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n. 11/2007 - © copyright

GIACOMO ANDOLINA*

Il Comune e le cooperative sociali:
è possibile un rapporto preferenziale?

horizontal rule

Missione delle cooperative sociali, secondo l’art. 1 della legge n. 381/1991, è quella di perseguire l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini.

Ad un simile compito sembrerebbe essere chiamato anche il Comune se si ha riguardo alla definizione che di esso dà l’art. 3 del d.lgs n. 267/2000 (“Il comune è l'ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo”) .

Ad una tale comunanza d’intenti, s’affianca per certi versi anche un comune ambito d’attività.

La cooperativa sociale, infatti, persegue il suo compito attraverso:

a) la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi;

b) lo svolgimento di attività diverse - agricole, industriali, commerciali o di servizi - finalizzate all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate (art. 1, l. n. 381/1991) .

Simili interventi possono costituire anche oggetto dell’attività comunale, essendo il Comune titolare di tutte le funzioni amministrative di rilevanza locale (art. 118 Cost.) ed in particolare di quelle inerenti i servizi sociali (art. 6 l. n. 328/2000)

Un siffatto contesto non solo comporta il necessario instaurarsi di reciproche relazioni tra le cooperative sociali ed i Comuni, ma legittima l’istanza delle prime di voler intrattenere con i secondi un rapporto preferenziale.

Tuttavia, la natura pubblicistica del Comune, in quanto subordina l’azione di quest’ultimo ai principi di legalità ed imparzialità, impone di ricercare nel contesto normativo del momento la fonte che possa legittimare il Comune al predetto rapporto preferenziale.

Muovendo da questo intento benevolo verso la cooperazione sociale, l’individuazione delle fonti normative autorizzatorie di un possibile rapporto preferenziale tra Comune e cooperative sociali, non può limitarsi solo a quelle che direttamente concernono queste ultime, ma dovrà concernere anche tutte quelle occasioni offerte dal legislatore alla p.a., di derogare nella propria attività al principio costituzionale d’imparzialità.

Per ottenere un quadro il più possibile esaustivo del panorama di tali fonti normative, occorre considerare i diversi modi con i quali il Comune manifesta la sua presenza nella società e cioè, quale soggetto regolatore di attività, consumatore od erogatore di beni o servizi.

Se il primo modo, espressione tipica di autorità, non contempla deroghe alla par condicio, diverse sono le occasioni normative per un rapporto preferenziale, che è possibile cogliere laddove il Comune si pone come consumatore od erogatore (diretto o indiretto) di servizi.

Comune consumatore di beni o servizi.

Il Comune, al pari di tutte le organizzazioni, per il suo mantenimento o per il suo funzionamento necessita di fornirsi di beni e servizi.

In tal caso una cooperativa sociale in relazione all’attività svolta, ben potrebbe svolgere il ruolo di fornitore di servizi per il Comune.

Lo strumento giuridico che ordinariamente consente al Comune di acquisire beni o servizi è il contratto, la cui conclusione, di regola, avviene attraverso un procedimento amministrativo denominato di evidenza pubblica e retto da norme di diritto pubblico.

La disciplina legislativa attuale, contenuta essenzialmente nel codice dei contratti pubblici (d.lgs n. 163/2006) prevede, in certe condizioni, deroghe al predetto procedimento, consentendo di costituire rapporti contrattuali non aperti a chiunque.

Sinteticamente tali ipotesi derogatorie sono individuabili nelle disposizioni contenute nei seguenti articoli del predetto codice:

a) art. 20 (contratti esclusi) : sono esclusi dall’ambito di applicazione del codice dei contratti, una serie di fattispecie contrattuali indicate nell’allegato B) dello stesso codice e tra esse, in particolare, quelle aventi ad oggetto servizi inerenti l’istruzione, i servizi sociali, sportivi e culturali, campi maggiormente interessati dalle attività delle cooperative sociali.

In tale ipotesi il procedimento di individuazione del contraente è lasciato alla disciplina del singolo ente nel rispetto dei seguenti limiti (art. 27 codice contratti) :

- osservanza dei principi di economicità, trasparenza, efficacia, imparzialità, proporzionalità;

- invito rivolto ad almeno cinque concorrenti, se compatibile con l’oggetto del contratto;

b) art. 52 (contratti riservati) : per singoli contratti o per contratti aventi un particolare oggetto è possibile riservare la loro esecuzione a laboratori protetti o programmi di lavoro protetti, a condizione che la maggioranza dei lavoratori interessati sia composta da disabili i quali, in ragione della natura o della gravità del loro handicap, non possono esercitare un’attività professionale in condizioni normali;

c) art. 57 (procedura negoziata senza bando) : nei casi espressamente previsti da tale articolo, è possibile ricorrere alla negoziazione senza ricerca pubblica del futuro contraente della p.a.

