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Giurisprudenza
n. 1/2005 - © copyright

ALDO AREDDU*

Dal contratto di manutenzione immobiliare
al global service: verso una “nuova” committenza
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1. Generalità. Il contratto di manutenzione come contratto “atipico”.

Il contratto di manutenzione non è, come noto, tra le figure contrattuali previste espressamente dal codice civile italiano. Non si rinviene, cioè, nel vigente sistema normativo una specifica regolamentazione di questa tipologia negoziale, al pari invece di figure contrattuali, per così dire, “tipiche”, quali ad es. l’appalto, il trasporto o il comodato.

Ciò non vuol dire, ovviamente, che la manutenzione non trovi una sua regolamentazione civilistica: si tratta, però, di un contratto “atipico” o “innominato”, non esattamente riconducibile ad uno schema prefissato dal codice, ma frutto della combinazione di diverse discipline contrattuali previste dall’ordinamento [1]. In questo senso, lo si può senz’altro definire come un contratto “misto”, nel quale coesistono gli elementi costitutivi, tra i principali, dell’appalto della vendita, della somministrazione e della locazione.

In effetti, la manutenzione e, più precisamente, la manutenzione di un immobile o di un complesso immobiliare è, anzitutto, un appalto: il proprietario, il titolare di un diritto reale o personale di godimento o comunque chi abbia il potere di disporre del bene affida ad un terzo - che si assume a proprio rischio l’organizzazione dei mezzi a ciò necessari e la relativa gestione - il compimento di tutto quanto necessario per garantire la conservazione della più conveniente funzionalità ed efficienza del bene stesso, dietro corrispettivo [2].

Su tale schema, però, si innestano le altre surrichiamate tipologie, in quanto il soggetto incaricato della manutenzione non potrà limitarsi alla sola prestazione dell’opera o del servizio, ma dovrà anche provvedere, di regola, alla fornitura di beni e prodotti, oppure alla loro vendita o cessione in affitto, necessari per assicurare detta conservazione funzionale.

2. Appalto di lavori o appalto di servizi? Il “problema” dei contratti misti (specie in ambito pubblicistico).

Posto, in definitiva, che trattasi di contratto caratterizzato dalla convivenza di vari “tipi” contrattuali, il preponderante dei quali è l’appalto, si può semmai discutere se l’operazione di “incasellamento” vada operata nei confronti dell’appalto di lavori o dell’appalto di servizi. Se, in altri termini, il manutentore sia più un realizzatore di un nuovo bene materiale, quale risultato finale di un’attività di elaborazione e trasformazione di materia, oppure il prestatore di una specifica utilità (al cui raggiungimento l’attività lavorativa sia strumentale).

La distinzione, se ha una marginale rilevanza in ambito privatistico (il codice civile, infatti, rinvia, per la “prestazione continuativa o periodica di servizi”, alle norme in materia di appalto in generale, “in quanto compatibili”, oltre che a quelle della somministrazione: art. 1677; comunque, in numerosi articoli in materia di appalto, il riferimento a “opera” o “servizio” è indistinto [3]), assume invece preminente decisività nella legislazione e nella prassi degli appalti di lavori (o servizi) pubblici.

In ambito pubblicistico, invero, la differente regolamentazione normativa degli appalti di lavori rispetto agli appalti di servizi rende oltremodo indispensabile pervenire alla più precisa qualificazione del rapporto: nel primo caso, difatti, la regolamentazione sarà costituita dalla l. 11 febbraio 1994, n. 109 e s.m.i. (cd. Legge quadro sui lavori pubblici) e dalla relativa disciplina di attuazione (essenzialmente, il d.P.R. n. 554 del 1999 ed il D.M. 145 del 2000, rispettivamente, Regolamento generale di attuazione della legge quadro e Capitolato generale di appalto, quest’ultimo per le sole “amministrazioni aggiudicatrici” previste dall’art. 2 della predetta legge [4]); nel secondo caso, la disciplina andrà, invece, reperita nel d.lgs. 17 marzo 1995, n. 157 e s.m.i.

L’operazione di qualificazione si rende, altresì, necessaria in quanto nessuna delle richiamate normative è in grado di fornire indicazioni univoche in materia di manutenzione.

Infatti, è vero che la Legge quadro qualifica espressamente come “lavori pubblici”, tra gli altri, quelli di “manutenzione di opere ed impianti” (art. 2, comma 1), così sembrando attrarre sic et simpliciter nella sua sfera ogni tipologia di manutenzione [5], ma è altrettanto innegabile che il d.lgs. 157 del 1995, da par suo, include la manutenzione tra i ”servizi” oggetto della sua disciplina (cat. 1 dell’allegato 1 A, corrispondente ai numeri della CPC 6112, 6122, 633 e 886).

