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n. 2/2008 - © copyright

GIANLUCA ALBO e MARCO SMIROLDO
(Magistrati della Corte dei conti)

La sanzione per la violazione del divieto di indebitamento
secondo le Sezioni Riunite della Corte dei Conti:
una occasione perduta.

 

(note a margine di CORTE DEI CONTI, SEZ. RIUNITE IN S.G.,
sentenza 27 dicembre 2007, n. 12).

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1. Premessa.

 

A seguito di citazione diretta con cui la Procura contabile aveva chiesto l’applicazione della sanzione prevista dall’art. 30 comma 15 della legge 27 dicembre 2002 n. 289 (legge finanziaria 2003) [1], nei confronti di alcuni consiglieri comunali che nel 2004 avevano riconosciuto un debito fuori bilancio derivante da una sentenza di condanna pubblicata nel 2003 deliberandone, contestualmente, la copertura mediante l’assunzione di un apposito mutuo presso la Cassa Depositi e Prestiti, la Sezione Giurisdizionale per la Sicilia, con ordinanza n. 217/2007 del 19 luglio 2007, ha deferito questione di massima.

 

Le Sezioni Riunite, QM 12/07 (C.C.14.11-Dep. 27.12.07), hanno così risolto i cinque quesiti proposti dai giudici contabili di primo grado:

1) il tipo di procedimento giurisdizionale da seguire per applicare la sanzione prevista dall’art. 30, comma 15, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003) deve essere quello previsto per l’ordinario giudizio di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti di cui agli artt. 43 e seguenti del R.D. n. 1038/1933 e all’art. 5 della legge n. 19/1994, non potendo trovare applicazione, in tali ipotesi, la modalità procedurale prevista dall’art. 58 del R.D. 13 agosto 1933, n. 1038 relative ai giudizi ad istanza di parte;

2) ai fini della configurazione della fattispecie sanzionatoria prevista dall’art. 30, comma 15, della legge n. 289/2002, il titolo soggettivo di imputazione della sanzione deve essere determinato e valutato ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge n. 20/1994, come modificato dall’art. 3, comma 1, del d.l. n. 543/1996, convertito, con modificazioni, nella legge n. 639/1996, e pertanto, ai fini della applicazione della sanzione in parola nei confronti degli amministratori che abbiano deliberato il ricorso all’indebitamento per spese diverse da quelle di investimento, è necessario che ricorra, nella fattispecie concreta, l’elemento soggettivo della colpa grave, o, ovviamente, del dolo;

3) ai fini della integrazione della fattispecie sanzionatoria in parola è necessario che la delibera di contrarre il mutuo venga portata ad esecuzione mediante la stipula del relativo contratto, non essendo sufficiente, al fine suddetto, la sola adozione della delibera di contrarre il mutuo stesso.

4) nel caso di una delibera di indebitamento per far fronte ad una sentenza esecutiva di condanna emessa successivamente al 7 novembre 2001, ma relativa a fatti accaduti precedentemente alla predetta data, il debito deve ritenersi “maturato” al momento del deposito della sentenza stessa e non già al momento – antecedente – in cui l’ente, soggetto passivo dell’obbligazione pecuniaria, avrebbe dovuto eseguire la controprestazione da cui è scaturita, in seguito, la sentenza esecutiva;

5) l’ente destinatario della sanzione va individuato nell’ente di appartenenza degli amministratori condannati.

2. La normativa.

Per un approccio più diretto con l’articolato motivazionale della decisione in commento, non può tralasciarsi un, seppur sintetico, richiamo al quadro normativo di riferimento.

La iniziale legittimazione per gli enti locali, prevista dall’art. 194, co. 3 D.Lgs 267/00, a ricorrere all’indebitamento per la copertura di debiti fuori bilancio derivanti sia da spese di parte corrente, sia da spese in conto capitale (o di investimento), purché rientranti nelle tipologie di spese contemplate dall’art. 194, co. 1, lett. a-e, D.Lgs 267/00, è stata, successivamente ed esplicitamente, limitata dal legislatore (art. 41 comma 4 l. 28 dicembre 2001 n. 448), per le sole spese di parte corrente, alla copertura dei debiti fuori bilancio maturati anteriormente alla data del 8.11.2001.