Tra i casi consentiti per il ricorso alla procedura negoziata si segnalano i seguenti:

- diserzione di procedure aperte o ristrette;

- qualora, per ragioni di natura tecnica o artistica ovvero attinenti alla tutela di diritti esclusivi, il contratto possa essere affidato unicamente ad un operatore economico determinato;

- nella misura strettamente necessaria, quando l’estrema urgenza, risultante da eventi imprevedibili non consente di ricorrere alle procedure pubbliche (aperte, ristrette, negoziate con bando) .

Nei casi previsti, la procedura negoziata senza bando può avvenire nel rispetto delle seguenti condizioni:

- osservanza dei principi di concorrenza, trasparenza, rotazione;

- invito rivolto ad almeno tre concorrenti idonei se sussistono in tale numero

d) art. 125 (forniture di beni o servizi in economia): nei casi e limiti stabiliti dal regolamento del singolo ente, è possibile negoziare direttamente con un solo concorrente (per contratti di valore fino ad un massimo di € 20.000,00), oppure con cinque concorrenti se sussistono in tale numero (per contratti di valore fino ad un massimo di € 211.000,00) .

L’individuazione dei concorrenti deve avvenire nel rispetto dei principi di trasparenza, imparzialità, rotazione.

Elemento comune a tutte le ipotesi fin qui elencate, è l’assenza, nella fase di ricerca del contraente della p.a., di quel particolare vincolo di pubblicità che ordinariamente porta quest’ultima a dover ammettere alla contrattazione chiunque manifesti interesse a concorrere e risulti in possesso dei requisiti di capacità previsti dal bando.

Nelle predette ipotesi, cioè, il legislatore per ragioni diverse riferibili al limitato valore del contratto (forniture in economia) piuttosto che ad esigenze di celerità della fornitura (procedura negoziata) o alla particolare natura dell’oggetto del contratto (contratti esclusi, riservati, procedura negoziata) , ha inteso rinunciare alla tutela del principio della più ampia concorrenza in favore di una maggior efficacia dell’intervento della p.a. nella situazione concreta.

In tale prospettiva al venir meno di particolari obblighi di pubblicità, corrisponde una più ampia discrezionalità della p.a., e quindi del Comune, nel decidere i suoi possibili contraenti.

Tale discrezionalità giustifica l’”arbitrarietà” in capo al responsabile della procedura contrattuale, in ordine ai soggetti da invitare a negoziare, salvo i limiti derivanti da una particolare disciplina regolamentare comunale “autolimitativa”.

In un simile contesto, non trova impedimento giuridico una decisione che, magari muovendo da un’espressa previsione statutaria o di altro atto di governo dell’ente a favore della cooperazione sociale, in presenza di una delle ipotesi contrattuali sopraelencate, riservi di negoziare con le sole cooperative sociali, semprechè l’oggetto del contratto abbia pertinenza con le attività proprie delle medesime.

Il rispetto dei principi legali di trasparenza, rotazione, economicità, comporterà, invece, di dar ragione della relazione esistente, nel caso concreto, tra le capacità professionali dei concorrenti invitati ed il contratto da concludere, dei modi di valutazione dell’economicità dell’offerta (comparazione tra più concorrenti o rispetto ad eventuali indagini di mercato) , dei motivi dell’eventuale scelta degli stessi concorrenti o della ripetizione del contratto con il medesimo contraente.

Se nelle ipotesi fin qui esposte la scelta di campo a favore della cooperazione sociale costituisce manifesta espressione di governo comunale, ne esistono altre nelle quali è lo stesso legislatore che espressamente ha operato in tal senso e che per la loro configurazione possono anch’esse costituire fonte di relazione privilegiata tra Comune consumatore di servizi e cooperativa sociale fornitrice dei medesimi.

Si tratta delle disposizioni contenute rispettivamente all’art. 38, 1° comma della legge n. 104/1992 ed all’art. 5 della legge n. 381/1991.

