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Articoli e note

 

 MASSIMILIANO ALESIO
(Avvocato)

Il servizio idrico integrato fra Scilla e Cariddi [1]

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INDICE: 1. Premessa. Il Servizio Idrico Integrato. Gli ambiti territoriali ottimali.  2. La concessione di pubblico servizio: inquadramento storico-teorico e disciplina della normativa nazionale e comunitaria.  3. La concessione a terzi del Servizio Idrico Integrato: il decreto del 22/11/2001.  4. Le circolari interpretative del decreto.  5. Il ribaltamento di disciplina: l'art. 35, comma V della Legge Finanziaria 2002 (L. 448 del 28/12/2001).  6. Questione connessa: la proprietà degli impianti e delle reti.

 

1. Premessa. Il servizio idrico integrato. gli ambiti territoriali ottimali.

Non costituisce certo una novità il fatto che le materie oggetto di diritto amministrativo siano, sempre più spesso, destinatarie di interventi normativi continui e talora, come nel caso di specie, contraddittori. La naturale spiegazione risiede nella logica osservazione che il diritto amministrativo, in quanto ramo del diritto pubblico che si occupa della cura degli interessi pubblici, non può non dar luogo a discipline continuamente cangianti e fortemente sensibili rispetto al mutare degli orientamenti e delle esigenze.

Diversamente dal diritto civile e dal diritto penale, il diritto amministrativo è un diritto ad oggetto variabile, in quanto la Pubblica Amministrazione, in ogni epoca storica, persegue fini differenti, assumendo o dismettendo alcuni settori della propria gestione. Le diversità dei fini da perseguire sono da riconnettere alle mutevoli esigenze che maturano nella collettività e che contrassegnano, storicamente, una data tipologia di Stato. Dallo Stato di polizia, quale forma razionalizzata di Stato assoluto, impostasi nel XVIII secolo, si è passati allo Stato di diritto e, poi, allo  Stato sociale ed, infine, allo Stato sociale di diritto, attuale forma statuale dai contorni ancora evanescenti ed in corso di definizione [2].

Il servizio idrico integrato, come vedremo fra breve, è stato prima destinatario di un decreto del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio del 22/11/2001 (Modalità di affidamento in concessione a terzi della gestione del servizio idrico integrato, a norma dell’articolo 20 comma I L. 36/1994), accompagnato da due circolari interpretative, poi è stato interessato da uno specifico comma, il V, dell’articolo 35 della Legge Finanziaria 2002, prevedente una nuova disciplina in materia di servizi pubblici. Le due discipline sono apertamente contrastanti fra di loro. La prima prevede il conferimento in gara del servizio, attraverso il modello gestionale della concessione a terzi, in ottemperanza all’articolo 20 della Legge Galli; la seconda introduce un periodo di sospensione, consentendo il permanere del sistema dell’affidamento diretto, certo di non breve durata.

Prima di occuparci delle diverse normative e del sussistente contrasto, si rivela più che opportuno operare un breve approfondimento dei diversi istituti in gioco.

Ai sensi dell’articolo 4  I comma lettera f) della legge 36/1994 (Disposizioni in materia di risorse idriche – nota pure come legge Galli), il servizio idrico integrato ricomprende i servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue.  Dal punto di vista storico, occorre ricordare che, in materia di utilizzo delle risorse idriche, la legge 129/1963 prevedeva la predisposizione di un Piano Regolatore Generale degli Acquedotti, di competenza statale, avente ad oggetto la determinazione degli schemi sommari per la costruzione di nuovi acquedotti e per la sistemazione di quelli esistenti, al fine di garantire l’approviggionamento idrico degli agglomerati urbani e rurali. La successiva legge 319/1976, oggi abrogata dal D.Lgs. 152/1999, prevedeva un parziale strumento di pianificazione, consistente nel Piano di risanamento delle acque, avente ad oggetto la tutela qualitativa delle stesse [3].

Il modello viene capovolto con la L. 183/1989, con la quale non viene più disciplinata una singola materia, ma viene fissato l’obiettivo di difesa del suolo, che necessariamente ricomprende anche l’elemento acqua, di cui occorre tutelarne la qualità e, conseguentemente, coordinare qualsiasi uso suscettibile di rilevanti effetti sulla medesima. Con la L. 36/1994 , viene operata un'integrazione dei servizi relativi all’acqua, non soltanto funzionale, da realizzarsi mediante coordinamento fra i medesimi (acquedotto, fognatura e depurazione), ma anche una riorganizzazione soggettiva, tendente alla costituzione di un gestore unico. Conferme di tale opzione possono essere rintracciate, in primo luogo, nel carattere di eccezionalità attribuito alle ipotesi di conservazione, mediante lo strumento della salvaguardia, ex articolo 4, degli organismi di gestione preesistenti, ammesse solo ove previste dagli enti competenti e, comunque, condizionate dalla rispondenza delle gestioni da salvaguardare a criteri di efficienza, efficacia ed economicità. Un ulteriore conferma della tendenza alla creazione di un gestore unico, cui affidare il ciclo integrale delle acque, può ravvisarsi nella previsione, di carattere generale, prevista dall’articolo 10 della Legge Galli, secondo cui le gestioni in concessione esistenti cessano alla scadenza della concessione medesima [4].  

L’Ambito Territoriale Ottimale (A.T.O.) costituisce una unità territoriale, composta non più dagli enti territorali tradizionali (Comuni e Province), ma da circoscrizioni individuate sulla base di parametri tecnico-economici.

La motivazione dell’introduzione degli A.T.O. nelle normative sui servizi pubblici locali deve essere individuata nell’esigenza di superare la frammentarietà di organizzazione dei servizi medesimi, al fine di consentire la più facile trasformazione dei medesimi in attività imprenditoriali complesse, da gestire, da parte degli Enti Locali, non più separatamente, ma in forma associata, in modo da garantire i fondamentali principi di efficienza, efficacia ed economicità della gestione, nonché il conseguimento di economia di scala di integrazione. È fuor di dubbio, infatti, che la frammentazione delle gestioni, con la netta prevalenza di quelle in economia, ha, da sempre, determinato dimensioni di impresa insufficienti a garantire livelli minimi di efficienza tecnica, economica e di razionalità ambientale.

La "polverizzazione" del settore idrico è stata recentemente ben illustrata in un chiaro articolo, pubblicato sul quotidiano economico "Il Sole 24 Ore" del 29/12/2001, dove viene affermato che a quasi otto anni dall'approvazione della Legge Galli, lo sviluppo del mercato per i Servizi Idrici resta ancora solo sulla carta. La gestione industriale dell'acqua, una delle principali finalità della L. 36/94, è frenata dall'eccessiva frammentazione: sono 8.100 i soggetti che a vario titolo operano nel settore. Per superare questa polverizzazione, la Legge Galli ha stabilito una gestione per ambiti territoriali ottimali (ATO), ma sugli 89 previsti sono 48 quelli realmente insediati, e di questi solo 25 hanno effettuato una ricognizione delle opere [5].

Dunque ricondurre gli ambiti di pianificazione e di gestione dei servizi a livelli territoriali, diversi dai confini degli enti territoriali, ha costituito il fulcro di ogni disegno di riforma dei servizi pubblici locali, nella considerazione che l’obiettivo delle Pubbliche Amministrazioni fosse quello di ricercare modelli gestionali più efficienti, anche al fine di assicurare elevati livelli di qualità, in un ottica di tutela degli utenti. Ad ogni modo, solo con la L. 36/1994, viene riformultata in modo più deciso, e quasi coercitivo, la previsione già contenuta nell’articolo 35 delle legge 183/1989 (individuazione degli A.T.O., attraverso i Piani di bacino) e viene, inoltre, operato un rinvio ad appositi atti regionali, quale fonte di individuazione degli Ambiti Territoriali Ottimali.

2. La concessione di pubblico servizio: inquadramento storico-teorico e disciplina della normativa nazionale e comunitaria.

L’articolo 20 della L. 36/1994, di cui il decreto ministeriale costituisce attuazione, prevede la concessione a terzi quale modulo gestionale del servizio idrico integrato: La concessione a terzi della gestione del servizio idrico, nei casi previsti dalla presente legge, è soggetta alle disposizioni dell’appalto pubblico di servizi degli enti erogatori di acqua in conformità alle vigenti direttive della Comunità Europea in materia, secondo modalità definite con decreto del Ministro dei lavori pubblici, di concerto con il Ministro dell’ambiente.