Pertanto: l’art. 119, co. 6 Cost, ha statuito il divieto assoluto di indebitamento per spese diverse da quelle di investimento; l’art. 41, comma 4, l. 28 dicembre 2001 n. 448 (l. finanziaria 2002) ha fissato il discrimen temporale all’operatività del divieto costituzionale, ritenendo possibile il ricorso all’ indebitamento per spese diverse da quelle di investimento solo per quei debiti maturati anteriormente al 8.11.2001 (data di entrata in vigore dell’art. 119 Cost., come novellato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3); l’art. 30, comma 15, l. 27 dicembre 2002 n. 289 (l. finanziaria 2003), ha previsto una sanzione pecuniaria, per gli amministratori che hanno deliberato il ricorso al finanziamento per coprire debiti derivanti da spese diverse da quelle di investimento e maturati successivamente alla data del 7.11.2001 [2]

3. La motivazione delle Sezioni Riunite sui singoli quesiti.

La soluzione dei quesiti è sostenuta da un apprezzabile impegno motivazionale, che, tuttavia, non di rado si risolve in sillogismi argomentativi poco coerenti con le articolate premesse di principio e con gli argomenti letterali, logico-sistematici e teleologici che avrebbero consentito alle Sezioni Riunite di valorizzare il carattere innovativo della fattispecie al loro esame.

Quanto testé osservato può agevolmente riscontrarsi, analizzando la motivazione rassegnata dalle Sezioni Riunite.

Impeccabile appare l’articolata premessa all’analisi dei singoli quesiti in cui si sostanzia la questione di massima.

Le SS.RR., facendo propria la qualificazione giuridica della fattispecie data dalla Corte costituzionale (sent. 320 del 2004), hanno confermato che la disposizione di cui all’art. 30, comma 15, della legge n. 289/2002, configura “…una particolare fattispecie di responsabilità sanzionatoria che differisce e va tenuta nettamente distinta dalla ordinaria responsabilità amministrativa-contabile “per danno” di tipo risarcitorio … infatti.. la potenziale lesione degli equilibri di bilancio, che trova sanzione nella norma in commento, prescinde dal verificarsi di un “danno” risarcibile in senso proprio”.

Il rapporto di alterità tra la responsabilità amministrativa per danno e la responsabilità amministrativa di tipo sanzionatorio per la sussistenza della quale “è necessario che si accerti la mera violazione del precetto previsto dalla legge, oltre, ovviamente, l’elemento psicologico”, viene, quindi, elegantemente, ribadito, precisato e circostanziato sino a culminare nella coerente affermazione della possibile coesistenza delle due tipologie di responsabilità qualora la violazione del precetto sanzionatorio configuri anche un danno all’ erario.

Infine, la articolata e dotta premessa in diritto viene suggellata con una puntuale copertura costituzionale delle due tipologie di responsabilità amministrativa.

Invero, secondo i giudici delle Sezioni Riunite, “ l’art. 103, comma 2, della Costituzione, nel prevedere e disciplinare la giurisdizione della Corte dei conti prevede espressamente che <<la Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge>>, così attribuendo alla giurisdizione del giudice contabile non solo, in via generale, la responsabilità amministrativa per danno, e quindi di tipo risarcitorio, generica, nel senso di responsabilità non tipizzata, che trova comunque la sua fonte <<nelle materie di contabilità pubblica>> (prima parte della disposizione di cui all’art. 103, comma 2, Cost.), ma anche, in via speciale, le altre fattispecie di responsabilità di tipo non risarcitorio, quali possono essere, appunto, le fattispecie di responsabilità sanzionatoria come quella prevista dall’art. 30, comma 15, della legge n. 289/2002, o come quella prevista dal combinato disposto delle disposizioni di cui agli artt. 45, comma 2, lett. c), e 46, comma 1, del R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, e che trovano la loro fonte e la loro previsione, a livello costituzionale, <<nelle altre (materie - ndr) specificate dalla legge>> (seconda parte della disposizione di cui all’art. 103, comma 2, Cost.), o addirittura nella stessa prima parte della stessa disposizione costituzionale, disciplinando essa comunque un istituto – come quello del divieto di indebitamento - sicuramente rientrante <<nelle materie di contabilità pubblica>>.

Tutte vi erano le premesse per un avallo “storico” delle Sezioni Riunite a forme più spedite, efficaci e innovative di tutela della finanza pubblica, e di cui proprio la fattispecie sanzionatoria prevista dall’art. 30 co. 15 l.f. 2003 avrebbe potuto (rectius: dovuto) costituire un prototipo di riferimento.

Purtroppo non solo le apprezzabili premesse sono incorse in una soluzione di continuità del loro logico sviluppo, ma alla fine risultano travolte – quanto meno sotto il profilo della coerenza – dalle specifiche soluzioni dei singoli quesiti, di seguito analizzati nell’ordine di risoluzione esposto in premessa (v. sopra sub 1).