La nostra giurisprudenza, in verità, ha sciolto la contraddizione, precisando che possono ritenersi manutenzioni rientranti negli appalti di servizi soltanto quelle relative agli impianti di cui ai predetti identificativi della CPC (ossia, “veicoli a motore, motocicli e gatto delle nevi, articoli personali e domestici, prodotti metallici, macchinari ed attrezzature”) [6]

Il problema, però, riemerge in tutta la sua rilevanza in presenza di attività complesse che, di per sé, ricomprendano lavori, nonché prestazioni non esattamente riconducibili a tale alveo, ma che comunque contribuiscano, al pari delle precedenti, a rendere possibile un ripristino dell’originaria funzionalità del bene su cui si interviene. E’, nella sostanza, la sempre controversa tematica dei contratti misti di appalti di servizi, lavori (e forniture) pubblici, che presenta esiti differenti, a seconda che ci si muova in ambito comunitario o nazionale.

Se nel primo, difatti, prevale il cd. criterio funzionale, secondo il quale, in rigorosa applicazione dei canoni civilistici, la qualificazione del contratto dipende essenzialmente dalla funzione economica insita nel contratto e che le parti hanno inteso perseguire con lo stesso, nel secondo (ossia, quello nazionale) [7], vige un criterio eminentemente economico: ossia, stabilire se il contratto misto sia qualificabile come di lavori o di servizi o di forniture (e dunque debba seguire la relativa disciplina normativa), dipende dalla prevalenza dell’importo economico delle singole componenti. Per cui, in definitiva, se l’importo dei lavori è superiore al 50% dell’importo complessivo del contratto, quand’anche la componente, per cosi dire, “lavoristica” sia funzionalmente subvalente, il contratto sarà un appalto di lavori pubblici, come tale, assoggettato esclusivamente alle norme della legge quadro e delle sue regolamentazioni attuative.

E’ lo stesso art. 2, comma 1 della l. 109/94, appena richiamato per l’inclusione della manutenzione tra i lavori, a confermarlo: “nei contratti misti lavori, forniture e servizi e nei contratti di forniture o di servizi quando comprendano lavori accessori, si applicano le norme della presente legge qualora i lavori assumano rilievo economico superiore al 50 per cento”.

Secondo la disciplina nazionale, pertanto [8], è decisivo, ai fini dell’individuazione della normativa da applicare al contratto misto, il dato economico della consistenza dei lavori: se questi sono di importo superiore al 50 per cento di quello complessivo del contratto, ciò è sufficiente ad applicare al contratto la sola normativa lavori, con esclusione di quella relativa ai servizi (d.lgs. 157/95) o alle forniture (d.lgs. n. 358/92).

A ben vedere, peraltro, accedendo ad una tesi che trova fondamento nella lettura combinata del predetto art. 2, comma 1, e dell’art. 3, comma 3 del d.lgs. n. 157/95 [9], risulta possibile sostenere l’attrazione nella disciplina dei lavori anche riguardo a quei contratti in cui la componente lavoristica, pur essendo di importo inferiore al 50% dell’importo complessivo del contratto, abbia, comunque, carattere principale rispetto all’elemento del servizio (accessorio). Se, in altre parole, i lavori, benché quantitativamente minoritari, non siano, nella valutazione complessiva del contratto, accessori ma principali, ciò sarebbe sufficiente per ritenere tale contratto misto soggetto esclusivamente alla disciplina lavori.

Stesse considerazioni possono, poi, formularsi in ipotesi di contratto misto di lavori e forniture.

In definitiva, si avrebbe che una pubblica amministrazione o qualunque altro soggetto comunque tenuto all’applicazione della legge quadro, ove intendesse appaltare interventi di manutenzione, dovrebbe applicare le sole norme della medesima legge, con esclusione quindi della disciplina relativa ai servizi ed alle forniture, sia quando, a prescindere dall’importo economico dei lavori da eseguire, la funzione prevalente del contratto risulti costituita quella di svolgere lavorazioni che, in quanto tali, presuppongano una trasformazione o rielaborazione della materia (o, comunque, una modificazione della realtà fisica, mediante utilizzo, manipolazione ed installazione di materiali aggiuntivi e sostitutivi rispetto all’entità originaria dell’opera da manutenere) e per i quali, quindi, la fornitura di beni e/o servizi abbia carattere accessorio e marginale (accertamento, peraltro, tutt’altro che agevole); sia quando, al contrario, a prescindere dalla funzione perseguita, l’importo dei lavori, rispetto a quello delle altre componenti, costituisca la frazione di importo economico più rilevante.

Un dato è, peraltro, certo: la necessarietà, in ogni caso, del possesso dei requisiti della qualificazione per il soggetto esecutore della parte di lavori. Infatti, la stessa l. n. 109/94, nel testo “aggiornato” alle modifiche della l. n.166 del 2002, prevede, all’ultimo comma (11 septies) che “nel caso di forniture e servizi, i lavori, ancorchè accessori e di rilievo economico inferiore al 50 per cento, devono essere eseguiti esclusivamente da soggetti qualificati ai sensi del presente articolo”.   