La prima prevede che i Comuni per fornire servizi ai disabili possano avvalersi anche dell’opera di cooperative, oltrechè di associazioni ed ex ipab, concludendo con esse apposite convenzioni, ” sempreché siano idonee per i livelli delle prestazioni, per la qualificazione del personale e per l'efficienza organizzativa ed operativa”.

Dalla lettura di tale disposizione si evince una duplice possibilità per il Comune.

La prima concerne l’utilizzo da parte dell’ente locale delle capacità professionali (ed organizzative) dei predetti soggetti in modo tale che lo stesso ente possa fornire un suo servizio ai disabili (gestione in economia) .

La seconda possibilità, invece, sulla quale ci si soffermerà più avanti, è per il Comune quella di convenzionarsi con i suddetti soggetti per consentire ai propri disabili di accedere al servizio da questi erogato non esclusivamente al Comune, ma a quisque de populo.

L’esistenza stessa di una disposizione come quella contenuta all’art. 38 della legge n. 104/1992, autorizza a dare alla medesima un significato derogatorio della regola della pubblicità che vige nella scelta dei contraenti della p.a.

Infatti, all’infuori di un tale significato, una siffatta disposizione non avrebbe avuto ragion d’essere, stante la generale possibilità per l’ente locale di potersi sempre rivolgere a soggetti esterni specializzati, secondo le regole proprie dell’evidenza pubblica, quando non riesce ad erogare una prestazione con proprio personale.

Occorre, inoltre, rilevare che le prestazioni ai disabili rientrano nella categoria dei servizi sociali che come considerato in precedenza, sono espressamente esclusi dall’applicazione del codice dei contratti pubblici e quindi valgono per essi anche le considerazioni prima espresse in favore dell’esclusione dell’obbligo di pubblicità nella scelta dei contraenti di tali prestazioni contrattuali.

La facoltà riconosciutagli dal legislatore di ricorrere per le prestazioni a favore di disabili a soggetti ben determinati muniti di idonea capacità professionale (cooperative, associazioni, ex ipab) , se abilita l’ente locale a restringere a tali soggetti le possibilità di scelta del contraente, non l’autorizza di per sé ad un’aprioristica negoziazione diretta con uno solo di essi, salvo motivate esigenze riconducibili a particolari fattori collegati con la situazione cui s’intende far fronte (ad es.: una particolare specializzazione maturata dal contraente rispetto al tipo disabilità oggetto dell’intervento comunale) .

La seconda delle disposizioni normative avanti citate (art.5, l381/1991) , abilita gli enti pubblici e società pubbliche di stipulare, anche in deroga alla disciplina in materia di contratti pubblici, convenzioni con le cooperative sociali (di tipo b) per la fornitura di beni e servizi diversi da quelli sociosanitari ed educativi, di valore inferiore alla soglia fissata dalle direttive comunitarie, attualmente di € 211.000,00, purché finalizzate all’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate.

Tale possibilità di relazione preferenziale con l’ente pubblico è offerta non a qualsiasi cooperativa sociale, ma solo a quella che tra i suoi lavoratori abbia almeno il trenta per cento di persone svantaggiate, considerati tali ad esempio, gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, gli ex degenti di ospedali psichiatrici, anche giudiziari, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcolisti, i minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare, le persone detenute o internate negli istituti penitenziari, i condannati e gli internati ammessi alle misure alternative alla detenzione e al lavoro all'esterno (art. 4 l. n. 381/1991).

L’espressa deroga alla disciplina dei contratti pubblici prevista dalla citata disposizione normativa , consente di ritenere che in tale occasione viene meno non solo l’obbligo legale di pubblicità per la ricerca del fornitore comunale , ma persino la necessità giuridica di negoziare con più concorrenti anche se muniti della stessa personalità giuridica (cooperative sociali di tipo b) .

Ancora una volta il legislatore, ha inteso sacrificare il principio della più ampia concorrenza in favore questa volta del conseguimento di una finalità sociale quale l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate.

Il Comune, coglierà l’opportunità offerta dall’art. 5 della legge n. 381/1991, se e in quanto vorrà contribuire al perseguimento di una tale finalità sociale.

Se non sussistono particolari ragioni collegate alla situazione particolare tali da indurre l’ente a negoziare direttamente con una specifica cooperativa sociale (es.: una cooperativa sociale che coinvolge diverse persone svantaggiate residenti nel Comune con improvvisa diminuizione di occasioni di lavoro), il ricorso all’art. 5 si concretizzerà nella negoziazione riservata a più cooperative sociali.