3.1 Il tipo di procedimento da seguire.

Sul punto i giudici contabili osservano che “Sebbene la legge nulla dica in ordine al tipo di procedimento da seguire per l’applicazione, da parte delle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti, della sanzione in parola, queste Sezioni Riunite ritengono che debba essere seguita, al riguardo, la disciplina dell’ordinario giudizio di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti prevista dagli artt. 43 e seguenti del R.D. n. 1038/1933 e dall’art. 5 della legge n. 19/1994, non potendo trovare applicazione, in tali ipotesi, le modalità procedurali previste dal capo terzo del R.D. 13 agosto 1933, n. 1038 sui giudizi ad istanza di parte (artt. dal 52 al 59), come pure è stato sostenuto (cfr. Sez. giur. Regione Siciliana, n. 2376/2006 e n. 3198/2006)”.

Al riguardo, quindi, il collegio delle Sezioni Riunite, ha accolto la ricostruzione operata dalla Sezione giurisdizionale per l’Umbria (Sezione Umbria 128/07), individuando due capisaldi motivazionali: la residualità del giudizio ad istanza di parte e la pubblicità e irrinunciabilità dell’azione.

Nessuna delle due ragioni appare ancorata a solide basi interpretative.

Rimandando alle considerazioni, sotto il profilo della natura giuridica e procedurale, già rassegnati in altri scritti [3], in questa sede si può ribadire che il procedimento mediante la citazione diretta [4], risulta più aderente alla autonomia della fattispecie sanzionatoria prevista dall’ art. 30 co. 15 l.f. 2003; autonomia dalle stesse sezioni riunite nella QM 12/07 ritenuta, e ribadita, rispetto alla responsabilità amministrativa per danno.

Ancora, va soggiunto che la citazione diretta risulta logicamente più funzionale alle esigenze di speditezza che connota la ricostruzione dell’ istituto quale sanzione pecuniaria a tutela degli equilibri di finanza pubblica e dei principi di sana gestione finanziaria.

Non può, infine, ignorarsi che l’adozione dell’ invito a dedurre possa agevolare il contraddittorio e la difesa e, in ultima analisi, per evitare una citazione al buio delle deduzioni difensive, possa, anche sotto un profilo della strategia accusatoria, essere preferibile invitare l’amministratore a dedurre prima della citazione.

Tuttavia la obbligatorietà dell’ invito a dedurre passa attraverso il principio di esclusività dell’azione contabile previsto dal comma 1 dell’art. 43 r.d. 13 agosto 1933 n. 1038 solo per i giudizi di responsabilità per danno; d’ altro canto, né il principio di esclusività, né il principio di obbligatorietà dell’ invito a dedurre, previsto dal comma 1 dell’ art. 5 l. 19/94 e ss. modiff. nei giudizi di responsabilità nei confronti del  presunto “responsabile del danno”, appaiono sotto alcun profilo ricavabili dalla lettera dell’ art. 30 co. 15 l.f. 2003, per le stesse sezioni riunite fattispecie autonoma di responsabilità amministrativa sanzionatoria, rispetto alla responsabilità amministrativa per danno.

3.2 L’elemento psicologico.

Le Sezioni Riunite individuano nella colpa grave la soglia minima di imputabilità psicologica anche per la responsabilità amministrativa sanzionatoria, ritenendo che “la lettera dell’ art. 1, comma 1, legge n. 20/1994, come modificato dall’art. 3, comma 1, legge n. 639/1996, per si applichi a tutti i soggetti, imponga di applicare la regola generale di imputazione soggettiva a tutti i soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica, e ciò a prescindere dalla specifica tipologia di responsabilità amministrativa (per danno o sanzionatoria)”.

La solidità dell’argomento letterale rassegnato dalle Sezioni Riunite sembrerebbe non lasciare spazio ad altre interpretazioni.

Se non che esso appare indebolirsi allorché viene a confrontarsi con l’impostazione dogmatica che fa da quadro di riferimento alla medesima decisione delle Sezioni Riunite ed alla pluralità di argomenti, desumibili dalle sentenze richiamate dal collegio medesimo in motivazione (prima fra tutte Sez. giur. Regione Siciliana, n. 3198/2006, cit. [5]), di seguito analiticamente indicati:

a) la specialità della fattispecie preventivo-sanzionatoria contenuta nel citato art. 30. comma 15 legge finanziaria 2003 (criterio della specialità);

b) la sua sopravvenienza temporale al citato art. 1 legge 20/94 e succ. modiff. (criterio cronologico);

