzo 1996, n. 2765.

[81] Il termine della sospensione, a norma del citato art. 21 quater comma 2, può essere prorogato o differito per una sola volta, nonché ridotto per sopravvenute esigenze.

[82] La sospensione può riguardare sia l’efficacia giuridica che l’esecuzione materiale del provvedimento: ad es., la sospensione dell’esecuzione del decreto di esproprio comporterà la paralisi della consegna del bene espropriato, non già dell’effetto traslativo del diritto di proprietà.

[83] Cfr. il D.Lgs. n. 444 del 1994 che sancisce con la nullità gli atti dell’organo prorogato una volta superati quarantacinque giorni dalla proroga. Non configura più causa di nullità, invece, la mancata attestazione della copertura finanziaria negli atti amministrativi degli enti locali: infatti, il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (T.U.E.L.), che, com’è noto, ha integralmente abrogato l’art. 274, lett. q) la Legge n. 142 del 1990, contempla una disposizione riproduttiva dell’art. 6, comma 11, della Legge 15 maggio 1997 n. 17, e precisamente l’art. 151 comma 4, nel quale è previsto che “I provvedimenti dei responsabili dei servizi che comportano impegni di spesa sono trasmessi al responsabile del servizio finanziario e sono esecutivi con l’approvazione del visto di regolarità contabile attestante la copertura finanziaria”. La nuova disciplina, pertanto, reitera la previsione che l’atto amministrativo adottato senza l’attestazione della copertura finanziaria, lungi dall’essere “nullo di diritto”, come stabiliva il vecchio art. 55, comma 5, della Legge n. 142/1990, è valido anche in difetto del visto di regolarità contabile, in quanto, sotto il profilo procedimentale, l’attestazione si è trasformata da atto interno (condizione di validità della delibera) ad atto esterno di controllo, nel senso che, se quest’ultima manca, l’atto non può produrre i suoi effetti, ma rimane valido. Invero, l’esercizio di poteri autoritativi (nella specie, di sospensione di un provvedimento ampliativo della sfera giuridico patrimoniale del privato), da parte della P.A., è subordinato all’esistenza di una norma primaria che conferisca espressamente il potere di adottare determinati atti in presenza dei presupposti indicati dalla legge; al contrario l’istituto della sospensione dell’efficacia della concessione ovvero dell’autorizzazione edilizia già regolarmente rilasciata dalla P.A. non è contemplato da alcuna disposizione della vigente disciplina urbanistico – edilizia, T.A.R. Campania - Napoli, sez. III, 7 luglio 2005, n. 9383. Da ultimo erano esempi di nullità ex lege la situazione delle assunzioni senza concorso (art.3, comma 6 d.P.R.1957/3), l’assegnazione di mansioni superiori (art. 52 al comma 2 del D.Lgs. n.165 del 2001), l’accertamento tributario difforme dalla risposta all’interpello (art. 11 L.212/2002), gli accordi procedimentali privi del requisito di forma (art. 11 L.241/1990).

[84] Nel vigore del combinato disposto degli artt. 284 e 288 R.D. 3 marzo 1934, n. 383, infatti la delibera con il quale i competenti organi comunali o provinciali affidavano ad un professionista privato l’incarico per la progettazione di un’opera pubblica è valida e vincolante nei confronti dell’ente soltanto se contenga la previsione dell’ammontare del compenso dovuto al professionista e dei mezzi per farvi fronte, l’inosservanza di tali prescrizioni determina la nullità della delibera, che si estende al contratto di prestazione d’opera professionale poi stipulato con il professionista, escludendone l’idoneità a costituire titolo per il compenso, Cass. – Sezioni Unite, Sentenza 10 giugno 2005 n. 12195.