La deroga alla disciplina dei contratti pubblici, poi, trovando ragione in una finalità sociale concerne non solo il principio dell’ampia concorrenza, ma anche eventualmente quello dell’economicità nella scelta del contraente.

Costituendo, infatti, la prestazione richiesta dal Comune un’occasione per la cooperativa sociale (di tipo b) di realizzare la sua missione (l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate) , un tale compito, in relazione al tipo di prestazione ed al tipo di svantaggio delle persone da inserire, potrebbe richiedere un particolare impegno della struttura della cooperativa (es. coinvolgimento di particolari figure professionali od una certa formazione del personale) , i cui costi di gestione difficilmente potrebbero essere concorrenziali con quelli propri del libero mercato.

Occorre, infine, tener presente che un simile interesse del Comune verso le cooperative sociali di tipo b) , può limitarsi a trovare giustificazione nella generica volontà di fornire a tali soggetti la possibilità di realizzare la loro missione sociale, senza per questo far divenire l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate una specifica prestazione sociale offerta dal Comune ai propri amministrati.

In altri termini, il ricorso al convenzionamento con una cooperativa sociale di tipo b) come fin qui considerato, potrebbe rappresentare per il Comune non una risposta al bisogno di lavoro di persone svantaggiate del suo territorio, ma un modo di fornirsi di un servizio (generico) facendo nel contempo “del bene”.

Di seguito, invece, si esamineranno gli aspetti del predetto convenzionamento quale occasione per un Comune per fornire una prestazione sociale alle persone svantaggiate del suo territorio.

Comune prestatore di servizi al pubblico.

Un altro modo di considerare il rapporto Comune-cooperazione sociale nella ricerca delle fonti normative che legittimino una relazione preferenziale, è quello del manifestarsi del Comune quale prestatore di servizi al pubblico, erogati non direttamente, ma per il tramite di un soggetto terzo (gestore), ruolo, quest’ultimo, che ben potrebbe essere svolto da una cooperativa sociale.

Si tratta naturalmente di tutte quelle prestazioni pubbliche riconducibili ai servizi alla persona (asilo nido, assistenza domiciliare, scolastica ai disabili, centri residenziali, ecc.) , in quanto definibili non a rilevanza economica, essendo quelli rilevanti riservati alle società di capitali (art. 113 d.lgs. n. 267/2000) .

Com’è noto dopo l’annullamento dell’art. 113 bis del d.lgs. n. 267/2000 ad opera della Corte costituzionale (sentenza n. 272/2004) , i servizi pubblici comunali privi di rilevanza economia sono sprovvisti di una propria regolamentazione legislativa, acquistando di conseguenza rilevanza la specifica disciplina che ciascun ente vorrà assumere in materia.

La forma di gestione dei servizi pubblici comunali alla persona che in qualche modo può vedere il coinvolgimento diretto di una cooperativa sociale è quella della concessione del servizio.

Com’è noto con la concessione al contrario dell’appalto, il Comune rinuncia a gestire direttamente un servizio pubblico consentendo ad un soggetto terzo di erogarlo in nome proprio e per conto dello stesso ente locale che permane titolare del servizio.

Criterio discriminante tra l’una e l’altra forma di gestione del servizio è il modo di intrattenere il rapporto con l’utenza del servizio. Nella concessione è il concessionario, mentre nell’appalto è il Comune e l’appaltatore presta la propria opera non all’utente, ma allo stesso Comune.

La disciplina normativa dei contratti pubblici (d.lgs. n. 163/2006) regolando i rapporti tra p.a. e suoi fornitori, non concerne le concessioni di servizi pubblici per le quali vige l’apposita legislazione di settore od in mancanza quella propria del singolo ente da svolgersi nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento.

Per la scelta del gestore di servizi pubblici in generale , attualmente vige l’art. 30 del codice dei contratti pubblici ai sensi del quale: “La scelta del concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità, previa gara informale a cui sono invitati almeno cinque concorrenti, se sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione all’oggetto della concessione, e con predeterminazione dei criteri selettivi”.

La necessità di osservare i principi di non discriminazione e parità di trattamento, di primo acchito sembrerebbe ostacolare la possibilità di costituire nella gestione di servizi pubblici comunali alla persona rapporti preferenziali con le cooperative sociali.