Prima di esaminare la normativa introdotta dal decreto ministeriale del 22/11/2001, ora sconfessato dalla Legge Finanziaria 2002 (!!), si pone necessario procedere ad un breve inquadramento storico teorico della concessione a terzi.

La concessione di pubblico servizio trae origine da una precisa vicenda storica. Si intende alludere alla vicenda della costruzione e della gestione dell’illuminazione pubblica di strade e piazze, nonché di taluni acquedotti comunali, la quale può essere considerata come paradigmatica di una evoluzione della struttura dei rapporti fra Pubblica Amministrazione e concessionari, la cui attività assunse nel tempo rilevanza per la collettività.

Sul finire del secolo scorso, sotto il vigore della legge comunale e provinciale del 1898 (R.D. 164/1898), i Comuni, obbligati a provvedere all’illuminazione di strade e piazze, soddisfacevano tale esigenza attraverso l’affidamento a terzi del “compito” di realizzare e gestire le infrastrutture. Dunque, la concessione di pubblico servizio nacque, in origine, come concessione di costruzione e gestione degli impianti realizzati. Solo successivamente, il profilo della costruzione si staccò dal paradigma originario, dando luogo all’attuale modulo gestionale. Imprese, controllate in prevalenza da capitali d’oltralpe, stipulavano con i Comuni italiani contratti aventi ad oggetto l’erogazione del gas, previa costruzione delle reti, come strumento di pubblica illuminazione, secondo clausole, le quali, pur rivelando una pluralità di oggetti, si presentano accomunate da un’unica causa giuridica, la quale legittima un uso speciale di beni pubblici, quali strade e piazze, necessario per l’erogazione del servizio di pubblica illuminazione.

Infatti, tale servizio poteva presentare, e invero presentava, svariati contenuti: dalla mera vendita di gas per illuminazione, alla costruzione della rete di distribuzione unitamente alla collocazione di lampioni con annessa manutenzione, all'accensione ed allo spegnimento delle lampade. Parimenti, la vicenda storica della costruzione e gestione degli acquedotti segnala un’evoluzione, che porta a selezionare nel tempo il servizio d’acqua potabile e di acque reflue, a partire dalla struttura della concessione di bene demaniale.

E’ stato ben chiarito che la gestione del servizio di erogazione dell’acqua ha trovato fondamento, a partire dalla seconda metà del secolo scorso, in due tipi di concessioni di beni: - una di derivazione d’acqua; - un’altra avente ad oggetto l’installazione di tubazioni nel sottosuolo delle strade cittadine. Sovente, le società concessionarie seguivano uno schema giuridico, che prevedeva lo scambio di quantitativi d’acqua con la facoltà di occupare il suolo pubblico. Certamente, si è lontani dalla nozione di gestione di pubblico servizio, in quanto la struttura è ancora quella propria delle concessioni d’uso di bene demaniale; tuttavia, i primi casi di finanziamento di opera pubblica, attraverso l’attribuzione al concessionario degli importi del servizio, evidenzia lo sviluppo del modello gestionale [6].

Da un punto di vista strutturale, la concessione di pubblico servizio è stata tradizionalmente inquadrata in una fattispecie complessa, costituita da un provvedimento unilaterale della Pubblica Amministrazione (la deliberazione di affidamento del servizio) e da un contratto privatistico accessivo, disciplinante in particolare i rapporti patrimoniali (cosiddetta Teoria della concessione-contratto). La fattispecie complessa risulta disciplinata sia dalle norme e dai principi di diritto pubblico, che dal codice civile. I due rapporti, presentati come autonomi, in realtà interagirebbero fortemente l’uno con l’altro, al punto che il venir meno di quello pubblicistico (ad esempio, una motivata revoca della deliberazione di affidamento) determinerebbe la risoluzione del contratto.

Alla base di questa teoria, vi è la convinzione, a lungo radicata nella nostra cultura amministrativistica, che momenti di negoziazione fra soggetti pubblici e privati possono sussistere, anche in ordine ad attività concernenti oggetti pubblici, ma solo relativamente a profili di carattere patrimoniale. Da qui l’esigenza assoluta di configurare, nella fattispecie costitutiva dei rapporti di concessione, un provvedimento, con il quale la P.A. disporrebbe del potere amministrativo, rendendo così negoziabili con il privato gli aspetti economici del rapporto [7].

La teoria della fattispecie complessa ha sempre presentato un chiaro punto debole, costituito dalla sostanziale mancanza di autonomia dei due atti, per cui il provvedimento unilaterale non è di per sé in grado di dar vita ad un concreto e definito rapporto giuridico con il privato; parimenti, il contratto accessivo risulta continuamente esposto al rischio di essere posto nel nulla, per effetto di unilaterali provvedimenti della P.A., formalmente riguardanti il solo atto amministrativo di conferimento del servizio.

La teoria della fattispecie complessa è entrata in evidente crisi, laddove è divenuta sempre meno sostenibile la vetusta tesi della non negoziabilità del potere amministrativo. Il punto di rottura è stato rappresentato, in un certo senso, dall’articolo 11 della legge 241/1990, il quale ha consacrato la piena legittimità degli accordi procedimentali e di quelli sostitutivi. Allora, ha sempre più preso piede una nuova concezione, la quale inquadra la concessione di pubblico servizio come un rapporto giuridico unitario, di natura contrattuale, disciplinato dal codice civile e dai principi pubblicistici [8].

La normativa nazionale. Secondo la precedente versione dell’articolo 113 del D. Lgs. 267/2000, ora modificato dall’articolo 35 della Legge Finanziaria 2002 (la quale ha abrogato il modulo gestionale della concessione a terzi, come vedremo), l’ente locale poteva ricorrere alla concessione di pubblico servizio, qualora sussistano ragioni tecniche, economiche e di opportunità sociale. Le ragioni tecniche sono rinvenibili nelle ipotesi nelle quali la P.A. non disponga di strutture tecnologiche e del relativo know-how per l’erogazione del servizio. Le ragioni economiche possono essere reperite in una minore spesa, sia corrente che in conto capitale, che la P.A. intende perseguire per lo sviluppo, oltre che per la gestione di un dato servizio, rispetto a quello che avrebbe dovuto affrontare con la gestione diretta, o con un’azienda speciale [9].

Le ragioni di opportunità sociale costituiscono, invero, la componente di maggiore variabilità del quadro degli elementi di decisione, in quanto si riconnettono ad aspetti peculiari del servizio specifico, incidenti sulle dinamiche di soddisfazione della comunità locale. Per quanto concerne la scelta del concessionario, la giurisprudenza unanime ha sempre ritenuto doveroso procedere all’indizione di un'asta pubblica, così come previsto dall'articolo 267 del R.D. 1175/1931, il quale prevede la possibilità di ricorrere alla licitazione privata ed alla trattativa privata come residuale ed eccezionale [10].

La normativa comuntaria. Le concessioni non vengono definite dal Trattato istitutivo dell’Unione Europea. L’unica definizione rinvenibile nel diritto comunitario è rappresentata dalla “Direttiva lavori” (Direttiva 93/37/CEE), la quale prevede un regime specifico per la concessione di lavori. Ciò non significa, invero, che le concessioni sfuggano alle norme ed ai principi del Trattato. Infatti, le concessioni, nei limiti e nelle condizioni in cui si configurano come atti dello Stato, aventi ad oggetto, prestazioni di attività economiche o forniture di beni, sono soggette alle norme del Trattato ed ai principi sanciti in materia dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee.

La Direttiva Servizi (92/50/CEE) non contiene alcuna definizione della nozione di concessione di servizi. Al fine di pervenire ad una definizione, seppur parziale, è opportuno identificare i tratti essenziali del rapporto concessorio. Utilizzando il "criterio gestionale", adoperato per le concessioni di lavori, si può dire che si è in presenza, secondo l’ordinamento comunitario, di una concessione di servizi quando l’operatore economico si assume i rischi di gestione del servizio, rivalendosi sull’utente attraverso la riscossione di un canone. Come anche nell’ordinamento nazionale, anche nell’ordinamento comunitario, la concessione di servizio risulta caratterizzata da due rilevanti profili. In primo luogo, il trasferimento della responsabilità di gestione dal concedente-Pubblica Amministrazione al concessionario. In secondo luogo, la concessione riguarda attività che, per loro natura, oggetto o normative di disciplina, rientrano nella sfera di responsabilità dello Stato e sono oggetto di diritti esclusivi o speciali [11].