[85] Viene recepita l’indicazione giurisprudenziale secondo la quale “la nullità in senso tecnico di un atto amministrativo si determina solo quando sia espressamente qualificato dalle norme o sia emanato in contrasto con il giudicato o sia emanato da un ente territoriale con un’efficacia che invada l’ambito territoriale di un altro ente o manchi di uno o più degli elementi necessari a costituirlo oppure ancora sia emanato in assoluta carenza di potere, Ogni altra, ancorché grave, violazione di norme imperative, quali sono tutte quelle inerenti allo svolgimento procedimentalizzato dei poteri pubblici o all’ attribuzione di competenze, dà luogo solo ad una mera invalidità dell’atto, che l’interessato deve far constare attraverso l’impugnazione entro il termine decadenziale”, Cons. Stato, sez. V, 13 febbraio 1998, n. 166. Cfr. T.A.R. Lombardia – Milano, sez.II, 22 aprile 2005, n.855, secondo cui gli atti emessi a seguito dell’irreversibile trasformazione del fondo ed oltre il termine di validità del decreto di occupazione d’urgenza -  intesi a riapprovare ex novo un progetto già realizzato ovvero a disporre ex novo una occupazione per una finalità già esaurita - sono da considerare non già annullabili, ma nulli per carenza di oggetto.

[86] T.A.R. Puglia - Bari, sez.III, 19 ottobre 2006, n.3740.

[87] Cfr. T.A.R. Sicilia - Catania, sez. III, 24 maggio 2006, n.827; Cons. Stato, sez. IV, 27 ottobre 2005, n.6023.

[88] T.A.R. Liguria – Genova, sez.II, 7 febbraio 2007 n. 169). La mancata sottoscrizione non involge solo un problema di imputazione ma, altresì, di esistenza di una volontà dell’agente o del funzionario di assumere un determinato atto, con la conseguenza che l’assenza di sottoscrizione o direttamente o in quanto univoco indizio di assenza della volontà dell’atto costituisce elemento essenziali dell’atto e del provvedimento amministrativo, ergo nullità dell’atto, conformemente Cons. Stato, sez.IV, 2 ottobre 2006, n.5742. Vedi, sul tema D’ALLURA, Inesistenza e nullità dell’atto amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it., più precisamente osserva che “se, ora, la distinzione non può che riferirsi al piano degli effetti dell’atto, o al diverso rilievo in tema di riparto della giurisdizione, credo possa affermarsi che l’atto inesistente conserva una sua – pur limitata - valenza giuridica, pur in presenza di una disciplina non limitativa della nullità a ipotesi tassativamente previste dalla legge…Una disciplina generale della nullità riduce piuttosto notevolmente l’ambito entro il quale può parlarsi di atto inesistente, e che si limita ai casi, scolastici, dell’atto ioci o docendi causa, all’usurpazione di potere, alla violenza fisica (almeno nei casi più gravi), all’incompletezza della fattispecie”; MAZZAROLLI, Sulla disciplina della nullità dei provvedimenti amministrativi, Diritto processuale amministrativo, 2006, n.3, pag.549, che analizzando gli elementi che determinano l’inesistenza dell’atto, che sono “quelli che si possono individuare attraverso l’analisi della figura presa in esame, indipendentemente dal loro essere fatti oggetto di una disposizione normativa” conclude nel senso che deve “riconoscersi che la mancanza totale di uno degli elementi che concorrono a costituire l’atto preso in considerazione – sia esso il contratto o il provvedimento – è più che altro un ipotesi di scuola”.

[89] “È annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza”.

[90] T.A.R. Abruzzo – Pescara, 14 aprile 2004, n. 185, idem 14 aprile 2005, n. 174; 14 aprile 2005 n. 185 e 14 aprile 2005 n. 186; T.A.R. Veneto, sez. II, 11 marzo 2005, n. 935.

[91] Cfr. Cons. Stato, Sez. VI^, 17 ottobre 2006, n. 6194: “Nel caso dell’art. 21 octies, comma 2, la violazione continua ad integrare un vizio di legittimità, che non comporta l’annullabilità dell’atto a causa di valutazioni, attinenti al contenuto del provvedimento, effettuate ex post dal giudice, che accerta che il provvedimento non poteva essere diverso”.