Dunque, anche se il contratto preveda una frazione di valore subvalente, rispetto all’importo complessivo del contratto, di lavori, ciò non esime l’affidatario di possedere il relativo requisito di qualificazione, ossia l’attestazione SOA di importo e tipologia corrispondente alla quota di lavori da eseguire.

3. L’affidamento di interventi di manutenzione. Appalto o in economia?

Ma torniamo all’ipotesi in cui, trovando luogo la qualificazione del contratto come di lavori pubblici, occorra applicare per esso la disciplina corrispondente.

Un affidamento di interventi di manutenzione può avvenire, in linea di principio, ricorrendo a ciascuno dei tre sistemi di realizzazione di lavori pubblici: appalto, concessione, in economia [10].

La prassi, peraltro, insegna che per anni quest’ultimo è risultato essere il sistema “privilegiato”, per la snellezza procedurale che lo caratterizza, in uno con la non rilevanza degli importi che solitamente caratterizza questa tipologia realizzativa.

Dei lavori in economia si occupano gli artt. 142 e ss. del d.P.R. 554 del 1999, dopo che lo stesso testo enumera, all’art. 88, le tipologie di lavori in tal modo affidabili, enunciandovi espressamente proprio la manutenzione [11]; alla relativa contabilizzazione, provvedono, invece, gli artt. 176 e ss..

Senza qui dover entrare nell’illustrazione della disciplina dell’affidamento (che imporrebbe giocoforza spazi di approfondimento ben più estesi di questo succinto contributo), varrà semplicemente, sotto il profilo del regime contrattuale, soffermarsi brevemente sulla tipologia dei cd. contratti aperti.

Tali sono i contratti, specificamente relativi ai lavori di manutenzione, in cui “la prestazione è pattuita con riferimento ad un determinato arco di tempo, per interventi non programmabili nel numero, ma resi necessari secondo le necessità della stazione appaltante” (art. 154, secondo comma). Pur nella non completa chiarezza della disposizione, il riferimento è a tipologie contrattuali che, in considerazione della ripetitività nel tempo degli interventi manutentivi e della loro rispondenza alle specifiche urgenze rappresentate dal committente, richiedono di essere congegnate prevedendo non una puntuale determinazione dell’oggetto del contratto, né del numero delle prestazioni in esso ricomprese, ma soltanto: a) il torno di tempo entro cui l’affidatario è vincolato ad eseguire quanto richiesto, di volta in volta, dalla stazione appaltante (per l’appunto, in ragione delle sue “necessità non programmate”); b) un budget. Quest’ultimo, potrà risultare “sforato” ed in tal caso attribuzione del Responsabile del procedimento, su segnalazione del direttore dei lavori, sarà quella di “autorizzare l’ulteriore spesa fino ad un totale complessivo pari all’originario importo posto a base di gara e comunque non superiore a 200.000 euro”.

Come si vede, il limite massimo coincide con quello massimo previsto per i lavori in economia dall’art. 24, comma 6 della Legge quadro ed in tal senso il surriportato riferimento alla “gara” non deve trarre in inganno, essendo posto ad abundantiam per ricomprendere l’ipotesi più ampia rispetto a quella finora considerata (lavori in economia), in cui la scelta del prestatore degli interventi sia avvenuta, per l’appunto, mediante confronto concorrenziale (ossia, per cottimo fiduciario[12]).

Ovviamente, quanto appena rilevato, non esclude il ricorso all’appalto: anzi, tale sistema di esecuzione diviene ovviamente la regola in caso di interventi di importo maggiore alla soglia surrichiamata. D’altronde, l’elevatezza degli importi degli affidamenti manutentivi su immobili sta divenendo una costante, da quando le pubbliche amministrazioni stanno sempre più incisivamente utilizzando il modulo del “global service”.

4. Una figura nuova e sempre più diffusa: il cd. global service.

In luogo di tanti interventi di manutenzione non coordinati tra loro e destinati a succedersi nel tempo senza alcuna regolarità e programmazione, si è fatta ormai strada la consapevolezza della maggiore “appetibilità”, in termini di efficienza, economicità e produttività, di un affidamento unitario di un complesso di attività e prestazioni, anche variegato, da eseguirsi su di un dato immobile, da parte di un unico soggetto, in grado di poter assicurare il raggiungimento del risultato atteso [13].