Nei riguardi delle concessioni di servizi trovano applicazione i seguenti fondamentali principi comunitari: - Il princio di parità di trattamento, ex artt. 43 (ex 52)  e 49 (ex 59) del Trattato, in virtù del quale non è possibile trattare in modo diverso situazioni analoghe ed in modo eguale situazioni diverse; - Il principio di trasparenza, in virtù del quale le Amministrazioni, che intendano affidare servizi, devono rendere pubblica tale loro intenzione, con modalità adeguate, investenti pure gli elementi procedurali (oggetto della concessione, criteri di selezione, etc); - Il principio di proporzionalità, il quale esige che ogni provvedimento amministrativo sia, al tempo stesso, necessario ed adeguato rispetto agli scopi da perseguire; - Il principio di mutuo riconoscimento, in base al quale, nel campo delle concessioni, ogni Stato membro deve accettare le specifiche tecniche, i controlli, i titoli, i certificati e le qualifiche prescritte in un altro Stato membro, nella misura in cui essi siano riconosciuti equivalenti a quelli richiesti dallo Stato membro destinario della prestazione.

3. La concessione a terzi del servizio idrico integrato: il decreto del 22/11/2001.

Occorre rilevare e premettere che il settore del servizio idrico integrato ha recentemente conosciuto un importante contenzioso, interessante il territorio dell’ATO 3 Toscana, culminato in due sentenze, di indubbio rilievo. La controversia, su cui si sono pronunciate prima la sentenza del TAR Toscana n. 25/2001 e, poi, quella del Consiglio di Stato n. 5004 del 24.9.2001, ha riguardato in parte, talune complesse problematiche relative all'applicazione della normativa statale e regionale, emanata in materia di risorse idriche, ed, in parte, un operazione di concentrazione dei servizi pubblici ed, in particolare, un operazione di riorganizzazione del modello generale di gestione dei servizi locali idrici, energetici ed ambientali, avviata da taluni Comuni, ricompresi nel territorio predetto e proprietari di aziende pubbliche.

Il complesso procedimento di concentrazione e di riorganizzazione portato avanti prevede, in sintesi, la costituzione di una società holding (Publiservizi  s.p.a.), con funzioni di coordinamento, derivante dalla trasformazione di un'azienda speciale e controllata, quasi per l’intero, dagli Enti Locali, e la costituzione di tre società di scopo, di cui una destinata alla gestione dei servizi idrici, interamente controllate dalla predetta holding. In base alle conclusioni del Tribunale Amministrativo di primo grado, tale impianto giuridico non rientra nella previsione nè dell'art. 113, nè nell'art 116 del D. Lgs. 267/2000; conseguentemente, per l'affidamento del servizio in esame ad una società di scopo da parte di un ATO occorrerebbe una gara, essendosi in presenza, appunto, di un rapporto concessorio.

Il TAR Toscana ha affermato l’insostenibilità della tesi, seconda la quale la società holding possa essere qualificata come organismo di diritto pubblico in quanto interamente controllato da enti pubblici. Infatti, una società di capitali avente caratteristiche di holding non è assolutamente prevista dalla normativa prima richiamata  (artt. 113 e 116 del D. Lgs. 267/2000), né è assimilabile alle forme societarie dalle stesse norme disciplinate, laddove la stessa (come nella specie) non è costituita per essere affidataria diretta di un servizio pubblico, ma per svolgere funzioni di coordinamento dei servizi pubblici affidati ad altre società appositamente costituite. In pratica, la gestione attraverso una holding partecipata da enti pubblici, controllante una società di scopo a cui gli enti medesimi vorrebbero affidare direttamente il servizio, non appare, secondo il TAR Toscana, in alcun modo conforme con l'impianto normativo vigente [12].

La sentenza del Tar Toscana n. 25 è stata impugnata dinanzi al Consiglio di Stato, il quale, con la sentenza n. 5004 del 24/09/2001, ha accolto il ricorso, pronunciando l’annullamento della sentenza di primo grado, sostenendo che l'originario ricorso, cioè quello in primo grado, era inammissibile, per carenza di ogni interesse attuale e concreto al suo accoglimento (difetto dell’interesse a ricorrere) [13].

A tal riguardo è necessario osservare che, se è vero che il Consiglio di Stato, sotto l'aspetto processuale, ha accolto il ricorso in appello, annullando la sentenza del TAR Toscana, in quanto non ha ritenuto leso l'interesse a ricorrere, è pur vero che non si è addentrato nel merito della questione sottoposta, relativa alla possibilità di affidare un servizio pubblico direttamente ad una società partecipata o controllata da una holding, di proprietà degli enti titolari del servizio medesimo. Dunque, risulta evidente che, relativamente al profilo sostanziale della vicenda,  i principi espressi dal TAR Toscana sono, tuttora, gli unici riferimenti giurisprudenziali in materia.

Come già prima detto, l’articolo 20 della legge 36/1994 prevede l’istituto della concessione a terzi, quale modulo gestionale del servizio idrico integrato. Le ragioni del modello organizzativo integrato sono evidenti e condivisibili. E ben chiaro che una valida azione di tutela ambientale può essere condotta solo operando con una visione globale, ed avendo sotto controllo l’intero sistema idrico. Inoltre, l’integrazione del servizio consente livelli di utenza più elevati ed un certo grado di economie di scala nell’erogazione del servizio. In questa ottica, la Legge Galli esige che il servizio, non solo abbracci l’intero ciclo integrato dell’acqua, ma che sia gestito in concessione a terzi ed in forma imprenditoriale, superando le tradizionali gestioni in economia, ed anche quelle più moderne, rappresentate dall’ azienda speciale e dalla società mista.

Il Decreto del 22/11/2001, emanato dal Ministero dell’Ambiente, costituisce una fedele attuazione dell’articolo 20 I comma, così come indicato nelle premesse. Il Decreto prevede una precisa procedura per l’individuazione del concessionario.

Procedura di affidamento del servizio: L’affidamento deve avvenire mediante gara pubblica, da espletarsi con il sistema della procedura aperta e con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

Soggetti ammessi: Possono partecipare alla gara i seguenti soggetti [14]:

a) Imprese individuali, società anche consortili, per azioni o a responsabilità limitata, società  cooperative a responsabilità limitata e loro consorzi, costituiti a norma della legge 25 giugno 1909, n. 422.

b) Gruppi Europei di Interesse Economico (GEIE [15]), costituiti ai sensi del decreto legislativo 23 luglio 1991, n. 240, tra i soggetti di cui alla lettera a).

c) Consorzi stabili, come definiti dall'art. 12 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e società consortili, costituite ai sensi degli articoli 2602 e 2615-ter del codice civile, tra i soggetti di cui alla lettera a).

d) Associazioni Temporanee d'Imprese (ATI), costituite tra i soggetti di cui alla lettera a).

Requisiti di partecipazione: Per essere ammessi alle gare, i concorrenti devono essere in possesso dei seguenti requisiti:

a) Aver gestito segmenti di servizi idrici integrati a rete fissa (captazione, adduzione, distribuzione di acqua ad usi civici,fognatura e depurazione delle acque reflue), con una popolazione servita pari almeno a quella risultante dal calcolo indicato nell’allegato A del decreto.

b) Avere realizzato un fatturato medio annuo, nell'ultimo biennio, non inferiore a quello risultante dal calcolo indicato in allegato A, punto 2, rapportato al segmento gestito.

Cause di esclusione: Sono esclusi dalla partecipazione alla gara, i soggetti:

- che si trovino in stato di fallimento, di liquidazione coatta, di amministrazione controllata o di concordato preventivo, o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni;

- nei cui confronti sia pendente procedimento per l'applicazione di una delle misure di prevenzione, di cui all'art. 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, qualora la pendenza del procedimento riguardi gli amministratori muniti di poteri di rappresentanza o il direttore tecnico della società;

- nei cui confronti sia stata pronunciata una  condanna, con sentenza passata in giudicato, oppure sia stata applicata una pena su richiesta, ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale, per reati che incidono sull'affidabilità morale e professionale;

- che abbiano violato il divieto di intestazione fiduciaria, posto all'art. 17 della legge 19 marzo 1990, n. 55;

- che abbiano commesso gravi infrazioni, definitivamente accertate, alle norme in materia di sicurezza e ad ogni altro obbligo derivante dai rapporti di lavoro;

- che abbiano agito, in occasione dell'espletamento di precedenti servizi pubblici, con grave negligenza, malafede, imperizia o imprudenza, acclarata dai rispettivi soggetti aggiudicatori;

- che abbiano commesso irregolarità, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti;

- che nell'anno antecedente la data di pubblicazione del bando di gara abbiano reso false dichiarazioni in merito ai requisiti ed alle condizioni che, ai sensi del presente decreto, risultino rilevanti per la partecipazione alla procedura di gara.