[92] T.A.R. Lazio – Roma, sez. II ter, 25 ottobre 2005, n.9804.

[93] T.A.R. Veneto, Sez. II, 11 marzo 2005, n. 935; T.A.R. Sardegna, Sez. II^, 25 marzo 2005, n. 483; Cons. Stato, Sez. IV, 14 giugno 2005, n. 3124, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III ter, 8 settembre 2005, n. 6618; Cons. Stato, Sez. VI, 17 ottobre 2006, n. 6194, cit.

[94] T.A.R. Sardegna, Sez. I, 25 maggio 2005, n. 1170; idem, Sez. I, 15 luglio 2005, n. 1653; sez.VI, ordinanza 19 aprile 2005 n. 1950.

[95] In questa prospettiva, il Consiglio di Stato ha avuto occasione di precisare che la “novella legislativa si è limitata a codificare quelle tendenze già emerse in giurisprudenza mirate a valutare l’interesse a ricorrere, che viene negato ove il ricorrente non possa attendersi, dalla rinnovazione del procedimento, una decisione diversa da quella già adottata” (Cons. Stato, Sez. VI, 17 ottobre 2006, n. 6194). Il Supremo Consesso di Giustizia Amministrativa mostra così di non aderire alla tesi interpretativa che rinviene la ratio dell’art. 21 octies comma 2 nella regola del “conseguimento dello scopo”, mutuata dalla previsione dell’art. 156 comma 3 Cod. Proc. Civ. (secondo cui la nullità non può essere mai pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato): “Infatti, il principio del raggiungimento dello scopo è da tempo applicato dal g.a. proprio in tema di violazione dell’art. 7 della L. n. 241/1990 (…). In caso di omessa comunicazione di avvio, lo scopo è raggiunto, non quando l’atto non poteva essere diverso, ma quando il privato ha ricevuto un atto equipollente, o ha comunque partecipato o ha avuto la possibilità di partecipare al procedimento, In tali casi, i vizi procedimentali non determinano alcuna concreta lesione, in quanto la ratio sottesa alle regole formali o procedimentali è stata comunque conseguita e l’annullamento appare un rimedio non proporzionato. L’art. 21 octies, invece, rende irrilevante la violazione delle norme sul procedimento o sulla forma dell’atto, per una ragione diversa che non attiene al (sostanziale) rispetto della specifica disposizione sulla forma o sul procedimento, bensì la fatto che il contenuto dispositivo dell’atto “non poteva essere diverso da quello in concreto adottato”. Qui si è in presenza di una norma che si muove in un’altra ottica, definita dalla dottrina come quella del raggiungimento del risultato. L’entrata in vigore dell’art. 21 octies non ha, quindi, inciso sulle categorie dell’irregolarità e dell’illegittimità dell’atto amministrativo, né può aver determinato un affievolimento delle regole dell’azione amministrativa, che sono intimamente collegate alla tutela del cittadino (…) Sulla base dell’art. 21 octies il provvedimento non è annullabile non perché assoggettato ad un diverso regime di invalidità o irregolarità, ma perché la circostanza che il contenuto non possa essere diverso priva il ricorrente dell’interesse a coltivare un giudizio, da cui non potrebbe ricavare alcuna utilità concreta” (Cons. Stato, Sez. VI, 17 ottobre 2006, n. 6194, cit.).

[96] Cfr. T.A.R. Sardegna, Sez. I, 25 marzo 2005, n. 483, secondo cui la prima parte dell’art. 21 octies, comma 1 non si applica ai provvedimenti discrezionali.

[97] T.A.R. Campania, Napoli, Sez. IV, 12 aprile 2005, n. 3780 esclude la riconducibilità delle norme sulla competenza tra le norme sul procedimento  amministrativo o sulla forma degli atti.

[98] L’integrazione postuma della motivazione si ha quando il provvedimento amministrativo viene prima adottato e poi motivato “ora per allora”; tale modus operandi era ritenuto inammissibile nel corso del giudizio di legittimità, con la conseguenza che l’atto amministrativo oggetto dell’impugnazione doveva essere esaminato alla stregua delle sole ragioni poste a suo sostegno ed in esso esplicitate.