c) la differente terminologia utilizzata dal legislatore all’interno della medesima legge finanziaria 2003 per distinguere la sanzione ex art. 30 da altre ipotesi tipizzate di responsabilità amministrativa[6] (criterio letterale e sistematico);

d) la descrizione della fattispecie da parte del legislatore con la medesima tecnica delle violazioni amministrative, regolate da un consolidato sistema organico e tipizzato (artt. 1-12 l. 689/81) di principi generali (criterio letterale);

e) l’esigenza del legislatore di tutelare i delicati equilibri di finanza pubblica e il divieto di indebitamento esplicitamente tutelato dalla novella costituzionale dell’art. 119 con tecniche di tutela nuove dotate di spiccata finalità preventiva e con cui il criterio della colpa temperato dall’ errore scusabile previsto     dall’ art. 3 l. 689/81 risulta logicamente più compatibile, oltre che sostanzialmente più efficace [7] (criterio teleologico).

Rinviando a quanto già considerato sulla natura giuridica della fattispecie in esame[8] quale violazione amministrativa in materia di contabilità pubblica, inquadramento dogmatico che porta naturalmente a ravvisare l’operatività per la fattispecie sanzionatoria in esame del criterio della colpa temperato dalla rilevanza dell’errore scusabile previsto dall’art. 3 l. 689/81, in questa sede non può farsi a meno di rilevare che i plurimi argomenti sopra enunciati, e sorretti da eterogenei e convergenti criteri interpretativi, avrebbero dovuto indurre le Sezioni Riunite, o ad una diversa soluzione rispetto a quella adottata, o, quanto meno, previo confronto con i medesimi, a superarli con più convincente ed efficace motivazione.

3.3 Il perfezionamento della fattispecie.

Le Sezioni Riunite, pur, correttamente, ravvisando, una fattispecie di pericolo a tutela degli equilibri della finanza pubblica e della sana gestione finanziaria, ritengono necessario tuttavia per la consumazione della condotta sanzionata “…che la delibera di contrarre un mutuo venga portata ad esecuzione mediante la stipula del relativo contratto, non essendo sufficiente, al fine suddetto, la sola adozione della delibera di contrarre il mutuo”.

Anche in questo caso la motivazione non può essere considerata del tutto frutto di uno sforzo ricostruttivo originale, ripercorrendo sostanzialmente l’iter argomentativo rassegnato dalla prima sentenza pronunciata in materia (Sez. giur. Lazio, n. 3001/2005) e da cui non solo la dottrina [9], ma la stessa giurisprudenza successiva [10] aveva preso le distanze constatandone non pochi punti deboli.

Rinviando a quanto già osservato sulla sentenza dei giudici della Sezione Lazio [11], in questa sede deve ribadirsi che la condotta di pericolo formulata dal legislatore si perfeziona con l’adozione della delibera che statuisce il ricorso all’indebitamento, deponendo in tal senso:

a) la lettera della norma, che individua i destinatari della sanzione in coloro che “hanno assunto la (..) delibera” di ricorso all’indebitamento;

b) la estraneità, rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie tipizzata, della stipula del contratto di mutuo, condizione di punibilità (recte: sanzionabilità) introdotta in via interpretativa dai giudici contabili;

c) l’incompatibilità logico-giuridica, rispetto alla evidente ratio preventiva della fattispecie sanzionatoria, di subordinare il perfezionamento della fattispecie in esame ad una condotta non prevista dalla norma (la stipula del mutuo) e soprattutto di competenza dei dirigenti dell’ente richiedente e dei rappresentanti dell’ente mutuante, entrambi soggetti diversi dagli amministratori [12], unici destinatari del divieto di indebitamento e della relativa sanzione che proprio, e solo, sugli amministratori, per scelta del legislatore, può dispiegare l’effetto preventivo [13]; in sostanza, l’effetto dell’impostazione seguita dalle Sezioni Riunite è quello di far dipendere la sanzionabilità delle condotte degli amministratori dalla scelta volontaria del dirigente e dei rappresentanti dell’ente finanziatore;

d) gli effetti che sulla responsabilità degli amministratori esplica la previsione di una condotta, la stipula del contratto d’indebitamento, che si innesta sulla serie causale avviata dagli amministratori con l’adozione della delibera, elidendone il contributo causale alla verificazione dell’evento[14];

e) la circostanza secondo cui, una volta concesso il mutuo e stipulato il relativo contratto, si ricadrebbe in una ipotesi ordinaria di responsabilità amministrativa per danno all’Erario derivante dagli oneri accessori sulla somma capitale, fattispecie per la quale non sarebbe stato necessario l’inserimento di una specifica norma nella legge finanziaria;

f) l’interpretazione costituzionalizzata del principio di offensività, che può ritenersi violato solo allorchè la sanzione non risulti giustificata da una aggressione ad un bene giuridico tutelato, rimanendo, invece, nella discrezionalità, purchè ragionevole, del legislatore scegliere il bene giuridico da tutelare e le tecniche di tutela del medesimo.