La cospicuità ed eterogeneità delle prestazioni oggetto del contratto e l’assunzione di uno specifico obbligo di risultato da parte del prestatore prescelto (il cd. Assuntore) sono due tra i caratteri distintivi fondamentali di questa innovativa figura che, in comune con ogni altra forma di outsourcing di funzioni aziendali, sorge con l’intento di sgravare l’ente (sia esso pubblico, che privato), da compiti ed attività che, quantunque, indispensabili per la loro “sopravvivenza”, esulano dal rispettivo core business. Per cui affidare tale attività all’esterno equivale a garantirsi il recupero e la valorizzazione delle proprie risorse materiali e umane, che in tal modo vengono indirizzate esclusivamente ai veri compiti istituzionali del committente, con conseguente tornaconto in termini di efficienza delle stesse, anche per le evidenti “economie di scala” rese possibili dal potersi avvalersi di affidatari di provata capacità ed esperienza tecnico-professionale, in grado di fornire prestazioni integrate e multidisciplinari.

E’ evidente, dunque, che “disinteressarsi” della conduzione di simili attività (che vanno dal servizio portineria, alla gestione del verde, alla gestione del sistema-calore, alla guardiania ed ai servizi di reception etc.)[14] per affidarle in toto a società di elevatissima competenza e specializzazione è possibile soltanto consegnando alle stesse la responsabilità del raggiungimento dell’obiettivo.

Pertanto, nel contratto di global service, il committente definisce, in sede di capitolato tecnico, standards di qualità ed efficienza, parametri certi e determinati che l’Assuntore deve conseguire, a pena di minare la propria “credibilità” professionale (ed ancor prima, la stessa “tenuta” del contratto).

In ciò che, ad oggi, risulta l’unico tentativo di “codificazione” di questo contratto – ossia, la normativa UNI 10685 (“criteri per la formulazione di un contratto basato sui risultati”) – è dato massimo risalto, per l’appunto, alla definizione di tale documento. Esso, nonostante la sua denominazione lo faccia ritenere limitato alla regolamentazione di aspetti tecnici di dettaglio, vale al contrario a regolare partitamente i compiti e le responsabilità dell’assuntore, ossia il soggetto che, a mente dell’art. 3.1, si assume la “piena responsabilità sui risultati” di un ”contratto riferito ad una pluralità di servizi sostitutivi delle normali attività di manutenzione” e che è tenuto ad assumersi (art. 21.2) “tutte le responsabilità connesse ed in relazione alla progettazione, programmazione, direzione ed esecuzione dei lavori”.

Al capitolato tecnico, dovrà rigorosamente uniformarsi sia il “progetto di global service di manutenzione” (è tale “il documento nel quale l’assuntore descrive le politiche di manutenzione che intende applicare, i piani di manutenzione che intende applicare, l’organizzazione che intende darsi”: art. 3.3.) sia il contratto, ai cui criteri di stesura e contenuti sono dedicati, rispettivamente, gli artt. 7 e 8 [15].

Altra normativa UNI particolarmente significativa, stavolta regolante, più in generale, i servizi di manutenzione è la UNI 10146 (alla quale, comunque, la precedente si ispira, per di più richiamandola espressamente).

Anche in questo ambito, pur non facendosi riferimento all’assunzione di una globalità di servizi da assicurare in modo completo e coordinato, l’impegno dell’assuntore è concepito in un ottica diversa e sicuramente più ampia di quella in cui opera un appaltatore tradizionale: egli, difatti, “deve eseguire i lavori sotto la propria ed esclusiva responsabilità assumendone tutte le conseguenze nei confronti del committente e dei terzi” (art. 12.12), con ciò assumendosi un obbligo di risultato circa la corretta esecuzione delle prestazioni, che non si limitano all’erogazione di quanto tecnicamente necessario ad uno degli scopi indicati all’art. 12.1. (“mantenimento di uno stato di efficienza di un prodotto o bene d’uso”; “riportare un prodotto o bene d’uso da uno stato di inefficienza o indefinito ad uno stato di efficienza definito”; “riparazione di un prodotto o bene d’uso guasto”), ma si estendono anche ad assicurare la messa a disposizione di “una organizzazione tecnico-amministrativa tale da soddisfare le esigenze contrattuali” (art. 12.15, comma 3).     

Estremamente significativa, a proposito di tale completa assunzione di compiti e responsabilità, è anche la previsione per la quale “l’assuntore deve provvedere a propria cura e spese alla direzione dei lavori nominando un tecnico avente le competenze specifiche…” (art. 12.12.).

5. Per il successo del global service: un committente forte, ma discreto ….

Individuato ad hoc per assicurare il conseguimento di un obiettivo puntualmente contrattualizzato, l’assuntore deve stringere con il proprio affidante un rapporto decisamente più stetto e stabile rispetto a quello che può legarlo ad un comune appaltatore, essenzialmente legato al risultato da ottenere. Non a caso, del resto, forme sofisticate e “riuscite” di global service sono state ottenute ricorrendo a soluzioni caratterizzate da stabilità ed interconnessione, quali la costituzione di strutture consortili, di compagini societarie a composizione mista o di figure autonome comunque derivanti da precedenti, ulteriori fenomeni di spin-off (es. cessioni di ramo aziendale) [16].