Occorre, tuttavia, considerare che la Corte costituzionale con la già citata sentenza n. 272 ha avuto modo di affermare che in materia di servizi pubblici comunali privi di rilevanza economica “non esiste un mercato concorrenziale” (“ A questo proposito la Commissione europea, nel "Libro Verde sui servizi di interesse generale" (COM-2003-270) del 21 maggio 2003, ha affermato che le norme sulla concorrenza si applicano soltanto alle attività economiche, dopo aver precisato che la distinzione tra attività economiche e non economiche ha carattere dinamico ed evolutivo, cosicché non sarebbe possibile fissare a priori un elenco definitivo dei servizi di interesse generale di natura "non economica". Secondo la costante giurisprudenza comunitaria spetta infatti al Giudice nazionale valutare circostanze e condizioni in cui il servizio viene prestato, tenendo conto, in particolare, dell'assenza di uno scopo precipuamente lucrativo, della mancata assunzione dei rischi connessi a tale attività ed anche dell'eventuale finanziamento pubblico dell'attività in questione (Corte di Giustizia CE, sentenza 22 maggio 2003, causa 18/2001) . Per i servizi locali, quindi, che, in relazione al soggetto erogatore, ai caratteri ed alle modalità della prestazione, ai destinatari, appaiono privi di "rilevanza economica", ci sarà dunque spazio per una specifica ed adeguata disciplina di fonte regionale ed anche locale.”: C. cost., sent. n. 272/2004) .

I servizi pubblici comunali che potrebbero essere gestiti in concessione dalle cooperative sociali sono solo quelli a carattere socio-assistenziale (ivi compreso l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate) ed educativo. Tali servizi per le modalità della prestazione e per i loro destinatari certamente sono riconducibili a quelli privi di rilevanza economica ed a maggior ragione se gestiti da cooperative sociali in quanto soggetti caratterizzati dall’assenza “di uno scopo precipuamente lucrativo”.

I servizi pubblici comunali gestibili dalle cooperative sociali, quindi, in quanto estranei alle logiche della concorrenza dovrebbero sfuggire alla disciplina legislativa statale per trovare spazio in quella regionale ed anche in quella regolamentare locale.

In questa prospettiva, ed in assenza di contraria legislazione regionale, una scelta normativa locale che riservi alle cooperative sociali la gestione di determinati servizi, giustificata dal nesso esistente tra l’oggetto di tali servizi e la “vocazione professionale” di queste ultime, in quanto materia ascrivibile, secondo il ragionamento del giudice costituzionale, alla disciplina regolamentare comunale, sarebbe giuridicamente fondata ed ai sensi dell’art. 4 della legge n. 131 del 2003, avrebbe l’effetto di poter disapplicare, per tali aspetti, il citato art. 30 del codice dei contratti pubblici.

Tuttavia, anche in assenza di specifica regolamentazione locale, la condivisione della tesi del giudice costituzionale circa l’assenza di mercato concorrenziale nei servizi privi di rilevanza economica, consente di poter affermare che i principi di parità di trattamento e non discriminazione previsti dall’art. 30 del codice dei contratti, nell’affidamento in concessione di tali servizi, possano essere intesi non come indiscriminata apertura a qualsiasi soggetto che possa gestire con efficienza il servizio, ma come necessità di rispetto della par condicio tra coloro che potrebbero concretamente possedere quel particolare requisito considerato dall’ente discriminante per l’efficacia della prestazione stessa.

Tale requisito nel caso dei servizi alla persona potrebbe corrispondere alla natura giuridica rivestita dal concorrente in quanto indice di particolare capacità professionale a svolgere il servizio.

In tal senso, essendo la gestione dei servizi sociali od educativi lo scopo stesso dell’esistenza giuridica delle cooperative sociali, esse, almeno astrattamente, si candiderebbero ad essere i soggetti più preparati a fornire tali prestazioni.Di conseguenza, restringere la selezione del gestore di un tale servizio pubblico comunale alle sole cooperative sociali risponderebbe a criteri di efficacia dello stesso servizio.

Per completezza d’indagine occorre tener presente che una predetta specializzazione nel campo dei servizi socio-educativi non costituisce prerogativa assoluta delle cooperative sociali, ma potrebbe ritrovarsi, sempre astrattamente, anche in capo a tutte quelle organizzazioni che dei servizi alla persona ne fanno scopo della loro esistenza, missione sociale e non strumento di lucro.