Risulta, allora, in aderente linea con la ratio legis, volta a tutelare delicati beni giuridici (quali l’equilibrio di bilancio e la sana gestione finanziaria), e con il contesto normativo di riferimento (art. 119 Cost; art. 41, co. 4, l. finanziaria 2002), la tipizzazione della situazione di pericolo nell’adozione della delibera che ha disposto il ricorso all’ indebitamento non consentito.

Tra l’altro nessun argomento convincente ha addotto il collegio delle Sezioni Riunite a sostegno della interpretazione restrittiva proposta in sentenza.

Invero, la previsione della nullità legale del mutuo non dimostra alcunché, essendo sganciata dagli elementi costitutivi della condotta pericolosa tipizzata e sanzionata al citato art. 30 co. 15 l.finanziaria 2003.

Quanto, poi, all’argomento a contrario ricavato da una ipotizzata revoca della delibera, basta rilevare che qualsiasi atto di ritiro (c.d. atto di secondo grado) intervenuto prima del perfezionamento del contratto di mutuo, priva di effetti ex tunc l’atto di primo grado con cui si era deliberato l’ indebitamento non consentito, per cui nessuna sanzione potrebbe applicarsi, configurando l’atto di secondo grado tempestivamente adottato una vera e propria ipotesi di desistenza [15].

Non può, quindi, condividersi l’operazione creativa dei giudici contabili, i quali, senza che la norma lo richiedesse, ne hanno subordinata l’efficacia sanzionatoria alla stipula del mutuo.

3.4 L’individuazione del momento di maturazione del debito.

Le Sezioni Riunite hanno ritenuto che “..nel caso di una delibera di indebitamento per far fronte ad una sentenza esecutiva di condanna emessa successivamente al 7 novembre 2001 (data di entrata in vigore della disposizione di cui all’art. 119, comma 6, della Costituzione, come novellato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), ma relativa a fatti accaduti precedentemente alla predetta data, il debito debba ritenersi “maturato” al momento del deposito della sentenza stessa, a prescindere da ogni ulteriore considerazione sulla fonte remota del debito (contratto, fatto illecito o altro fatto o atto idoneo a produrre l’obbligazione, secondo il disposto dell’art. 1173 c.c.), e non già al momento – antecedente – in cui l’ente, soggetto passivo dell’obbligazione pecuniaria, avrebbe dovuto eseguire la controprestazione da cui sia scaturita, in seguito, la sentenza esecutiva”.

La soluzione è condivisibile e dovrebbe consentire di superare definitivamente la prima interpretazione della fattispecie sanzionatoria in esame (Sez. giur. Lazio, n. 3001/2005[16]) ove si era ritenuta l‘identità tra il concetto di nascita o insorgenza del debito e il concetto di maturazione, con conseguente retrodatazione della maturazione al momento genetico dell’obbligazione originaria e conseguente inutilità della previsione del citato art.41, co. 4, l. finanziaria 2002, posto per individuare il limite temporale tra ricorso all’indebitamento per spese di parte corrente consentito e non consentito.

Tale inutilità sarebbe derivata proprio dalla circostanza che nell’ipotesi di debiti derivanti da sentenze esecutive, le obbligazioni originarie comunque erano insorte in epoca antecedente alla entrata in vigore del divieto costituzionale, per cui non avrebbe avuto alcun senso la previsione del discrimen temporale affidato alla, infelice, formulazione del concetto di maturazione dei debiti, qualora il legislatore avesse ritenuto che il debito maturato coincidesse con   la obbligazione originaria.

Quindi per i debiti fuori bilancio derivanti da sentenze esecutive (comma 1, lett. a, art. 194 del d.lgs. n. 267/2000), la maturazione del debito coincide con la data di pubblicazione della sentenza di condanna dell’ amministrazione.

Va soggiunto per completezza che da un inciso della motivazione sembrerebbe che le altre fattispecie di debiti fuori bilancio (lett. b-e, comma 1 d.lgs. n. 267/2000), “…può dirsi che maturino con la delibera di riconoscimento”.

In assenza di una specifica riflessione sul punto nell’ articolato motivazionale, e stante la complessità della problematica della maturazione per le altre tipologie di debiti fuori bilancio[17], l’ inciso delle Sezioni Riunite rimane un autorevole obiter dictum.