Termini e bando di gara: Il contenuto del bando di gara è indicato in allegato al decreto. In particolare esso deve specificare:

a) il termine entro il quale devono pervenire le offerte, non inferiore a cinquantadue giorni;

b) il divieto di subappalto, salvo espressa autorizzazione;

c) l'importo della cauzione,  che dovrà risultare compreso tra il 10% e il 15% del fatturato previsto per il primo anno di gestione.

Documentazione di gara: Il soggetto aggiudicatore deve mettere a disposizione dei concorrenti quanto segue:

- lo schema di convenzione di gestione. predisposto ai sensi dell'art. 11, comma 2 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, e dell'art. 8 del decreto ministeriale 1 agosto 1996, e successive modificazioni;

- il relativo schema di disciplinare;

- la ricognizione delle opere di adduzione, distribuzione, fognature e depurazione;

- "il programma degli interventi, il piano finanziario e il modello gestionale e organizzativo", di cui all'art. 11, comma 3 della legge 5 gennaio 1994, n. 36;

- le informazioni in ordine alle gestioni esistenti all'atto della gara, cui il concessionario dovrà subentrare;

- f) la documentazione relativa ai bilanci idrici, da redigere ai sensi del decreto ministeriale 8 gennaio 1997, n. 99, qualora disponibile;

- g) ogni altro eventuale documento ritenuto rilevante dal soggetto aggiudicatore.

Disciplina dell'offerta: L’offerta si basa sulla documentazione di gara e deve prevedere entrate tariffarie nel periodo di durata della concessione, che abbiano un valore attuale non superiore a quello previsto dal piano di ambito, calcolato con le modalità indicate nell’allegato al decreto.

Criteri di aggiudicazione: L'offerta e' valutata in base ai seguenti elementi, il cui valore relativo e' espresso in parametri numerici riportati nel bando di gara:

            a) rispetto e salvaguardia dell'ambiente, ovvero riduzione dell'impatto ambientale al livello più basso possibile, nonchè il miglioramento delle condizioni di sicurezza degli impianti, del lavoro e del servizio;

b) miglioramenti del piano economico-finanziario relativo ai servizi oggetto della concessione, quale risulta dalla specificazione dei costi operativi e dei costi di investimento e delle connesse ricadute sulla tariffa reale media, per l'ambito considerato, nel rispetto dei vincoli introdotti dal metodo normalizzato. Il miglioramento consiste nella riduzione del valore attuale delle entrate tariffarie di tali servizi per la durata della concessione, secondo le modalità previste dall'allegato C, punto 3;

c)  anticipazione del raggiungimento o miglioramento degli standards previsti dal piano di ambito;

d) piano di riutilizzo del personale delle gestioni preesistenti, anche al di fuori dell'ambito dell'attività connessa allo svolgimento del servizio in questione, compatibilmente con le esigenze dell'aggiudicatario;

e) capacità tecnico-organizzativa del soggetto concorrente e della struttura che verrà adibita alla gestione. Tale capacità è valutata mediante indicatori e documenti specificati nel bando e di preferenza desunti dall'allegato D del decreto.

Valutazione delle offerte: Le offerte sono valutate da una commissione tecnica, nominata dal soggetto aggiudicatore dopo la scadenza del termine fissato per la presentazione delle offerte.

Il decreto ha dato luogo ad un interessante dibattito, non privo di spunti fortemente polemici [16]. Il Sole 24 Ore del 29/11/2001  riportava notizia di un’aspra polemica fra il Ministero e gli Amministratori locali: E’ scoppiata la guerra dell’acqua tra Toscana e Governo centrale. Roma ha detto no all’assegnazione diretta del servizio idrico e di fatto blocca i progetti degli ATO, gli Ambiti Territoriali Ottimali di Firenze e Pisa: Gli Amministratori locali, però, ribadiscono di voler andare avanti lo stesso…..Il Ministero non si è fermato qui: Ieri, è partita da Roma una lettera per il Presidente dell’ATO 3, il cui contenuto si può riassumere così: se non sarà rispettato lo spirito e la forma dell’atto di indirizzo, gli amministratori dell’ATO se ne assumeranno tutte le responsabilità, sia sul fronte economico sia sul terreno penale…..Matteoli vuole una gara fra concorrenti, che abbiano i requisiti indicati nel decreto…..Immediata la risposta da Firenze : “ Andiamo avanti con i nostri programmi, afferma l’assessore competente. Sono due anni che stiamo lavorando a questo progetto, abbiamo messo in piedi 50 Amministrazioni locali, creato la società alla quale sono in fase di trasferimento addetti e competenze: fermarsi adesso, per una decisione del Governo centrale, sarebbe assurdo “.

Sempre sul Sole 24 ORE, sul numero del 05/12/2001, si parla, addirittura, di fronti contrapposti: La linea di demarcazione che divide i due fronti è netta; “Finalmente è stato attuato l’articolo 20 della Galli”, dice soddisfatto il direttore dell'Anida (Associazione nazionale imprese difesa ed ambiente): “Il decreto ammette inoltre alle gare imprese che abbiano gestito segmenti di servizi idrici”…….”Sono disposizioni confuse e contraddittorie”, attacca, invece, il Presidente dell’ANCI [17].

4.  Le circolari interpretative del decreto.

A corredo del decreto del 22/11/2001, il Ministero ha emanato due circolari interpretative [18], le quali esprimono, senza alcuna differenza, una netta preferenza nei riguardi dell’individuazione del gestore concessionario attraverso lo svolgimento di una procedura ad evidenza pubblica.

Nella prima Circolare (Circolare del 17/10/2001 n. GAB/2001/11559/B01 – Società a prevalente capitale pubblico locale per la gestione del servizio idrico integrato), il Ministero fornisce un’interpretazione delle disposizioni normative che regolano l’affidamento del servizio a società a prevalente capitale pubblico. In questo caso, secondo il Ministero, l’unica regola da seguire, in conformità anche ai rilievi formulati in sede comunitaria, è l’affidamento mediante procedura aperta, la quale non deve essere adottata solo per la scelta del socio privato, ma anche per l’individuazione del soggetto gestore. Costituisce solida opinione del Ministero che la scelta del gestore non può che avvenire mediante gara. Per quanto concerne le modalità di affidamento del servizio alle società a prevalente capitale pubblico, secondo la circolare, è necessario ricorrere ai consueti canoni ermeneutici, per ricercare una soluzione adeguata, atteso che nel nostro ordinamento giuridico l’esistenza di lacune è soltanto apparente. Sulla base di tali canoni, il Ministero afferma che le condizioni richieste per l’affidamento diretto ricorrono solo nel caso di costituzione di aziende speciali. Pertanto, viene affermato che risulta in contrasto con la normativa comunitaria la tesi secondo la quale gli enti locali possono affidare senza alcuna gara la gestione dei servizi pubblici a società con prevalente capitale pubblico. Ciò, ovviamente, vale anche in relazione al servizio idrico integrato. Dunque, la procedura di gara ad evidenza pubblica, per la scelta del gestore del servizio idrico integrato, deve essere adottata in tutti in casi di affidamento del servizio. Tale soluzione, ad avviso del Ministero, ha anche il pregio di di consentire di porre fine alle procedure di infrazione intentate dall’Unione Europea contro l’Italia, senza alcuna necessità di modificare le vigenti disposizioni legislative, salvo, se del caso, a renderla successivamente incontrovertibile sotto il profilo della certezza del diritto.