Sul definitivo superamento del divieto di integrazione postuma della motivazione a seguito della riforma, cfr. T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, 4 maggio 2005, n. 760; T.A.R. Abruzzo, Pescara, 13 giugno 2005, n. 394.

[99] Com’è noto, l’art. 21 della L. n. 1034/1971, modificato dalla L. n. 205/2000, affida ai motivi aggiunti l’impugnativa dei provvedimenti sopravvenuti, aventi oggetto analogo o connesso a quello già impugnato, adottati in pendenza di ricorso tra le stesse parti.

[100] T.A.R. Abruzzo, Pescara, 14 aprile 2005, n. 185; cfr. altresì T.A.R. Piemonte, Sez. I^, 18 gennaio 2006, n. 129, che ha escluso la rilevanza delle violazioni procedimentali denunciate con il ricorso proposto contro il diniego di permesso di costruire, ai sensi dell’art. 21 octies della L. n. 241/1990, attesa la natura vincolata dell’atto impugnato: “il permesso di costruire si configura come atto sostanzialmente vincolato, costituendo un mero risultato di controllo circa la conformità dell’intervento costruttivo alle previsioni dello strumento urbanistico”.

[101] Il principio in questione mira ad evitare che la discrezionalità della Commissione possa essere “orientata” dalla conoscenza del punteggio automatico corrispondente alle offerte economiche e, quindi, dalla possibilità di conoscere esattamente quali effetti producono le singole valutazioni tecniche da essa operate sul punteggio e sulla graduatoria finale dei concorrenti.

[102] T.A.R. Abruzzo, Pescara, 22 settembre 2005, n. 506.

[103] Cfr. inoltre T.A.R. Sardegna, Sez. I, 15 luglio 2005, n. 1653, che ha ritenuto non annullabile per difetto di motivazione il provvedimento di esclusione dalla graduatoria di un concorso pubblico poiché, dagli atti del giudizio, era emerso che il soggetto escluso non possedeva un requisito essenziale per l’inserimento nella graduatoria stessa (“aver prestato almeno trenta giorni di servizio, anche non continuativo, nel medesimo profilo professionale cui si riferiva la domanda”), risultando in tal modo palese che il contenuto dispositivo dell’atto di esclusione non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato.

[104] T.A.R. Toscana, sez.II, 9 febbraio 2007, n.150.

[105] T.A.R. Sicilia, Sez. II, 4 agosto 2005, n. 1414.

[106] Si consideri, infatti, che secondo l’art. 113 Cost., il potere della legge ordinaria di individuare i casi e gli effetti dell’annullamento giurisdizionale dell’atto amministrativo dev’essere esercitato in modo da garantire al soggetto leso, quanto meno in sede contenziosa, il sostanziale esercizio della difesa nei confronti dell’attività discrezionale svolta in violazione delle regole.

[107] T.A.R. Sardegna, Sez. II, 27 maggio 2005, n. 1272.

[108] Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 22 giugno 2004 n. 4445.

[109] Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 6 ottobre 2005, n. 5436.

[111] Il Consiglio di Stato, in particolare, ha escluso la sussistenza dei presupposti applicativi del citato art. 21 octies allorquando risulti difficile valutare in giudizio che il provvedimento non poteva essere diverso, a meno di non voler attribuire al giudice amministrativo valutazioni di merito sostitutive della p.a., che nel caso concreto, “si fonderebbero su una risposta alle osservazioni del privato resa in giudizio dalla p.a., o meglio dal suo difensore, sulla base di elementi ulteriori rispetto a quelli emersi in sede procedimentale, con l’effetto di squilibrare ancor di più la posizione del cittadino rispetto all’amministrazione” (Cons. Stato, Sez. VI^, 17 ottobre 2006, n. 6194, cit.).