Ci si riferisce a tutte quelle organizzazioni qualificate dalla legge n. 155 del 2006 come imprese sociali (“Possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutte le organizzazioni private, ivi compresi gli enti di cui al libro V del codice civile, che esercitano in via stabile e principale un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale…” art. 1) delle quali le cooperative sociali fanno parte a pieno titolo (art. 17, 3° co.) .

Per tale motivo, l’eventuale scelta comunale di limitare la selezione del concessionario di un servizio socio-educativo a soggetti “vocati” per legge alla gestione dei medesimi, non potrà riguardare solo le cooperative sociali, ma generalmente tutte le imprese sociali che hanno per scopo la gestione di tali servizi.

Conclusivamente, un rapporto preferenziale, nei termini fin qui esposti, del Comune verso le imprese sociale (compreso quindi le cooperative sociali) perla gestione in concessione di servizi pubblici sociali od educativi, non solo risulterebbe in linea con la legislazione nazionale tesa a valorizzare tali soggetti nel campo dei servizi alla persona (per tutti si veda l’art. 1, 4°co. ed art. 5, 2° co. l. n. 328/2000) , ma neppure contrasterebbe con la disposizione contenuta all’art.30 del codice dei contratti pubblici, ed a ben vedere, neanche con la normativa comunitaria se si tiene presente che la direttiva CE 18/2004 , nel campo delle forniture di beni e servizi della p.a., esclude la sua integrale applicazione, in particolare per le forme di pubblicità, ai servizi sociali, ricreativi, culturali, sportivi ed a quelli inerenti l’istruzione, (all. II B direttiva) .

In tale contesto è possibile fondare anche il particolare rapporto del Comune con le cooperative sociali di tipo b) per l’inserimento di persone svantaggiate, senza, in questo caso, ricorrere alla disposizione di favore contenuta all’art.5 della legge n. 381/1991.

Esaminando in precedenza i rapporti Comune consumatore di servizi e cooperazione sociale, quest’ultima disposizione è stata invocata per giustificare l’affidamento da parte dell’ente locale di una commessa di lavoro a favore di una cooperativa sociale che pratica l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate. In tale occasione il convenzionamento ex art. 5 l. n. 381/1991 è stato configurato come uno dei tanti modi per il Comune di fornirsi un servizio del quale necessita, senza per questo coinvolgersi espressamente nella specifica azione sociale svolta dalla cooperativa con la commessa di lavoro ricevuta

In questa sede, invece, è lo stesso Comune che assume l’iniziativa di considerare tra le sue prestazioni al pubblico anche l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate e per l’erogazione di una tale prestazione ricorre ad una cooperativa sociale fornendole nel contempo occasioni di lavoro.

In tale prospettiva, l’oggetto del rapporto Comune-cooperativa sociale non è più immediatamente la fornitura del servizio per la quale sono impiegate le persone svantaggiate, ma l’attività di inserimento lavorativo di queste ultime individuate però dallo stesso Comune.

In questo modo il compito della cooperativa affidataria non sarà solo quello di fornire lo specifico servizio del quale l’organizzazione comunale necessita (pulizia, mantenimento verde pubblico, archiviazione ecc..) , ma di accompagnare a tale lavoro le persone indicatele dallo stesso Comune affidante.

La cooperativa, quindi, risulterà coinvolta non nel semplice svolgimento di una prestazione contrattuale, ma nell’esercizio di una vera e propria funzione amministrativa comunale (l’inserimento lavorativo) della quale svolgerà una parte significativa, quella riguardante l’accompagnamento della persona interessata al lavoro.

In tale contesto, le occasioni di lavoro offerte dal Comune costituiranno un mezzo per consentire alla cooperativa sociale di conseguire il risultato affidatole (inserire al lavoro persone svantaggiate) , ponendosi in tal modo in posizione strumentale rispetto al compito sociale che il Comune con l’ausilio della cooperativa intende svolgere.

In questo modo, in quanto la cooperativa sociale con la sua prestazione agli utenti collabora nella gestione di un servizio pubblico comunale, il rapporto giuridico che si costituisce in tale occasione tra Comune e cooperativa sociale trae fonte da un provvedimento amministrativo (la concessione di un’attività di competenza consiliare ex art. 42, 2°co. lett. e del d.lgs n. 267/2000) che si completa con la stipula della successiva convenzione la quale concreta uno di quei contratti ad oggetto pubblico attualmente disciplinati dall’art. 11 della legge n. 241/1990.