Nella seconda Circolare (Circolare del 22/11/2001 n. GAB/2001/11560/B01 – Esplicazioni relative alle modalità di affidamento in concessione a terzi della gestione del servizio idrico integrato, a norma dell’articolo 20, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36), il Ministero, evidenziando un chiaro disfavore nei riguardi della trattativa privata, giunge ad affermare che, a motivo delle molteplici ipotesi di favoritismi,  che con tale procedura è più agevole assicurare, occorre seguire la gara pubblica, non rivelandosi sufficiente nemmeno la procedura ristretta, la quale consente al soggetto aggiudicatore di ampliare o restringere la rosa degli invitati, a seconda dell’umore (!!).

L’affermazione è indubbiamente forte, e non rimane isolata, in quanto il Ministero ritiene che le evidenziate preoccupazioni permangono anche quando tali procedure siano attuate nei confronti di altri soggetti pubblici o di società a partecipazione mista, sia con capitale pubblico maggoritario che minoritario, dal momento che le procedure medesime (procedura negoziata e ristretta) risultano, comunque, in aperta violazione della normativa comunitaria. Ciò, continua il Ministero, è ampiamente comprovato dalle procedure di infrazione promosse. Poiché l’ordinamento comunitario, in quanto ordinamento sovranazionale, prevale su quello dei singoli Stati, il Ministero conclude con un più che severo ammonimento: viene ricordata a tutti gli operatori pubblici la responsabilità che assumono, sia in sede penale che contabile, facendo ricorso alla contestata procedura dell'affidamento diretto.

Il Ministero, con estrema chiarezza, afferma che, se gli Amministratori locali continueranno con la prassi degli affidamenti diretti in favore delle società miste, non potranno ritenersi esenti dal dovere di reintegrare il danno arrecato all’Italia, sia sotto il profilo dell’immagine internazionale, che dei costi necessari ad adempiere alla condanna inflitta. 

5. Il ribaltamento di disciplina: l’articolo 35 comma v della legge finanziaria 2002  (l. 448 del 28/12/2001).

Tutto l’interessante discorso sinora effettuato circa la necessarietà della procedura aperta e l’impraticabilità degli affidamenti diretti sembra cadere integralmente, a seguito del sopravvenire dell’articolo 35 della Legge Finanziaria, il quale, oltre a riscrivere l’intero articolo 113 del D. Lgs. 267/2000 in tema di servizi pubblici locali, si occupa espressamente del servizio idrico integrato. Precisamente, il comma V dell’articolo 35 dispone che: In alternativa a quanto previsto dal comma 5 dell’articolo 113 del citato Testo Unico delle leggi dell’ordinamento degli Enti Locali, come sostituito dall’articolo 1 del presente articolo, i soggetti competenti,………..,possono affidare, entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il servizio idrico integrato a società di capitali partecipate unicamente da enti locali, che fanno parte dello stesso ambito territoriale ottimale, per un periodo non superiore a quello massimo determinato, ai sensi delle disposizioni di cui al comma 2 del presente articolo………

Dunque, l’articolo 35 V Comma Finanziaria 2002 prevede, in sintesi, quanto segue:

-  La procedura ordinaria per l’affidamento del servizio idrico integrato è quella della gara con procedura ad evidenza pubblica.

- Tuttavia, in alternativa alla gara, è possibile l’affidamento diretto del servizio in favore di società di capitali, composte unicamente da enti locali, che fanno parte dello stesso ambito territoriale ottimale.

- Tale facoltà può essere esercitata entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore della Finanziaria 2002.

-  L’affidamento diretto può avere una durata massima pari a cinque anni.

E’ più che evidente che l’articolo 35 sconfessa apertamente il decreto del Ministero dell’Ambiente, sconfessa il modulo gestionale della concessione [19], con obbligo di gara, previsto dall’articolo 20 della legge Galli, ed introduce un regime di sostanziale salvaguardia degli “affidamenti diretti” [20]. Infatti, pur se la procedura dell’affidamento diretto è prevista come “alternativa”, sarà interessante vedere in quali casi verrà seguita la procedura con gara: forse, in nessun caso (!) [21].

La Finanziaria 2002 introduce un periodo transitorio, certo di non breve durata (sei anni e mezzo) [22] , al fine, si presume, di dar tempo alle varie società miste, sorte o in via di costituzione, di prepararsi alle future sfide della concorrenza. Il ribaltamento di disciplina è stato, fra l'altro, ben evidenziato in un articolo (Servizi Idrici, il D.M. 158/2001 superato dalla manovra) apparso sul quotidiano Italia Oggi del 04/01/2002, a firma di Dario Capobianco, ove si afferma che la posizione del Ministero nei confronti dell'affidamento diretto appare superata dall'articolo 35 della nuova Legge Finanziaria…   Il fine può essere compreso e, fors’anche parzialmente condiviso; ma, occorre evidenziare che la scelta compiuta presta il fianco a due severe e gravi critiche.

In primo luogo, la scelta di intervenire in materia di servizi pubblici locali con una legge statale, quale la Legge Finanziaria 2002, sembra non essere perfettamente in linea con la recente riforma del Titolo V della Costituzione, che ha rivoluzionato il precedente riparto di competenze legislative fra Stato e Regioni [23]. Infatti, ad una prima analisi, appare che la materia dei servizi pubblici locali rientra, ai sensi del novellato articolo 117 della Costituzione, nella competenza legislativa esclusiva delle Regioni.

Ben prima dell’approvazione della Finanziaria 2002, in un convegno organizzato a Milano dalla Sda Bocconi, è stata posta in luce “l’incongruenza costituzionale”: Non soltanto l’attuale versione dell’articolo 23 (ora 35) della  Finanziaria 2002 è pieno di sciocchezze, ma è addirittura incostituzionale. Con la riforma del Titolo V della Costituzione moltissime competenze sono passate infatti nella sfera esclusiva delle Regioni e, fra queste, anche la gestione dei servizi pubblici locali. E’ necessario, a questo punto, fare un passo indietro: lo Stato deve fissare pochissimi punti, come ad esempio il fatto che tutte le aziende siano Spa con bilanci certificati, e lasciare il compito di regolazione alle singole Regioni (l’opinione espressa è di Luigi Prosperetti, docente di Economia industriale; dal Sole 24 Ore del 08/11/2001). Sempre al medesimo convegno, cosi come riportato dal citato quotidiano economico, la tesi dell’incostituzionalità non era certo isolata: Andrea Gilardoni, docente di economia e gestione delle imprese, ha sposato la tesi dell’incostituzionalità ed ha ammesso che il Comitato Tecnico scientifico sulle public utilities della Regione Lombardia, di cui fa parte, da qualche giorno ha preso ad affrontare il problema.

In secondo luogo, l’intervento normativo realizzato con la Finanziaria 2002 si palesa non conforme ai principi ed alla normativa comunitaria in materia. Qualche giorno prima dell’approvazione, su quotidiani specializzati, veniva formalmente sollevato il problema: La riforma…………..non scioglie tutte le incertezze sul futuro dei servizi pubblici locali. A cominciare dalla mancanza di sincronia con le norme europee sulle gare, che potrebbe convincere le imprese escluse dalle gare ad evidenza pubblica, a ricorrere alla Corte UE, ed aggirare così i vincoli posti dal legislatore per aprire alla concorrenza il mercato delle ex municipalizzate (“I servizi locali fuori norma UE”, Italia Oggi del 20/12/2001) [24].

L’accusa di non conformità all’ordinamento comunitario non sembra infondata, in quanto il prolungamento temporale della procedura degli affidamenti diretti appare in contrasto con i già citati principi comunitari (parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità e mutuo riconoscimento). Invero, come ben noto, come ben noto, i Trattati Europei hanno come obiettivo primario la realizzazione della libera circolazione delle merci e dei fattori della produzione, attraverso l'eliminazione delle barriere tariffarie e contingentarie tra gli Stati membri, per costituire in questo grande mercato una sana concorrenza fra le migliaia di imprese in esso operanti.

L'art. 3 del trattato della Comunità Europea, nel porre il principio che l'azione della Comunità medesima comporta la creazione di un regime volto a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato comune, si riferisce ai tipici meccanismi di un'economia di mercato.

La politica comunitaria di libera concorrenza è diretta a realizzare tre obiettivi fondamentali:

§  Contribuire a realizzare l'unicità del mercato comune a vantaggio delle imprese e dei consumatori.

§  Impedire l'abuso di potere economico, cioè non consentire che determinate imprese di notevoli dimensioni sfruttino in maniera abusiva la loro posizione economica dominante sul mercato, alterando le regole della libera concorrenza.