3.5 L’ ente destinatario dei proventi della sanzione.

Le Sezioni Riunite hanno ritenuto che “..il destinatario della sanzione debba essere individuato nell’ente di appartenenza degli amministratori condannati, e ciò nella considerazione che la sanzione deve ritenersi direttamente collegata e finalizzata al ristoro del bene-valore leso, o comunque messo in pericolo, dalla condotta degli amministratori, e cioè, in primo luogo, dell’equilibrio di bilancio dell’ente di appartenenza degli amministratori che hanno deliberato l’indebitamento”.

Netta è la presa di distanza dalla soluzione rassegnata dalla Sezione siciliana (sent. 3198/2006, cit.), la quale, ritenendo l’assoluta omogeneità tra la sanzione di cui all’art. 46 del R.D. n. 1214/1934 con la sanzione pecuniaria ex art. 30 co. 15 in esame, aveva individuato lo Stato quale ente beneficiario della sanzione, analogamente a quanto ritenuto dalla Corte Costituzionale (sent. n. 187/1999) proprio per la sanzione pecuniaria contemplata all’art. 46 del R.D. n. 1214/1934.

Infine, sebbene in un ottica differente da quella avallata dalle Sezioni Riunite, può soggiungersi che avendo – correttamente - la Sezione siciliana avallato la ricostruzione dogmatica della fattispecie contemplata dall’art. 30, comma 15, l. 27 dicembre 2002 n. 289 in termini di violazione amministrativa in materia di contabilità pubblica, e la cui irrogazione, per interpositio legislatoris, è stata affidata alla Corte dei conti, nel rispetto dei principi generali (artt. 1-12) della legge 689/81, non si comprende per quali ragioni, trovandovisi innanzi a sanzioni amministrative tipiche, le medesime non possano annoverarsi tra le “altre entrate proprie” e/o tra le “altre entrate” previste all’ art. 149 co. 4 lett. f), h) Dlvo 267/00 anche per i Comuni, tenuto conto, tra l’ altro, che la trasgressione del divieto di indebitamento lede innanzitutto la sana gestione finanziaria dell’ente per conto del quale si ricorre all’ indebitamento non consentito, e tenuto, altresì, conto che a seguito delle modifiche alla Carta Fondamentale introdotte dalla legge costituzionale n.3/01, i Comuni sono enti territoriali costituzionali che costituiscono la Repubblica (art. 114 co. 1 Cost.), dotati di autonomia finanziaria di entrata e di spesa (art. 119 co. 1 Cost) nonché di risorse autonome (art. 119 co. 2 Cost).

4. Conclusioni.

La moderna dimensione dei compiti affidati alle istituzioni pubbliche nel contesto del c.d. “Stato sociale di diritto”, cui si ispira il nostro ordinamento, ha comportato una progressiva evoluzione delle modalità di gestione delle risorse pubbliche e, conseguentemente, delle tecniche di tutela di quest’ultime rispetto alla multiforme congerie dei fenomeni di c.d. devianza finanziaria.

Al riguardo, se da un lato, come limpidamente chiarito dalle Sezioni Riunite con la decisione in esame, i paradigmi classici della responsabilità amministrativa rappresentano l’irrinunciabile punto di riferimento del sistema di tutela delle risorse erariali, dall’altro lato non può tralasciarsi di considerare che il modello classico di tutela rappresentato dalla responsabilità amministrativa per danno non consente sempre un’adeguata difesa dell’integrità del patrimonio pubblico. Ciò soprattutto con riferimento al progressivo affermarsi di fenomeni di macrodanno erariale (si pensi, p. es., al caso dei danni ambientali), connotati dalla difficoltà di determinare l’entità del danno erariale in termini di certezza, concretezza ed attualità, atteso il particolare atteggiarsi della dimensione di lesività di tali condotte, destinata a rivelare unicamente nel tempo tutti i propri effetti negativi sul piano patrimoniale.

E’ fuor di dubbio che trattasi di specifiche tipologie di danno che per la loro dimensione economica (e sociale) appaiono soltanto virtualmente risarcibili attraverso gli schemi classici della responsabilità amministrativa per danno.