Circa le modalità di scelta della cooperativa sociale per l’affidamento di una tale attività pubblica, valgono le considerazione precedentemente espresse sull’applicazione dell’art. 30 del codice dei contratti pubblici con riguardo ai servizi sociali od educativi, con l’ulteriore precisazione che per l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, il campo di ricerca del concessionario è possibile restringerlo alle sole cooperative sociali di tipo b) , anziché alle imprese sociali in generale.

Tali cooperative, infatti, in quanto create dal legislatore allo scopo di realizzare l’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate, risulterebbero i soggetti più qualificati a gestire un simile servizio comunale e di conseguenza, una riserva a loro favore nella scelta del gestore sarebbe giustificata per il forte collegamento esistente tra prestazione richiesta e capacità professionale dei concorrenti.

E’ appena il caso di precisare che nella prospettiva dell’affidamento ad una cooperativa sociale di tipo b) dell’inserimento lavorativo di persone svantaggiate quale servizio/attività del Comune, non trova applicazione l’art. 5 della legge n. 381/1991, e quindi le sue limitazioni, in quanto non si è di fronte ad un contratto di fornitura alla p.a. la cui scelta del contraente è disciplinata dal codice dei contratti pubblici, ma di gestione di servizio pubblico comunale al quale si applica per l’individuazione del gestore l’art.30 dello stesso codice dei contratti con le precisazioni fornite in precedenza.

Per contro nel caso di svolgimento per conto del Comune dell’attività d’inserimento lavorativo, le occasioni di lavoro offerte dall’ente, in quanto strumentali al servizio pubblico comunale erogato, dovranno essere commisurate quantitativamente e qualitativamente alle persone svantaggiate inserite, limitazione, invece, non ricorrente nell’ipotesi prevista dall’art.5 della legge n. 381/1991.

Se, nei modi fin qui esposti, un rapporto di preferenza è possibile fondarlo nella concessione di un servizio pubblico comunale, nelle altre forme di gestione ricorrenti nella prassi degli enti locali (associazioni, fondazioni, società miste) , il coinvolgimento nella conduzione dell’attività potrà avvenire soltanto con la costituzione di uno specifico rapporto contrattuale con tali enti e non immediatamente con il Comune, con il quale, invece, potrebbe instaurarsi un rapporto di compartecipazione nella proprietà dell’ente gestore.

Comune sostenitore di un servizio al pubblico.

Considerare il rapporto cooperative sociali/Comune nel ruolo di quest’ultimo quale sostenitore di un servizio pubblico, implica in primo luogo un capovolgimento nella concezione di un servizio pubblico, inteso non più nel solo senso soggettivo, quello erogato da una p.a., ma in quello oggettivo quale insieme di prestazioni erogate al pubblico.

In tale ipotesi il Comune non si presenta più quale titolare di un servizio pubblico, ma quale sostenitore di un servizio reso al pubblico da un soggetto privato.

Il sostegno comunale si giustifica in quanto lo stesso ente locale reputa di interesse per la propria popolazione la prestazione erogata dal privato.

Un tale modo di procedere costituisce la forma più concreta di dare attuazione al principio di sussidiarietà orizzontale affermato dall’art. 118 della Costituzione.

In quest’ipotesi, l’intervento comunale non si configura immediatamente quale diretto sostegno al privato gestore , ma quale modo di rimuovere un ostacolo economico per consentire ai cittadini-utenti l’accesso al servizio offerto dal privato.

Trattandosi di sostegno economico a persone, il rapporto contrattuale che si costituisce con il gestore privato non sarà più quello tipico (ed esclusivo) dell’appalto d’opera o servizio, ma quello di una promessa di pagamento (in nome e per conto dell’utente) condizionata al verificarsi di determinati presupposti (standards quali/quantitativi della prestazione, frequenza dell’utente, situazione economica dell’interessato ecc..) .

Non costituendosi più, quindi, un rapporto contrattuale di tipo gestorio, nell’ipotesi in esame potrebbero sussistere, anzi ne sarebbe auspicabile, una pluralità di erogatori della stessa prestazione di pubblica utilità, e l’effettiva scelta verrebbe effettuata dall’utente della prestazione nell’ambito di quelli individuati dal Comune quale degni di sostegno in quanto rispondenti a determinati parametri quali/quantitativi.