§ Consentire alle imprese di razionalizzare la produzione e la distribuzione, adeguandosi al progresso tecnico e scientifico.

Al fine di raggiungere questi tre obiettivi, il Trattato CE ha previsto alcune norme, dirette ad impedire tutte quelle pratiche che possono dimostrarsi contrarie al principio di libera concorrenza. Le pratiche vietate sono le seguenti: - le intese e le pratiche concordate tra imprese (art. 81, ex art. 85); - lo sfruttamento abusivo della posizione dominante da parte di una o più imprese (art. 82, ex art. 86); - l'emanazione o il mantenimento, nei confronti delle imprese pubbliche, di misure nazionali contrarie al principio di non discriminazione ed alle regole di concorrenza (art. 86, ex art. 90); - gli aiuti concessi dagli Stati alle imprese nazionali (artt. 87-89, ex artt. 92-94).

Il non rispetto dei principi comunitari, almeno per quanto concerne "il passato", cioè i conferimenti sinora effettuati, è attualmente testimoniato dal sottosegretario all'Ambiente Francesco Nucara, il quale, in un'intervista apparsa sul Sole 24 Ore del 29/12/2001 (pag. 14), ha affermato che si è consentito ad aziende pubbliche di gestire il servizio senza aver indetto gare. Le gare devono rappresentare la norma e non possono essere un'eccezione.

Non deve essere dimenticato, inoltre,  che il novellato articolo 117 della Costituzione stabilisce icasticamente al comma I che la potestà legislativa, sia statale che regionale, deve essere esercitata nel rispetto, oltre che della Costituzione, pure “dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”. Si tratta, certo, di una previsione costituzionale della massima importanza, la quale non può essere disattesa. Anzi, la dottrina, a tal proposito, rileva che la previsione, in sede costituzionale, di un tale vincolo, produce effetti anche in relazione alle conseguenze delle eventuali inosservanze: La conseguenza (la conseguenza del nuovo art. 117 Cost.) è che la norma nazionale, statale o regionale, in contrasto con le norme che compongono tale ordinamento non deve essere disapplicata, ma dichiarata costituzionalmente illegittima (abbandono della concezione “dualistica” dell’ordinamento comunitario [25]) [26].

Inoltre, non può non rilevarsi che il precedente disegno di legge (AC  7.042; AS  4.014), in materia di servizi pubblici locali, appariva più in linea con i principi comunitari, in quanto poneva come fondamento la regola della gara [27].

Dunque, il servizio idrico integrato conosce attualmente un travagliato periodo di disciplina (Scilla e Cariddi). Infatti, se è vero che non si può negare la prevalenza formale dell’articolo 35 comma V della Legge Finanziaria 2002 sul Decreto ministeriale [28], risultano parimenti fondati gli espressi dubbi di incostituzionalità e di non coerenza con l’ordinamento comunitario. E’ veramente difficile fare previsioni, soprattutto nel caso in cui qualche Regione sollevi questione di incostituzionalità, od anche un conflitto di attribuzioni, oppure qualche impresa, specie se estera, ricorra agli organi di giustizia europei. Invero, trovare una qualche soddisfaciente soluzione sembra arduo, in quanto, come illustrato, le questioni poste sul tappetto, ed in parte provocate ed amplificate dallo stesso sopravvenire di normative nazionali contrastanti, appaiono complesse e delicate.

6. questioni connesse: la proprietà degli  impianti e delle reti.

Il servizio idrico integrato, anche in quanto interessante tutte le attività ed i servizi connessi al ciclo dell’acqua, pone sul tappetto diverse importanti problematiche; prima, fra tutte, quella relativa alla proprietà degli impianti e delle reti.

Invero, come vedremo, il problema si pone anche per tutti gli altri “servizi a rete” [29]; tuttavia, nel caso del servizio idrico integrato, la questione diventa ancor più complicata, per la presenza degli acquedotti.

Com’è ben noto, gli acquedotti fanno parte del demanio pubblico, se appartengono allo Stato, così dispone l’articolo 822 II comma del codice civile. L’articolo 824 dispone che i beni indicati nel suddetto II comma, se appartenenti alle Provincie o ai Comuni, sono soggetti al regime del demanio pubblico. Dunque, gli acquedotti Comunali fanno parte del demanio pubblico, e precisamente rientrano nel cosiddetto demanio accidentale o eventuale, comprendente beni, i quali acquistano carattere demaniale solo se di proprietà di Enti Pubblici Territoriali. La natura di bene demaniale degli acquedotti sussiste indipendentemente da questioni attinenti la proprietà del suolo e da quelle relative al particolare regime delle acque in essi convogliate.

“ Gli acquedotti, compresi i canali che hanno la finalità di convogliare le acque per uso potabile o irriguo, sono demaniali quando appartengono allo Stato o ad altri Enti Pubblici Territoriali, indipendentemente dal regime delle acque che convogliano, le quali rimangono pubbliche se sono suscettibili di uso di interesse generale “( Tribunale Superiore delle Acque, nr° 62 del 02.10.1997 ) .

La proprietà comunale degli acquedotti deriva, non solo dalla demanialità ora illustrata, ma anche da altri profili, pur se connessi.

In primo luogo, va evidenziato che gli acquedotti vengono realizzati su suolo comunale, il che, in conseguenza dell’istituto dell’accessione ( art. 934 c.c. : omne quod solo inaedificatur solo cedit – tutto ciò che viene edificato sul suolo accede al medesimo ), comporta l’automatica attribuzione del bene al proprietario del suolo medesimo.

In secondo luogo, gli acquedotti sono stati realizzati per soddisfare un chiaro interesse pubblico della collettività locale : l’interesse alla distribuzione di acqua potabile. I beni demaniali possono, ovviamente, perdere la loro natura, ma in tal caso è necessario un provvedimento di sdemanializzazione, un atto amministrativo, che li dichiara non più collegati al perseguimento di essenziali finalità di pubblico interesse. In verità, è possibile una sdemanializzazione tacita cioè il passaggio di beni dal demanio al patrimonio, senza l’emanazione di un formale atto di declassificazione, ma sono necessari atti univoci e concludenti, diretti a non voler più conservare la destinazione del bene medesimo all’uso pubblico. La giurisprudenza è unanime e chiara al riguardo:

“La sdemanializzazione di un bene può anche essere tacita, senza l’adempimento delle formalità previste dalla legge, ma a tal fine occorrono atti univoci e concludenti, incompatibili con la volontà della Pubblica Amministrazione di conservare la destinazione del bene all’uso pubblico e circostanze così significative da rendere non configurabile un’ipotesi diversa dalla definitiva rinuncia da parte della Pubblica Amministrazione al ripristino della pubblica funzione del bene stesso” ( Cassazione Civile, sezione II, nr° 1480 del 26.02.1996).

“La sdemanializzazione tacita, ossia il passaggio di beni del demanio pubblico al patrimonio dello Stato, delle Regioni, delle Provincie e dei Comuni, in mancanza di un formale atto di declassificazione, è ravvisabile solo in presenza di atti e fatti che evidenzino in maniera del tutto inequivocabile la volontà della Pubblica Amministrazione di sottrarre  il bene medesimo a detta destinazione e di rinunciare definitivamente al suo ripristino, e non può desumersi dalla pura e semplice circostanza che il bene non sia più adibito, anche da lungo tempo, all’uso pubblico" ( Cassazione civile sez. II, del 03.05.1996, nr° 4089 ) .

In mancanza di un atto o di comportamenti di sdemanializzazione, ogni atto di alienazione o di trasferimento del bene demaniale è nullo di diritto, ai sensi dell’art. 823 del codice civile.

Ulteriore conferma della proprietà comunale degli acquedotti e, più in generale degli impianti, può essere desunta proprio dall’articolo 113 D. Lgs. 267/2000, così come modificato dall’articolo 35 della Finanziaria 2002. Il nuovo articolo 113, al comma II, dispone che gli Enti locali non possono cedere la proprietà degli impianti e delle reti e delle altre dotazioni destinate all’esercizio dei servizi pubblici, di cui al comma 1, salvo quanto stabilito al comma 13. Tale comma prevede la possibilità di conferire la proprietà delle infrastrutture a società di capitali, di cui detengono la maggioranza , che è incedibile. Tali società, nella previsione normativa, sembrano avere la sola funzione di porre le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali a disposizione dei gestori incaricati del servizio o, ove prevista la gestione separata della rete, dei gestori di quest'ultima, a fronte di un canone stabilito dalla competente Autorità di settore. Quindi, non possono essere confuse con il soggetto gestore. Invero, non si comprende bene la funzione e l'utilità di tali società, le quali non sono né gestori del servizio, né gestori della rete. Ad ogni modo, è ben evidente che, proprio in base alle ultime novelle legislative, la proprietà degli impianti, ad eccezione dell’ipotesi ora vista, la quale presuppone un espresso e formale atto di conferimento, da motivare più che congruamente, appartiene ai Comuni.