[112] T.A.R. Liguria - Genova, Sez. II, 15 febbraio 2007, n.235.

[113] T.A.R. Veneto, Sez. II, 11 marzo 2005, n. 935.

[114] T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, 24 maggio 2005, n. 2913; cfr. invece T.A.R. Sardegna, 25 marzo 2005, n. 483, cit., che, nel caso sottoposto al suo esame, vertente sulla contestazione circa la scelta progettuale di un’opera pubblica, ha ritenuto, sulla base degli atti depositati dalla P.A. e dagli elementi di diversa natura acquisiti al giudizio, non raggiunta la prova richiesta dall’art. 21 octies, poiché le soluzioni difformi prospettate dal privato, non prive di ragionevolezza, non erano mai state concretamente esaminate dalla P.A. È opportuno rilevare che parte della giurisprudenza ha interpretato il comma 2 dell’art. octies nel senso che, nell’ipotesi in cui l’atto amministrativo sia vincolato e venga dedotta la violazione dell’art. 7 legge n. 241, trova applicazione la prima parte del disposto, e quindi l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento non determina l’annullamento del provvedimento se è palese che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso; qualora, invece, l’atto rivesta natura discrezionale, il vizio procedimentale in questione è ininfluente sul giudizio di legittimità del provvedimento impugnato solo se l’Amministrazione provi quanto stabilito dalla seconda parte del citato comma 2 dell’art. 21 octies, T.A.R. Sardegna, 2 giugno 2005, n. 1435.

[115] Cons. Stato, Sez. VI, 17 ottobre 2006, n. 6194.

[116] T.A.R. Lazio - Roma, Sez. III bis, 18 gennaio 2007, n. 345.

[117] Si potrebbe argomentare che verrebbe meno l’idea della irrilevanza del procedimento, per l’apertura di una prospettiva di amministrazione silente (vedi D.I.A. e silenzio – assenso) in una visione di “deprocedimentalizzazione” del potere, “l’attività ora regolata come procedimento diventa al limite del tutto informale, non partecipata, segreta, “privatizzata” o “aziendalizzata”, purchè risulti alla fine che il “risultato”, l’assetto finale, era quello che la legge voleva (secondo la valutazione a posteriori condotta dal giudice). Potrebbe essere intanto incoraggiata una tendenza al venir meno delle garanzie, della partecipazione alla motivazione, con lo sacrificio della trasparenza e della pubblica controllabilità”, CORLETTO, Vizi “formali” e poteri del giudice amministrativo, in Diritto processuale amministrativo, 2006, n. 1, pag.77.

[118] Il riferimento è all’opera legislativa dei decemviri su tavole di bronzo esposte nel Foro, la “qual Livio chiama “fonte” e Tacito appella “fine” di tutta la romana ragione… e tutto ciò, a fine di serbar loro sempre istessa la volontà, o sia elezione del ben pubblico… che è la salvezza della romana città”, VICO, Principi di una scienza nuova, Firenze, 1971, pag. 183, e che “Marco Tullio Cicerone antepose alle biblioteche di tutti i filosofi. E in verità hanno espresso con tale eleganza di parole, con assoluta concisione  e con la più inscindibile semplicità gli istituti sia del diritto pubblico, sia del diritto privato… al punto che molti ritennero che non si potesse fare nulla di più perfetto. Quelle poche Tavole dunque… comprendevano brevemente e sapientemente… tutto il diritto pubblico e privato e la perfetta costituzione della città. Felice Roma, se si fosse accontentata di queste poche leggi e avesse cercato poche novità… nei tempi recenti in cui la legislazione è aumentate in misura così sorprendente l’ordinamento pubblico della città è stato corrotto dall’accumularsi di tante leggi”, PAGANO, Il mito delle Dodici Tavole: le leggi “poche e chiare”, Politicum universae Romanorum nomothesiae examen, 1768.

[119] CICERONE, De re pubblica, Libro II, Fragmenta XII.


Stampa il documento Clicca qui per segnalare la pagina ad un amico