In questa prospettiva, quindi, la garanzia pubblicistica della parità di trattamento non sarà volta ad ottenere un’esclusiva prestazione di servizio, ma a rendere effettiva la pluralità di scelta degli utenti attraverso la pubblicizzazione delle possibilità offerte dal Comune una volta predeterminati gli “standards” del servizio, i criteri, quale l’indicatore della situazione economica equivalente (i.s.e.e.) , ed i limiti (eventuale tetto di spesa) per l’accesso degli utenti alla contribuzione comunale.

A tale logica sono da iscrivere anche quelle forme d’intervento ricorrenti nella prassi comunale quali i ricoveri a cura dell’ente di persone presso strutture socio-assistenziali esistenziali gestiti da privati (case di riposo, centri socio-educativi, case famiglie ecc..) .

In tutti i predetti casi, il ruolo del Comune di fatto non è quello di fornitore della prestazione, ma di assistenza, in relazione al bisogno espresso, nell’individuazione del soggetto erogatore della prestazione e di garante del pagamento del corrispettivo al quale provvede in nome e per conto dell’utente che vi contribuisce, parzialmente o integralmente , in relazione alla situazione economica posseduta.

La forma ordinaria di regolazione di un siffatto rapporto in modo stabile è attualmente quella del convenzionamento/accreditamento.

Pur non essendo una prerogativa esclusiva delle cooperative sociali, un rapporto giuridico così costituito , può rappresentare per esse un valido strumento di promozione ove il Comune intendesse valorizzarne l’attività.

Fonte normativa primaria di un tale rapporto è l’articolo 118, ult.co. della Costituzione (“ Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”) , ma ulteriori fonti è possibile individuarli in modo generale all’art. 3, 5° co. del d.lgs. n. 267/2000 (“..I comuni e le province svolgono le loro funzioni anche attraverso le attività che possono essere adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali”) ed all’art. 43 della legge n. 449/1997 (“Al fine di favorire l'innovazione dell'organizzazione amministrativa e di realizzare maggiori economie, nonché una migliore qualità dei servizi prestati, le pubbliche amministrazioni possono stipulare contratti di sponsorizzazione ed accordi di collaborazione con soggetti privati ed associazioni, senza fini di lucro, costituite con atto notarile”).

In modo più specifico invece è possibile riferirsi:

- all’art. 1 della legge n. 328/2000 per i servizi sociali in generale;

- al già citato art. 38, 1° co. della legge n. 104/1992, per i disabili, ma anche il secondo comma della medesima (“I comuni, anche consorziati tra loro, le loro unioni, le comunità montane, rilevata la presenza di associazioni in favore di persone handicappate, che intendano costituire cooperative di servizi o comunità-alloggio o centri socio-riabilitativi senza fini di lucro, possono erogare contributi che consentano di realizzare tali iniziative per i fini previsti dal comma 1, lettere h) , i) e l) dell'articolo 8, previo controllo dell'adeguatezza dei progetti e delle iniziative, in rapporto alle necessità dei soggetti ospiti, secondo i principi della presente legge.”) ;

- all’art. 90, 25° co. della legge n. 289/2002 per l’uso di impianti sportivi comunali da parte di associazioni ed enti di promozione sportiva;

- all’art. 30 della legge n. 383/2000 per le convenzioni con le associazioni di promozione sociale;

- all’eventuale legislazione regionale (per la Lombardia cfr.ad es.: art. 5 l.r. n. 23/1999, art. 4 l.r. n. 34/2004, art. 3 l.r. n. 27/2006, art. 5  l.r. n. 8/2005) .

A conclusione dell’indagine fin qui condotta, è possibile rispondere affermativamente alla domanda su un possibile rapporto preferenziale tra il Comune e le cooperative sociali.

Numerose e varie sono in tal senso le possibilità offerte dal legislatore all’ente locale.

Peraltro, bisogna rilevare che per un effettivo costituirsi di un simile rapporto preferenziale, non è sufficiente conoscere l’esistenza di una norma autorizzatoria, ma occorre in ogni caso una scelta di governo (“politica”) , quella cioè di voler esplicitamente sostenere la cooperazione sociale per la funzione pubblica, nel senso d’interesse generale, da essa svolta.

Il legislatore, infatti, in questo campo favorisce una relazione, ma non la impone.

Di tal verso, un esplicito riferimento al sostegno della cooperazione da parte dello Statuto o del regolamento comunale, potrà costituire un valido argomento per legittimare, nei casi consentiti dalla legge, una scelta di campo a favore della cooperazione sociale.

 

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(*) Segretario Generale del Comune di Varese.


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