Altre elementi a sostegno della proprietà comunale provengono dalla legislazione di settore.

Il D. Lgs. 164/2000 (Attuazione della Direttiva n. 98/30/CE, recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dell'art. 41 della L. 144/1999), all'articolo 14 comma IV sancisce il principio della proprietà delle reti in capo all'ente locale. Infatti, viene espressamente previsto che, intervenuta la scadenza dell'affidamento, gli impianti e le altre dotazioni rientrano nella disponibilità del Comune, il quale ha sempre mantenuto la proprietà. In altri termini, il gestore del servizio, durante il periodo di affidamento, è titolare solo di una facoltà di detenzione delle reti, non essendone in alcun modo proprietario.

Anche in relazione al servizio di pubblica illuminazione, ci si è posti la questione della proprietà delle infrastrutture di supporto. Invero, gli impianti di illuminazione pubblica possono essere considerati come  beni demaniali ? Il quesito è  importante, ed investe proprio la nostra problematica. Gli impianti in esame non sono qualificati come demaniali in sede di codice civile; infatti, gli articoli 822 e 824 c.c. non li menzionano. Tuttavia, sembra essere evidente che gli impianti di pubblica illuminazione costituiscono pertinenza rispetto alle strade, qualificate, invece, come beni demaniali. La pertinenza, ai sensi dell'articolo 817 c.c., consiste in una cosa destinata in modo durevole a servizio o ad ornamento di un'altra cosa. Gli impianti sono sicuramente al servizio delle strade, in quanto consentono una particolare fruizione, quella durante le ore serali e notturne, altrimenti non possibile, per cui il vincolo pertinenziale non può che sussistere. Inoltre, è opportuno osservare che la giurisprudenza da tempo afferma, ai fini della configurabilità di una pertinenza, che è necessario che l'utilità sia oggettivamente arrecata dalla cosa accessoria a quella principale [30], come nel nostro caso (l'impianto di pubblica illuminazione, cosa accessoria, arreca una incontestabile utilità alla strada, bene principale), per cui può ben affermarsi che gli impianti in oggetto costituiscono pertinenza delle strade.

Dunque, se la strada appartiene al Comune [31], l'impianto di pubblica illuminazione, in quanto pertinenza, costituisce bene demaniale. In realtà, la natura di bene demaniale degli impianti di pubblica illuminazione può essere rinvenuta anche per altra via, attraverso i principi civilistici, che regolano l'istituto dell'accessione.

Com'è ben noto, ai sensi dell'articolo 934 c.c., l'accessione costituisce un modo di acquisto della proprietà a titolo originario, che si verifica quando una proprietà preesistente (ad esempio, un suolo) attira nella sua orbita altre cose che prima ne erano estranee (ad esempio, alberi o costruzioni), a prescindere dalla volontà del soggetto, che può divenire proprietario delle nuove cose anche senza saperlo [32]. Dunque, è possibile affermare che l'impianto di illuminazione pubblica, realizzato su strada pubblica, anche in virtù dei principi dell'accessione, costituisce bene demaniale [33].

Dal discorso sinora condotto, emerge chiaramente che, eccettuate ipotesi residuali ed eccezionali, la proprietà degli impianti e delle reti appartiene al Comune, così come espressamente e significativamente prevede l'articolo 113 II comma del D. Lgs. 267/2000, novellato dall'articolo 35 della Legge Finanziaria 2002.

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[1] Scilla e Cariddi erano mitici mostri marini, localizzati dagli antichi sullo stretto di Messina, aventi il potere l’uno di divorare i naviganti, e l’altro di generare imponenti tempeste. La metafora sta ad indicare il momento di forte difficoltà incontrato dal servizio idrico integrato, attualmente oggetto di normative contrastanti.

[2]  Come ben noto, lo Stato di diritto ha come postulato fondamentale la sua autonomia dalla società civile, e si caratterizza per il suo limitato intervento nella società, intervento diretto solo a garantire una serie di libertà e di diritti, espressamente riconosciuti. Lo Stato sociale, invece, postula il raccordo funzionale fra le istituzioni pubbliche e la società, e si caratterizza per il fatto di essere soggetto attivo della comunità, interessato ad incidere pure pesantemente sull'ordine sociale per promuovere lo sviluppo socio-economico e comporre i conflitti esistenti. Orbene, stante la forte diversità fra questi due modelli di Stato, la dottrina giuridica e politica ha cercato di individuare uno strumento capace di armonizzarli, in maniera tale da evitare le tipiche degenerazioni dei medesimi: l'individualismo ed il collettivismo. Il concetto-strumento, sul quale maggiormente si è concentrato l'interesse, è stato quello della partecipazione. Parte della dottrina ha, infatti, iniziato a parlare di "Stato sociale di diritto", un modello di Stato che trae origine dall'armonizzazione dei due modelli precedenti e che si fonda sulla cosiddetta "democrazia partecipativa", nella quale la partecipazione esplica il suo massimo potenziale: lo Stato interviene nella società per il perseguimento dei suoi fini di benessere sociale (art. 3 comma 2 Cost.), e la sua azione viene ad un tempo rafforzata e controllata dalla partecipazione dei cittadini alle strutture pubbliche. Su tali questioni: K. E. Forsthoff, Concetto e natura dello Stato Sociale di Diritto, in Stato di Diritto in trasformazione, Milano 1983.

[3] Né il Piano Regolatore Generale degli Acquedotti, né tantomeno i Piani di risanamento delle acque hanno determinato quel salto necessario per poter parlare di “governo delle acque” nel nostro ordinamento. La ragione di ciò deve essere ricercata nel fatto che, in entrambi i casi, si è trattato di tentativi di programmazione, mancanti di una ponderazione globale degli interessi coinvolti e di una considerazione unitaria delle possibili utilizzazioni dell’acqua.

[4] Da quanto ora detto, emerge una delle caratteristiche peculiari che fanno dei servizi idirici un caso emblematico fra i servizi pubblici locali. Infatti, occorre evidenziare come il ciclo tecnologico connesso alla risorsa idrica configuri un monopolio naturale in cui gli spazi di vera liberalizzazione si riducono a vantaggio di quelli di vera e propria regolamentazione gestionale. A conferma di ciò si può osservare come sia più efficiente un ciclo gestito in condizioni di concentrazione produttiva, e come sia opportuna in questo settore, l’integrazione verticale a causa a causa delle forti interconnessioni fra le fasi di attività.  Si ricorda che si è in presenza di un monopolio naturale laddove, per limitazione o l'ubicazione dei fattori produttivi, l'intera offerta di un dato bene o servizio è concentrata nelle mani di una sola impresa, mentre la domanda è frazionata fra numerosi compratori. In termini tecnici, il monopolio naturale configura una situazione in cui la funzione di costo è sub-additiva, quando cioè un'unica grande impresa è in grado di produrre a costi inferiori rispetto ad un insieme di piccole imprese.

[5] Articolo di Giorgio Pogliotti, Sole 24 Ore del 29/12/2001, pag. 14. Sempre in tale articolo, viene inoltre censurata la scarsissima apertura al mercato: L'apertura alla concorrenza resta un miraggio, considerando che l'unico ambito territoriale che ha scelto di ricorrere alla gara è quello di Frosinone.

[6] Su tali questioni: G. Pericu e E. Roppo, Concessioni di derivazione, acquedotti privati e pubblico servizio di distribuzione di acqua potabile, a proposito di una vicenda genovese, in Quaderni Regionali, 1982, 1317 e ss.

[7] Sul piano meta-giuridico, la funzione fondamentale della teoria della fattispecie complessa è stata quella di garantire la funzionalizzazione al pubblico interesse dei rapporti di concessione, evitando, peraltro, gli eccessi “pubblicizzanti” delle costruzioni unilateralistiche.