Laddove ciò non si verifichi, è particolarmente necessario ed opportuno che la committenza assuma un ruolo “forte”, particolarmente incisivo sull’attività dell’outsourcer, dapprima nello stadio di elaborazione negoziale (configurando compiutamente i suoi oneri, le modalità di verifica) e poi nella fase esecutiva.

“Forte”, beninteso, non vuol dire “invasivo” ed è probabilmente qui che, ponendosi la netta differenza tra questa innovativa figura contrattuale e quelle tradizionali, si gioca essenzialmente la sua fortuna.

Il committente, sin dal fase di costruzione del contratto, deve rivedere completamente quel “potere di ingerenza” nell’attività del prestatore che è proprio dell’appalto civilistico e che stride necessariamente con una figura di assuntore chiamato, come più volte ricordato, ad assicurare un risultato. E’ necessario, in altre parole, che il committente colga la portata vulnerativa di interventi di controllo e verifica particolarmente incisivi sull’operato dell’assuntore, lasciando invece che questi svolga il suo compito nell’autonomia organizzativo-gestionale di cui è capace: autonomia che, per l’appunto, è alla base dell’obbligazione di un risultato quale quella che si assume (un assuntore che non abbia le “mani libere” per agire in vista di un preciso obiettivo, non potrà garantirlo nel modo con cui vuole e deve e, anzi troverà nell’ingerenza subita il comodo alibi per ritenersi sottratto all’impegno, giustificando eventuali proprie mancanze!) e che consente di realizzare quel vantaggio (la non dispersione delle energie nella gestione di attività esulanti dalla “missione” istituzionale dell’ente affidante) che è - come già osservato - l’esigenza fondamentale del ricorso a tale modulo innovativo.

Ovviamente, non dovrà cadersi nell’eccesso opposto e cioè nella “latitanza” del committente…. A parte la necessità di provvedere ad adempimenti che gli fanno inderogabilmente carico (verifica degli obblighi previdenziali, assistenziali ed assicurativi; compiti in materia di sicurezza del cantiere), l’outosourcer deve avere interlocutori determinati ed autorevoli, con i quali poter “dialogare in sintonia”, in grado cioè di potersi efficacemente rappresentare le esigenze aziendali che hanno dato origine all’affidamento, di fornire indicazioni strategiche e di indirizzo (non dunque ordini e direttive!) chiare ed univoche, di saper intervenire, anche energicamente, in caso di impreviste criticità.

Perché ciò si attui, occorre che l’”interfaccia” sia munito, da parte del vertice aziendale, di quei necessari poteri, formali e sostanziali, che gli consentano di indirizzare le prestazioni rese dall’outsourcer in modo efficiente e coordinato rispetto al raggiungimento degli obiettivi aziendali prefissati.

A chi scrive, è capitato di seguire professionalmente un outsourcing di servizi legali, la cui gestione era stata affidata ratione materiae all’ufficio legale dell’ente committente, il quale però non aveva la possibilità – nell’ambito di un complesso ed articolato organigramma aziendale – di far pervenire il servizio prestato direttamente ai vari responsabili territoriali dell’ente. Una distonia, questa, che stava finendo per “inquinare” il rapporto contrattuale, con un’irrazionale distribuzione delle energie che, paradossalmente, era proprio ciò che si intendeva evitare con il ricorso a tale modulo: l’outsourcer correva ai ripari facendosi carico egli stesso delle difficoltà del proprio committente che intanto, ignaro ai più alti livelli di tali difficoltà, richiamava l’affidatario stesso al più puntuale adempimento, in vista di un risultato che appariva sempre più lontano dal perseguirsi. Ecco, un esempio di outsourcing non pienamente riuscito, perché in definitiva gestito da un committente “debole”.

E’ lecito, dunque, auspicarci il conseguimento presso le committenze pubbliche e private di una mentalità nuova, di uno spirito gestionale più utile ed attento alle istanze del macrocosmo dei servizi integrati: solo allora il successo della formula potrà dirsi definitivamente consolidato.


 

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(*) Avvocato del Foro di Roma. Partner dello Studio degli Avvocati Areddu Bonaccio Pannuti.

^ Sintesi della relazione tenuta al convegno “I contratti immobiliari” in Roma, Jolly hotel Veneto, 16 novembre 2004 organizzato da Somedia, La Repubblica Affari&finanza.

[1] Espressione, cioè, di quell’autonomia contrattuale prevista dall’art. 1322, secondo comma del c.c. che assegna alle parti la possibilità di concludere anche contratti che non appartengono a tipi aventi una particolare disciplina, purché siano diretti a realizzare “interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico”.    