Il legislatore sembra aver tenuto presente tale realtà – invero non sempre attraverso un drafting impeccabile sul piano del rispetto delle categorie giuridiche -, introducendo con riferimento a specifici oggetti di tutela erariale (p. es., gestione del personale, acquisizione di beni e servizi, consulenze, e da ultimo retribuzioni e assicurazioni contro i danni erariali), nuove figure di responsabilità finanziaria. Tali previsioni legislative realizzano una sintesi tra tutela invalidante e tutela risarcitoria delle ragioni dell’erario, ribadendo e specificando il contenuto di obblighi di servizio già vigenti, alla cui violazione consegue l’invalidità degli atti e, in alcuni casi la ‘responsabilità erariale’ di chi li ha posti in essere. In altri casi, alla tutela invalidante si associa una descrizione normativa delle modalità della condotta che esaurisce il loro contenuto di lesività per l’erario in una valutazione legale tipica, e facendone derivare come conseguenza l’applicazione di una sanzione pecuniaria pubblica.

L’art. 30, comma 15, della l n. 289 del 2002 si inquadra, come chiarito dalle SS.RR., in questo secondo modulo operativo, ponendosi a garanzia del rispetto della sana gestione finanziaria e degli equilibri di bilancio dei vari enti territoriali in cui si articola l’organizzazione istituzionale dei livelli di governo della Repubblica, in vista del rispetto del patto di stabilità interno e dei parametri europei del patto di stabilità e crescita.

La decisione delle SS.RR. fornisce delle prime soluzioni ad alcune delle problematiche sottese all’applicazione di tale forma di responsabilità finanziaria, nelle quali tuttavia i paradigmi ricostruttivi propri della responsabilità amministrativa classica sembrano aver influenzato significativamente i risultati. Il rischio che tale operazione comporta è quella di depotenziare progressivamente la garanzia di oggettività giuridiche finanziarie di nuovo conio assicurata da tali forme di tutela sanzionatoria, privando quest’ultime della loro connotazione di tipo dinamico e preventivo per la tutela della finanza pubblica.

In tale prospettiva, i problemi posti da queste nuove tecniche di tutela degli interessi erariali rimangono ancora aperti, richiedendo da un lato un’ulteriore sforzo di approfondimento ricostruttivo da parte della giurisprudenza contabile, dall’ altro alto, l’impegno del legislatore per una maggiore chiarezza nella formulazione delle norme e coerenza dogmatica, attesa la sempre più marcata tendenza di quest’ultimo ad individuare sanzioni tipizzate per la trasgressione di tutte quelle condotte che mettano a repentaglio la sana gestione finanziaria e gli equilibri di finanza pubblica.

 


 

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[1] Sulla sanzione per la violazione del divieto costituzionale di indebitamento sia consentito il rinvio a: M. Smiroldo, “Nuove tecniche di tutela degli interessi erariali:brevi osservazioni su alcuni profili sostanziali e procedurali riguardanti l’ applicazione dell’ art. 30,comma 15, della l. 27 dicembre 2002, n. 289, relazione presentata in occasione della giornata di studio in memoria di Francesco Rapisarda, sul tema “Profili di attualità delle attribuzioni della Corte dei conti”, Palermo 11 dicembre 2004, lo scritto è consultabile sul sito www.amcorteconti.it; M. Smiroldo, “La garanzia degli equilibri di bilancio degli enti della finanza pubblica allargata: la costituzionalizzazione della golden rule e la sanzione per l’inosservanza del divieto di ricorso all’indebitamento per il finanziamento di spese diverse da quelle d’investimento”, in www.lexitalia.it., aprile 06; G. Albo,” Self-restraint della Corte dei conti al primo vaglio della fattispecie sanzionatoria prevista dall’ art. 30, comma 15, legge 27 dicembre 2002 n. 289 (l. finanziaria 2003)”, nota  a Corte Conti, Sez. Giurisd. Lazio C.Conti, 20 dicembre 2005 n. 3001, in  www.lexitalia.it., marzo 06;  Corte Conti, Sez. Giurisd. Sicilia,  7 novembre 2006 n. 3198, annotata da  M. Perin “Prima effettiva applicazione della sanzione agli amministratori pubblici per il ricorso all’ indebitamento per le spese correnti”, in  www.amcorteconti.it e da  G. de Marco “Prima sanzione pecuniaria per l’indebitamento per spese correnti”, in  Diritto e pratica amministrativa (Il sole24ore) n. 2 - dicembre 2006; G. Albo-M. Smiroldo Un commissario ad acta con poteri praeter constitutionem? nota a Tar Sicilia-Catania, SEZ. IV, 5 maggio 2007 n. 768, in www.lexitalia.it., luglio 07; quest’ultima sentenza è annotata anche da G. de Marco “Non convince l’esonero del commissario ad acta dal divieto di indebitamento per spese correnti”, in  Diritto e pratica amministrativa (Il sole24ore) n. 6 – giugno 2007; v. anche G. de Marco, “La sanzione per indebitamento degli enti territoriali”, in Percorsi di Giurisprudenza Amministrativa, Il sole24ore, settembre 2007