[8] Sulle problematiche ora illustrate: M D.Alberti, Le concessioni amministrative. Aspetti della contrattualità delle pubbliche amministrazioni, Napoli, 1981.

[9] Ciò trova la sua logica spiegazione nel fatto che, per servizi ad alto contenuto tecnologico (ad esempio gas ed acqua), fino a pochissimo tempo fa, i concessionari, a fronte di un lungo periodo di affidamento, si obbligavano alla costruzione delle infrastrutture, con la clausola di devoluzione gratuita delle medesime in favore del Comune, al termine della concessione medesima.

[10] Da ultimo, fra le tante: Le circostanze speciali, di cui all'art. 267 R.D. 1175/1931, che consentono di affidare in concessione Pubblici Servizi a trattativa privata, non possono essere quelle connesse alla mera presunta convenienza tecnico-economica. Diversamente opinando, l'Amministrazione verrebbe ad operare la scelta del concessionario non basandosi sull'offerta più confacente, sul piano tecnico-economico, all'interesse pubblico, ma solo sulla base di propri apprezzamenti soggettivi. Pertanto, la norma va interpretata nel senso di privilegiare il confronto concorrenziale tutte le volte in cui non vi ostino fatti oggettivamente indicativi, con la conseguenza che, non diversamente dalle ipotesi di appalti di lavori e di servizi, anche nel caso di concessione di pubblici servizi, il ricorso alla trattativa privata deve ritenersi circoscritto in limiti ristretti, in ragione dell'estrema urgenza del provvedere, ovvero in relazione alla sussistenza di presupposti di ordine tecnico tali da impedire, se non al prezzo di costi sproporzionati, la ricerca di altre soluzioni basate sul previo confronto concorrenziale (Cons. Stato, sez. V, n° 3213 del 28/06/2001).

[11] Nel caso in cui la concessione di servizi contempli pure l’esecuzione di lavori, si è in presenza di una concessione di servizi, laddove i lavori rivestano una funzione accessoria.

[12] In altri termini, ad avviso del TAR, una volta chiarito che la società di scopo, che avrebbe dovuto gestire il servizio idrico integrato, non corrisponde al modello legislativamente previsto, risulta conseguenziale che non può trovare applicazione la deroga alla regola dell'affidamento del servizio a mezzo gara. Tale deroga, infatti, può avere vigenza solo nei confronti delle società, cui l'ente locale, titolare del servizio, partecipa direttamente, e non nei confronti di società il cui pacchetto azionario di controllo appartenga ad altra società.

[13] Precisamente, il Consiglio di Stato ha osservato che l'interesse, su cui era fondato il ricorso originario, era quello ad una corretta concorrenzialità, la quale non risulta essere stata lesa nella fattispecie in esame, in cui non si ravvisa, l'assunzione di atti o provvedimenti immediatamente lesivi della sfera giuridica del ricorrente originario.

[14] Tali soggetti debbono avere sede in uno dei Paesi dell'Unione Europea e non devono sussistere nei loro confronti le cause di esclusione, previste dall’articolo 4 del Decreto.

[15] I Gruppi Europei di Interesse Economico sono organismi associativi comunitari, finalizzati a consentire agli imprenditori europei lo svolgimento di iniziative economiche comuni, la realizzazione di proficui rapporti di cooperazione internazionale, nonché la partecipazione congiunta a gare di appalto per la realizzazione di opere pubbliche o private.

[16] In dottrina, un primo interessante commento al decreto è stato fornito da Maurizio Greco, in un articolo apparso sulla rivista telematica www.lexitalia.it (La concessione a terzi della gestione del servizio idrico integrato: prime considerazioni sul D.M. 22 novembre 2001).

[17] Il presidente dell’ANCI sostiene espressamente che: Le norme oggi vigenti non obbligano alla gara. Una cosa è l’affidamento del servizio di acquedotto ad una società pubblica, un’altra è la scelta del contraente privato.

[18] Le circolari interpretative sono quelle che contengono l’interpretazione di leggi e regolamenti, al fine di assicurarne l’uniforme interpretazione nell’ambito dell’apparato amministrativo. Secondo la migliore dottrina, la circolare interpretativa può essere disattesa, previa congrua ed adeguata motivazione, in conformità al dictum legislativo.

[19] E' interessante notare come l'art. 35 abbia sostanzialmente eliminato, con la previsione di abrogazione del comma 13, il modulo gestionale della concessione a terzi. Infatti il citato comma 13, dispone espressamente l'abrogazione degli artt: 265 (Concessioni all'industria privata), 266 (Capitolati), e 267 (Modalità delle concessioni) del R.D. 1175/1931 (Testo Unico per la Finanza Locale).

[20] E' opportuno evidenziare che l'art. 35, comma 5, prevede anche, entro 2 anni dall'affidamento, l'obbligo di indire una procedura di evidenza pubblica per l'individuazione dei soci privati, nella misura di almeno il 40%, pena la perdita immediata dell'affidamento a favore della società mista.

[21] A tal riguardo, sarebbe apparso più realistico prevedere l’alternativa come regola ordinaria.

[22] Sei anni e mezzo= 18 mesi iniziali per attivarsi + i 5 anni.

[23] Invero, tale critica può essere mossa anche nei riguardi del Decreto del 22/11/2001, pur se non va dimenticato che il medesimo costituisce attuazione vincolata, ed anche tardiva, di un chiaro precetto legislativo, contenuto nell’articolo 20 della L. 36/1994.

[24] Sempre in tale articolo, viene riportato che Fulvio Vento, presidente di Confeservizi, ha espresso similari opinioni.

[25] Com’è noto, per quanto concerne la ricostruzione dei rapporti fra ordinamento comunitario ed ordinamento nazionale, si contendono il campo due indirizzi contrapposti. Un primo orientamento, sostenuto dalla Corte Costituzionale, sostiene che i due ordinamenti siano autonomi e separati, pur se coordinati; il secondo orientamento, da sempre patrocinato dalla Corte di Giustizia Europea, ed altresì accolto dalla prevalente dottrina, considera, invece, i due ordinamenti, legati da un rapporto di integrazione, nel senso che, pur essendo distinti dal punto di vista genetico, confluiscono nell’ambito di un ordinamento unitario.

[26] L’opinione riportata è di Maurizio Greco, La legge Merloni-quater e la costituzionalizzazione delle direttive comunitarie sugli appalti pubblici.

[27] I servizi pubblici locali di erogazione di energia, con esclusione di quella elettrica, di erogazione del gas, di gestione del ciclo dell’acqua, di gestione dei rifiuti e di trasporto collettivo di linea, eccettuati quelli a fune operanti in montagna, sono affidati dagli enti locali, anche in forma associata, ad uno o più gestori, pubblici o privati, scelti esclusivamente in base a gara.

[28] Prevalenza, sia in termini di gerarchia delle fonti, che in termini di successione temporale. Tuttavia, non va sottaciuto che il Decreto ministeriale, in quanto attuativo di una precisa disposizione legislativa di settore (articolo 20 L. 36/1994), può, forse, vantare un qualche profilo di “specialità”.

[29] Il problema sorge in quanto, talvolta, le società miste di gestione, ex aziende speciali o consorzi di Comuni, rivendicano la proprietà degli impianti realizzati.

[30] Cassazione Civile, n. 6.671 del 22/12/1984. Inoltre, la circolare Ministero dei lavori pubblici n. 2.357 del 16/05/1996 espressamente annovera tra le pertinenze gli impianti di illuminazione pubblica.

[31] Si ricorda che, per giurisprudenza costante, affinché un'area privata venga a far parte del demanio stradale ed assuma, quindi, la natura di strada pubblica,  è necessario, oltre l'uso pubblico, che la strada risulti di proprietà di un ente pubblico territoriale (Cassazione Civile, 1.430 del 08/03/1979).

[32] L'acquisto si verifica in omaggio al principio della prevalenza, sempre a favore del proprietario della cosa principale (accessorium cedit principale). La dottrina civilistica, inoltre, rileva che l'acquisto della proprietà sull'opera non avviene solo a titolo originario, ma anche automaticamente, ed in ciò l'accessione si distingue dall'occupazione e dall'invenzione, dove, invece, rileva l'elemento volontaristico.

[33] Il problema diventa, indubbiamente, più spinoso, laddove gli impianti vengano realizzati su strade private.


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