[2] Ovviamente, in linea di principio, il risultato della manutenzione può essere assicurato anche mediante diversa, sebbene affine, figura contrattuale, quale il contratto d’opera: qui (art. 2222 c.c.) la parte, senza vincolo di subordinazione, compie l’opera o il servizio, con lavoro proprio e/o con l’ausilio di propri collaboratori. La mancanza, però, dell’avvalimento di un’organizzazione di impresa rende, però, di fatto impraticabile una tale figura, anche in considerazione del numero e della complessità delle incombenze e della conseguente esigenza di specializzazione professionale che ne discende, tali da rendere senz’altro preferibile il ricorso ad una struttura stricto sensu imprenditoriale: sulla distinzione tra queste due tipologie di contratto cfr., tra i vari, Moscarini, voce ”L’appalto”, in “Trattato di diritto civile” diretto da P. Rescigno, II, Obbligazioni e contratti, 3, cit., 705 e ss.; Cagnasso, “Appalto nel diritto privato. Digesto delle discipline privatistiche, Sezione Commerciale”, I, Torino, 1967, 167.       

[3] Cfr, artt. 1655, 1656, 1676. Comunque, le norme dettate per gli istituti previsti (dallo ius variandi, alla verifica etc.), per quanto dettati espressamente per i lavori, appaiono del tutto agevolmente estensibili alla prestazione di servizi.

[4] La legge quadro (giunta, ormai, alla quarta versione: cd. Merloni-quater)  trova applicazione per tutti i soggetti previsti all’art. 2, comma 2 della stessa, ai quali si applica, altresì, il regolamento generale del 1999 (anch’esso modificato nel tempo), fatta eccezione per i soli soggetti operanti nei cd. settori speciali, per i quali le norme regolamentari valgono ad eccezione di quelle dettate in materia di esecuzione, contabilità e collaudo. Il Capitolato generale di cui al D.M. 145 del 2000 si applica soltanto alle “amministrazioni aggiudicatrici”, ossia, secondo la nozione di cui all’art. 2, comma 2, lett a, della Legge quadro: amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, enti pubblici, compresi quelli economici, enti ed amministrazioni locali, loro associazioni e consorzi, organismi di diritto pubblico.   

[5] L’art. 2, comma 1, lett. l, del d.P.R. 554/99 e s.m.i. definisce la “manutenzione” come “la combinazione di tutte le azioni tecniche, specialistiche ed amministrative, incluse le azioni di supervisione, volte a mantenere o a riportare un’opera o un impianto nella condizione di svolgere la funzione prevista dal provvedimento di approvazione del progetto”.    

[6] Così il Tar Veneto, 15 aprile 1998, 461.

[7] Il criterio (per il quale, come detto, ciò che qualifica il contratto misto è, a prescindere dal dato economico, la prestazione che assolve la funzione principale all’interno del contratto) è fissato, in ambito comunitario, dall’art. 1, lett. a) della direttiva 93/36/CE in materia di appalti pubblici di forniture, per quanto concerne gli appalti misti di lavori e, per l’appunto, forniture; dal sedicesimo considerando della direttiva 92/50/CE per quanto concerne, invece, gli appalti che comprendono lavori  e servizi. Seguendo detto criterio, è stato qualificato come appalto di servizi e non di lavori, un appalto avente ad oggetto la manutenzione degli impianti a verde adiacenti il nastro autostradale e delle aree piantumate: Tar Veneto, sez. I, 7 febbraio 1998, n. 233. Egualmente, è stato annoverato tra gli appalti di servizi l’appalto avente ad oggetto la manutenzione globale e la conservazione degli impianti interni di allarme anticrimine degli uffici postali, sebbene lo stesso ricomprendesse anche attività lavorative, peraltro ritenute accessorie e strumentali al servizio complessivo: Cons. stato, sez. VI, 16 dicembre 1998, n. 1680.      

[8] Disciplina nazionale che, in tal modo, si discosta da quella comunitaria: infatti, mentre nella direttiva n. 93/37/CEE in materia di lavori, nulla è disposto al riguardo, la dir. n. 92/50/CEE, in materia di servizi, esclude (considerando n. 16) che possa definirsi “contratto di appalto di lavori” quel contratto in cui la parte lavori sia accessoria rispetto ai servizi e non ne costituisca, pertanto, l’oggetto principale. Egualmente, il criterio dell’accessorietà si trova configurato, in sede comunitaria, per i contratti misti di forniture e lavori, dall’art. 1, lett. a) della dir. n. 93/36/CEE.

Tale diverso criterio della “accessorietà” viene, altresì, confermato nella stessa giurisprudenza comunitaria: cfr. la sent. 19 aprile 1994, causa C-331/92, Gestion Hoteliere. In una pronuncia più risalente, 5 dicembre 1989, causa 3/88, Data Processing, la Corte ha affermato che, se un contratto ha oggetti distinti (nella specie, si trattava di servizi e forniture), occorre applicare, a ciascuna parte del contratto, la relativa normativa.