[2] Per completezza può, inoltre, rammentarsi che l’art.3, comma 16, l.finanziaria 2004 , ha esplicitato che è sempre consentito l’indebitamento per finanziare spese di investimento, e, quindi, ai commi successivi, ciò che deve intendersi ai fini di cui all'articolo 119, sesto comma, della Costituzione per indebitamento (comma 17) e  per investimenti (comma 18), soggiungendo l’applicabilità di tali disposizioni anche alle regioni a statuto speciale (comma 21)

[3] Sia consentito il rinvio ai nostri precedenti interventi sull’ argomento, elencati alla nota 1.

[4] Alla  procedura di carattere generale prevista dall’art. 58 R.D. 13-8-1933 n. 1038, la dottrina (cfr. M. Sciascia, “Manuale di Diritto. Processuale Contabile”, pagg. 579 ss, Giuffrè 2003), attribuendovi la funzione di “polmone” espansivo della giurisdizione in materia di contabilità pubblica, rinvia, ritenendola specificamente applicabile alla fattispecie prevista dal citato art.30, comma 15, l. 27 dicembre 2002   n. 289, sia essa azionata dal pubblico ministero o da altri soggetti interessati.

[5] Cfr. nota 1.

[6] Secondo la Sezione siciliana “ La mancanza nell’art. 30, comma 15, della legge 289/2002 di elementi evocativi la nozione di “responsabilità amministrava”, espressamente presenti, invece, in altra disposizione della medesima legge (art. 24, comma 4), costituisce dunque un elemento che rafforza la conclusione secondo cui il giudizio per l’irrogazione della sanzione di cui all’art. 30, comma 15, della legge 289/2002 non è assimilabile ad un ordinario giudizio di responsabilità e, conseguentemente, non è vincolato al rispetto di quei passaggi procedurali imposti dall’art. 5 della Legge 19/1994.” (così Sez. Sicilia n. 3196/06 cit.; nei medesimi termini Sez. Sicilia n. 2376/06).

[7] Tra l’ altro, non può tacersi di considerare che la non isolata tendenza della giurisprudenza contabile ad identificare la colpa grave con la violazione macroscopica e ingiustificabile degli obblighi di servizio ha finito per indebolire la funzione preventiva del sistema classico  di responsabilità amministrativa per danno all’ erario.

[8] Cfr nota 3.

[9] Sia consentito il richiamo alla nota non adesiva di  G. Albo,” Self-restraint…”cit.

[10] Sez. Sicilia n. 3196/06 cit;v anche sopra, sub 4.1.

[11] Cfr nota 9.

[12] Si ricorda che la nozione di amministratori va desunta dal comma 2 dell’art.77 D.lvo 267/00 e che la stipula dei contratti è di competenza dei dirigenti

[13] La scelta del legislatore di destinare la sanzione agli “amministratori” risulta giuridicamente e logicamente in linea con la competenza degli amministratori  sui debiti fuori bilancio (v. sopra sub 5.2.)

[14] In tale contesto, l’impostazione seguita dalle SS.RR. si rivela – questa sì – poco corrispondente con la reale dinamica operativa delle realtà delle amministrazioni locali; infatti, la condizione necessaria per la operatività della fattispecie sanzionatoria, ossia la stipula del contratto d’indebitamento, presuppone la possibilità di trovare, da un lato, un dirigente che – scientemente – stipuli un contratto nullo ope legis e, dall’altro, un ente finanziatore che sia disposto a trasferire le somme date a mutuo in forza di un contratto nullo ope legis;

[15] Una volta manifestata la volontà di ricorrere all’indebitamento, onde evitare di incorrere nel pericolo di configurazione di una responsabilità formale, si è ritenuto che sinchè la delibera non venga attuata all’esterno            dell’ Amministrazione vi sia spazio per un intervento in autotutela; cfr.,  amplius, G. Albo,” Self-restraint…”cit.

[16] Sulle critiche al concetto di maturazione proposto dalla Sezione Lazio, cfr.  G. Albo” Self-restraint…”cit.

[17] Sul concetto di maturazione, cfr. M. Smiroldo, “La garanzia degli equilibri di bilancio degli enti della finanza pubblica allargata…”, cit.; in particolare, sulla maturazione dei debiti fuori bilancio per beni e servizi acquistati in mancanza di copertura di finanziaria, ipotesi di spesa di parte corrente contemplata dalla lett. e), comma 1, art. 194 D.lvo 267/00, cfr.  G. Albo” Self-restraint…”cit.


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