Tale ultima ricostruzione è accolta dalla Commissione europea, nella sua comunicazione interpretativa sulle concessioni del 12 aprile 2000: seppure limitata all’ambito concessioni, con formulazione ampia e tale, pertanto, da ricomprendere anche i contratti di appalto, la Commissione ha ritenuto che “quando gli oggetti dei contratti sono dissociabili, a ciascun tipo di contratto si applicano le norme ad esso relative”. Quanto, infine, al criterio della prevalenza economica, esso è da tempo adottato, sia nella normativa comunitaria (art. 2, dir. n. 92/50/CEE) che in quella nazionale (art. 3, comma 4, d.lgs. n. 157/95, art. 7, comma 2, d.lgs. n. 158/95), ma solo con riferimento ad appalti misti di servizi e forniture.  

[9] La tesi sintetizzata nel testo, evidenziata anche dall’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici (atto di regolazione n. 5 del 2001, del 31 gennaio 2001), è acutamente illustrata, in dottrina, da Guccione, “Le innovazioni introdotte dalla Merloni-ter alla legge quadro in materia di lavori pubblici”, in “Giornale di diritto amministrativo”, n. 2/1999, pagg. 115 e ss..

A seguito della modifica apportata dalla l. n. 415/98 al testo dell’art. 2, comma 1 della Legge quadro, il predetto testo non chiarisce la normativa da applicare al caso in cui, pur essendo economicamente prevalenti i servizi o le forniture, i lavori non siano accessori, ma principali. In tal caso, però, l’argomentazione che conduce alla qualificazione del contratto come di contratto di lavori, si fonda, per quanto attiene al contratto misto lavori-servizi, sul medesimo testo, non a caso, modificato dalla stessa Merloni-ter, del d.lgs. n. 157/95. Difatti, l’art. 3, comma 3, del d.lgs. n. 157/95, nella versione, come detto, modificata nel 1998, dispone che gli appalti misti di lavori e servizi “sono considerati appalti di servizi qualora i lavori assumano funzione accessoria rispetto ai servizi, siano complessivamente di importo inferiore al 50 per cento del totale, e non costituiscano l’oggetto principale dell’appalto”: pertanto, ove il contratto preveda lavori principali, anche se economicamente subvalenti, la “funzione principale” dei lavori farebbe venire meno uno dei requisiti previsti dal d.lgs. n. 157/95 per qualificare l’appalto come di servizi.

In materia di contratto misto lavori-forniture, poi, nella normativa forniture non è prevista una disciplina specifica al riguardo (a differenza, come detto, della disciplina servizi): tale assenza, in definitiva, rende ancora più agevole l’accoglimento della tesi anzidetta (qualificazione del contratto misto come di lavori, anche se i lavori, economicamente subvalenti, siano principali). Ciò in quanto, appunto, tale “silenzio” rende pienamente operante il predetto principio dell’”accessorietà”, sancito nella direttiva 93/36/CEE, ricordato nella nota precedente.  

Un ulteriore argomento a sostegno della predetta tesi della qualificazione come di lavori del contratto misto, sia in presenza di servizi che di forniture, è, poi, il seguente: se la Merloni-ter si è preoccupata di qualificare come appalto di lavori quello in cui questi ultimi, benché accessori, siano economicamente prevalenti, ciò può spiegarsi solo con il fatto che nel caso, invece, di lavori principali, benché quantitativamente minoritari, la qualificazione come appalto di lavori sarebbe pacifica.

La validità di tale ricostruzione non pare, infine, minata, ma, anzi, confermata, in ipotesi di contratto misto lavori-servizi, dall’ultima modifica operata, sul testo dell’art.3, comma 3 del d.lgs. n. 157/95, dall’art. 3, del d.lgs. 25 febbraio 2000, n. 65. Specularmente al testo della legge quadro, qui si prevede che “nei contratti misti di lavori e di servizi e nei contratti di servizi quando comprendono lavori accessori, si applicano le norme della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni, qualora i lavori assumano rilievo economico superiore al 50%”: se, dunque, occorre una previsione ad hoc per far ricadere i contratti che ricomprendono lavori accessori, di importo economico superiore al 50%, nella normativa servizi, vuol dire, evidentemente, che, in caso di lavori principali, a prescindere dal loro importo, l’applicazione della Legge quadro sui lavori è “scontata”.

[10] Per un recentissimo approfondimento in materia di contratti di manutenzione ed in particolare sulla linea di demarcazione tra appalto di manutenzione e manutenzione affidata in economia, cfr. la determinazione n.13 del 2004 dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici (secondo la quale “nel caso di lavori di manutenzione costituiti da un insieme di lavorazioni individuate nel loro contenuto tecnico e esecutivo nonché nel loro numero e nella loro localizzazione è impiegabile il contratto di sola esecuzione oppure il contratto di progettazione esecutiva ed esecuzione denominato appalto integrato; nel caso di lavori di manutenzione costituiti da un insieme di lavorazioni individuate nel loro contenuto tecnico ed esecutivo ma non nel loro numero e nella loro localizzazione – è impiegabile di norma il contratto aperto”).

[11] Più in particolare, ai fini che qui rilevano, la manutenzione ricade in due distinte, specifiche ipotesi (definite espressamente “categorie generali”) di ricorso ai lavori in economia: quella di cui alla lettera a) (ipotesi nella quale si presuppone che sussista una “esigenza…rapportata ad eventi imprevedibili e non sia possibile realizzarle con le forme e le procedure previste agli articoli 19 e 20 della Legge”, ossia con le ordinarie forme di affidamento tramite gara) ed alla lettera b (nella quale, tuttavia, il ricorso ai lavori in economia per interventi manutentivi è del tutto svincolato da presupposti che non siano quello economico, dovendosi semplicemente trattare di lavori di importo non superiore a 50.000 euro).  Sui lavori in economia cfr,, tra gli altri, M.Zoppolato, in “Il regolamento sulla legge dei lavori pubblici”, Milano, 2000, 299 e ss.; De Nictolis, “La nuova legge quadro sui lavori pubblici – commentario”, Milano, 1999, 781 e ss..     

[12] E’ noto che il cottimo, quale uno dei modi di esecuzione dei lavori in economia, è una “procedura negoziata” da esperire per i lavori indicati all’art. 88 (ossia, per l’appunto, quelli di manutenzione) di importo non superiore a 200.00 euro, in cui (tranne il caso in cui l’importo dell’affidamento sia inferiore a 20.000 euro) l’affidamento viene proceduto da una “indagine di mercato” fra almeno cinque ditte ai sensi dell’art. 78 (ossia, l’articolo recante la previsione della gara informale che precede la trattativa privata). Quest’ultima, egualmente, come appena rilevato, presuppone – tranne che per l’ipotesi, introdotta dalla Merloni-quater, di lavori di importo complessivo non superiore a 100.000 (art. 24, comma 1, lett. 0a) – il ricorso ad una gara informale, ai sensi dell’art. 24, comma 5 della Legge quadro.       

[13] I ragionamenti sviluppati nel prosieguo del testo, ricalcano i contenuti degli interventi da noi tenuti al convegno “I servizi di gestione e manutenzione dei patrimoni immobiliari”, (svoltosi il 5 luglio 2002 in Frosinone, organizzato dal locale ordine degli Ingegneri, con il patrocinio dell’amministrazione provinciale) ed al convegno, tenutosi all’Auditorium della Confindustria il 6 ottobre 2002, su “outosourcing, il vantaggio competitivo nella manutenzione”, organizzato dall’Associazione Italiana Manutenzione.     

[14] La diffusione, in generale, di servizi integrati destinati alla manutenzione di immobili – non limitati ad i soli interventi edili od impiantistici, ma più globalmente a programmate azioni di recupero valorizzativo dell’immobile, mediante il più razionale ed efficiente utilizzo di risorse materiali ed umane destinate alla funzionalità dello stesso, va di pari passo con la sempre maggiore diffusione di una cd. cultura terotecnologica, ossia di una scienza che mira ad ottimizzare il tempo e l’uso profittevole e la completa rivalutazione delle risorse  e delle qualità dell’ambiente insediativo urbano. Un’innovativa associazione - voluta e partecipata da rilevanti gruppi imprenditoriali operanti nel anche indirettamente e no nel settore - denominata appunto “Terotec” ha individuato nella manutenzione e nella gestione un sistema strategico integrato di processi strumenti e servizi idonei a favorire il mantenimento e l’incremento delle svariate risorse, valenze e qualità espresse o esprimibili dai patrimoni urbani immobiliari, durante tutto il loro ciclo di vita e di esercizio. Addirittura, corsi universitari si stanno dedicando alla formazione di nuove figure professionali per il management di servizi di Gestione Integrata dei Patrimoni Immobiliari ed un qualificatissimo Master postuniversitario è, tra l’altro, operativo presso l’Università degli studi di Roma “la sapienza” su Asset, Péroperty & Facility Management.  

[15] Per una disamina critica di un global service in ambito pubblicistico, cfr. Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, deliberazione 21 giugno 2001, n. 254.  

[16] Per un classico esempio di creazione di apposita joint-venture, si pensi alle ipotesi delle imprese Kodak, IBM, Digital, e Businessland. In Italia (cfr. Cintolesi-Mocci, “Contabilità ed aspetti fiscali nell’outosourcing dei sistemi informatici”, “Il fisco”, 38/97, 11233 e ss.), si cita l’esperienza del gruppo Finsiel, costituito da società verticali che operano sinergicamente con società specialistiche di natura orizzontale, tra le quali la Netsiel, che fornisce al gruppo capacità e tecnologie produttive.    

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